lunedì 30 settembre 2013

Volano libri - I racconti di MVL

Laura De Lorenzo
“Smetti di farti domande e pratica una disciplina orientale”.
Giulia sente una consistenza come di una cacca d’uccello che le bagna il braccio all’improvviso, istintivamente tira via il corpo estraneo e con grande stupore si ritrova tra le mani questa frase appiccicosa.
“Non alimentare i dubbi di Giulia ma falle il solletico!”. PLOF!. Marco, il migliore amico di Giulia si guarda la maglia e tira via anche lui una frase appiccicosa della consistenza di una cacca d’uccello. 
I due annusano le frasi inodori, Marco fa per alzare la testa mentre Giulia già urla sbigottita: “Guardaaaaa!”.In aria, a gruppi o solitari, volano libri: classici, noir, thriller, romanzi rosa, saggi, libri di poesia, enciclopedie. Ogni gruppo diviso per genere letterario. Si annidano sui pini del parco per riposarsi e poi riprendono il volo. 
"Ma è la loro cacca!” dice Giulia. 
“Cosa?” fa Marco. 
“Cacano frasi!” sospira Giulia intuitiva come sempre. 

Riambientarsi (ma anche difendersi)


Dal saggio di Marco Giovenale Riambientarsi ma anche difendersi proponiamo qui due stralci. La versione integrale del testo, dedicato in larga parte all'opera di Corrado Costasi scarica dal sito Academia.edu
 Marco Giovenale
Dopo Muybridge, che nel 1878 mostra grazie alla fotografia come sono veramente disposte le zampe del cavallo durante il galoppo, non “il cinema e la fotografia hanno ragione e i pittori sbagliano” (quando raffigurano cavalli in corsa) ma semmai “mi è più difficile vedere un cavallo al modo dei pittori”. Da pittore, o da innamorato di pittura, potrò comunque continuare a illudermi, sapendo di illudermi: questa possibilità di autoillusione però non va certo ascritta a pregio dei pittori, semmai sarà un ulteriore merito di Muybridge. Ovvero: io so che le zampe non sono nelle posizioni che il pittore in qualche modo impone (a sé e agli osservatori) di pensare, e questo sapere non mi paralizza, semmai – al contrario – mi libera. Una apparente restrizione posta in essere dalla tecnica fotografica (foto, montaggio di foto,cinema) non è vincolante nei termini di una chiusura dell’immaginario. All’opposto: proprio adesso, dopo Muybridge, posso davvero disegnare un cavallo come lo pensava Géricault, perfino così, con le quattro zampe tese, e però (e perciò) posso farlo con intenzionale estraniante deformazione rispetto a quei dati conoscitivi reali, effettivi, oggettivi, di cui la pittura prima della fotografia semplicemente non disponeva.

Cecità: lo scrittore e il "mal bianco"


Sabato 5 ottobre nel Salone degli affreschi del Dsm (via Colautti 28-30) si terrà l'incontro iniziale del gruppo di lettura 2013-2014 dedicato quest'anno al tema dei sensi. Primo libro condiviso, proposto da molti partecipanti, Cecità di José Saramago (in originale Ensaio sobre a Cegueira, "Saggio sulla cecità") . Pubblichiamo qui alcuni stralci di una intervista che lo scrittore portoghese, scomparso nel giugno 2010, ha rilasciato a Irina Bajini nel 1996, quando il romanzo è uscito in Italia, e che è stata pubblicata sul "manifesto" il 13 luglio di quell'anno.
 Mentre in tutti i suoi romanzi precedenti c'è il Portogallo di Lisbona o della campagna, e compaiono personaggi dalla precisa identità e dai caratteri ben definiti, "Cecità" è ambientato in una città anonima e coloro che vi si muovono non hanno un nome. Come mai?
Questa scelta deriva dal fatto che il mio libro affronta un problema universale: quello del comportamento razionale o irrazionale dell'uomo. Se il fine della ragione è quello di conservare la vita, allora l'umanità oggi sta andando - razionalmente - contro la sua stessa ragione. Ho caratterizzato i personaggi non attraverso grandi scavi psicologici, ma soprattutto attraverso le loro azioni, anche perché la situazione limite che si trovano a vivere impone loro di lottare in primo luogo per la sopravvivenza.
Nel romanzo, la cecità - che è insieme reale e metaforica - colpisce tutti all'infuori di una donna, la moglie dell'oculista. Questo personaggio fa subito pensare alla Blimunda del "Memoriale del convento", che a digiuno riesce a leggere i pensieri e a "vedere" l'anima della gente. E' casuale che anche questa volta si attribuisca a un essere di sesso femminile la possibilità di "andare al di là"?
Era inevitabile che consegnassi questa capacità a una donna. Io dico sempre che la moglie del medico è la gemella di Blimunda: nel suo caso era presente un elemento magico, nella moglie dell'oculista no.

domenica 29 settembre 2013

BiblioPride: orgoglio nazionale per un patrimonio tra i più importanti del mondo

Raethia Corsini 
Per avere un'idea del valore e della diffusione delle Biblioteche in Italia, basterebbe andare su wikipedia e scoprire che si tratta di un patrimonio di così alto valore da posizionarsi ai primi posti nel mondo. Le biblioteche, in tutte le forme, sono templi per l'evoluzione del sapere comune, eppure i tagli economici imposti da questa infinita crisi hanno colpito anche questo settore che - paradossalmente - fornisce a tutti gli strati sociali, perché a costi bassissimi, la possibilità di accedere alla cultura. Ci sarebbe di che andare fieri, orgogliosi. Infatti è questo che si "rivendica" nella seconda edizione di BiblioPride, iniziativa che promuove incontri e scambi di riflessioni in tutte le biblioteche d'Italia dal 27 settembre al 5 ottobre, anche se l'apice dell'iniziativa sarà sabato 5 ottobre a Firenze, con una grande festa in Piazza Santa Croce, dove si ritroveranno scrittori, artisti, giornalisti e intellettuali per confrontarsi sul valore aggiunto che il sistema bibliotecario nazionale dà alla crescita culturale, economica e sociale del Paese (per seguire l'evento anche a distanza, si può visitare la pagina facebook dedicata). Lo scorso anno lo scenario fu Napoli: è volontà precisa dell'Associazione Italiana Biblioteche scegliere ogni anno una città diversa in una regione differente, proprio per mettere in risalto l'estensione nazionale del tessuto bibliotecario e connettere comunità con istituzioni.

L'incipit della domenica: La religiosa


“Con il passare dei secoli, aumenterà il numero di libri, al punto che possiamo prevedere un tempo in cui imparare dai libri sarà difficile come studiare l’universo". Così scrisse il preveggente Denis Diderot, di cui tra pochi giorni, il 5 ottobre, ricorre il trecentesimo anniversario dalla nascita. Lo ricordiamo dedicandogli l'incipit della domenica di oggi, tratto da una delle sue opere più celebri, La religiosa. Il testo, nella traduzione di Antonio De Giorgio, è reperibile e scaricabile integralmente alla pagina Diderot del benemerito sito Liber Liber, che mette a disposizione del pubblico classici italiani e talvolta, appunto, anche stranieri. Chi conosce il francese potrà approfondire la conoscenza dei libri del grande illuminista nella sezione a lui dedicata del sito dell'Université du Québec à Chicoutimi.

Denis Diderot
La risposta del signor marchese di Croismare, se mai me ne darà, mi fornirà le prime righe di questo scritto. Prima di scrivergli, ho voluto conoscerlo. È un uomo di mondo, si è distinto sotto le armi, è anziano, vedovo, ha una figlia e due figli ai quali vuole molto bene e dai quali è adorato. Di nobili natali, è uomo colto, intelligente, di umore gaio, con un gusto spiccato per le belle arti. È soprattutto una persona originale. Mi hanno fatto l’elogio della sua sensibilità, del suo senso dell’onore, e della sua probità; e dal vivo interesse che ha dimostrato per il mio affare, nonché da tutto quello che mi è stato detto di lui, ho desunto che non mi ero affatto compromessa rivolgendomi a lui. Non c’è però da illudersi che si risolva a mutare la mia sorte senza sapere chi sono, ed è questo il motivo che mi induce a vincere il mio amor proprio e la mia ritrosia nel cominciare queste memorie in cui descrivo una parte delle mie sventure, rinunciando ad ogni pretesa di stile, con l’ingenuità dei miei giovani anni e la franchezza del mio carattere.

sabato 28 settembre 2013

Bibliomania e bibliofollia / 1 - Gustave Flaubert, Bibliomania

Carl Spitzweg - Il topo di biblioteca (1850)
Scritto nel novembre 1836, Bibliomania è una delle primissime creazioni di Gustave Flaubert, a quel tempo appena quindicenne.


Vi è protagonista Giacomo, un libraio di Barcellona, uomo completamente assorbito dalla bibliomania, divenuta vizio e, da ultimo, perversione che spinge al delitto.

Flaubert vanta una prosa solo leggermente sovrabbondante, ma già sicura, e tipica dei grandi realisti francesi dell'Ottocento: egli ottiene il massimo del rilievo descrittivo e psicologico con uno stile piano, favorito dalla lingua madre, sempre precisa e spietata, cartesiana.

E, del pari, l'adolescente Flaubert possiede la finezza dell'introspezione interiore; basta notare come, dopo la sapida presentazione del carattere di Giacomo, Flaubert getta lì, con la nonchalance dello scrittore di genio, cinque parole terribili: "Il savait à peine lire", egli sapeva a stento leggere. Brevissima e crudele presa d'atto della bibliofilia scaduta a pura libidine di possesso, assolutamente svincolata dalla cultura e dell’apprezzamento di ciò che gli oggetti della propria mania possono significare.

Ventun anni dopo, nel 1857, Flaubert licenzierà il capolavoro indiscusso Madame Bovary; quarantaquattro anni dopo (1880) lascerà incompiuto il capolavoro nascosto Bouvard e Pecuchet. Lo stile, raffinato dalla lenta acribia dell’autore, suonerà più sicuro e asciutto rispetto alla prova adolescenziale, ma l’ideologia (o l’idiosincrasia) sottese rimarranno le stesse del Gustave di mezzo secolo prima. Chi è Madame Bovary se non una sciocca rovinata da libri letti in gioventù che le forniranno un immaginario stolido e pronto al continuo disinganno? E chi saranno Bouvard e Pecuchet se non due candidi idioti pronti a cercare la saggezza in migliaia di libri che non capiscono affatto (e scritti da altrettanti idioti)?
La scrittura è mestiere e si affina col tempo; il cuore perde ogni illusione, si indurisce, ma, in realtà, non cambia mai. (g. l. ch.)

Bibliomania

“Aveva trent'anni, ma già sembrava vecchio e consunto; era di statura alta, ma curvo come un vecchio; i capelli era folti, ma bianchi; aveva mani forti e nervose, ma rinsecchite e coperte di rughe; il suo abito era misero e lacero, aveva l'aspetto sinistro e oscuro, la fisionomia era scialba, triste, brutta e persino insignificante. Raramente lo si vedeva per le strade, se non nei giorni in cui si tenevano aste di libri rari e originali. Allora non era più lo stesso uomo indolente e ridicolo, i suoi occhi si animavano, correva, camminava, scalpitava, a stento moderava la sua gioia, le sue inquietudini, le sue angosce, i suoi dolori; tornava a casa con il fiato mozzo, ansimante, quasi incapace di respirare, afferrava l'adorato libro, lo covava con gli occhi, lo guardava e lo amava, come un avaro ama il suo tesoro, un padre la figlia, il re la sua corona.


Quest'uomo non aveva mai parlato a nessuno, se non ai mercanti di libri usati e ai rigattieri; era taciturno e sognatore, cupo e triste: aveva una sola idea, un solo amore, una passione: i libri; e questo amore, questa passione lo bruciavano interiormente, consumavano i suoi giorni, divoravano la sua esistenza …

venerdì 27 settembre 2013

Le parole del secolo? Socialità e lavoro

Il sociologo Vincenzo Moretti, che presto avremo il piacere di incontrare da Plautilla quale autore del libro Testa, mani e cuore, pubblica spesso articoli assai interessanti anche su "Rassegna sindacale", il settimanale della CGIL. L'ultimo, Lavoro e socialità, comparso sul n. 34 del 2 ottobre 2013,  merita - a mio giudizio - una lettura e una riflessione. (Lorenzo Carlo)

Vincenzo Moretti
Non ho mai avuto la memoria di Ireneo Funes, di Simonide o di Metrodoro, eppure quella volta lì me la ricordo. Era il 1999, o forse il 2000, cosa importa, e Hans George Gadamer, nel corso di una memorabile conferenza all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, disse che se avesse dovuto scegliere due parole per raccontare il novecento, sì, avete letto bene, due sole parole per rappresentare un intero secolo, il secolo di due guerre mondiali, di Hitler e di Stalin, della caduta del muro di Berlino e di internet, avrebbe scelto “pazienza” e “lavoro”.
Rimasi affascinato dalla verità e dalla forza di quelle due parole, non a caso da allora ci sono tornato e ritornato su ogni volta che ho potuto.
Le carte mi si sono sparigliate qualche giorno fa, mentre raccontavo questa stessa storia a Michele, mio giovane amico e blogger per genio e per caso. Socialità e lavoro, gli ho detto a un certo punto, correggendomi subito dopo, ma ormai la frittata era fatta.

mvl Cinema: Muta affabulazione in una via di Palermo


 Via Castellana Bandiera (2013) di Emma Dante con Emma Dante, Alba Rohrwacher, Elena Cotta

Patrizia Vincenzoni
Via Castellana Bandiera, della regista e drammaturga Emma Dante, presentato con successo alla 70 mostra del cinema di Venezia, è un film tratto da un suo romanzo scritto nel 2009. La via esiste realmente in uno dei suburbi della città di Palermo, città nella quale l'autrice e attrice è nata e vive.
Questa strada sterrata tortuosa e strettissima, di cui vediamo solo un budello, quasi non ci fosse via di uscita, è il contesto nel quale si confrontano Samira, ormai in là con gli anni, rimasta a vivere con il marito della figlia morta qualche anno prima e Rosa, palermitana fuggita a suo tempo dalla città e da un conflitto irrisolto con la madre, tornata nella città d'origine solo di passaggio per accompagnare al matrimonio di un amico la sua compagna. Provenendo da direzioni opposte al volante delle rispettive automobili, le due donne si incontrano sulla via che dà il titolo al film, ma nessuna delle due vuole cedere il passo all'altra. Le vediamo così precipitare in uno stato di immobilismo, abbarbicate ai rispettivi volanti, negli abitacoli delle automobili ferme muso contro muso, nel pieno della canicola pomeridiana agostana. La sfida dopo un po' perde i tratti della competizione caparbia e irragionevole, per delinearsi, invece, come una non del tutto consapevole complicità che permette a entrambe, con esiti diversi, di volgere il proprio sguardo all'interno di sé. Samira e Rosa iniziano una 'muta affabulazione', in un tacito e inconsapevole scambio attraverso il quale scorre qualcosa non solo di attuale, ma anche riguardante le loro vite e i vissuti ad esse legati. A unirle e insieme a dividerle, in un pomeriggio e in una notte lunghissime, è il fatto di essere certamente in un confronto nel - e attraverso il - quale la posta in gioco non è solo chi molla per prima, ma anche il voler continuare a restare nella situazione per cercare la possibilità di riconciliarsi con la propria storia e recuperare il contatto simbolico con le origini e parlare nuovamente le parole della propria lingua (anche psichica), della cultura di provenienza.

giovedì 26 settembre 2013

Bibliofilia: un bibliosonetto di Paul Verlaine

Paul Marie Verlaine
 (Metz, 30 marzo 1844 - 
Parigi, 8 gennaio 1896)

Nel susseguirsi incessante di "Giornate" dedicate ai temi più disparati, che vanno a sostituire i santi del vecchio calendario, qualcuno nel 2001 ha deciso che il 26 settembre si celebrino le lingue dell'Europa. Una nota della Commissione Europea precisa che l'obiettivo è "sensibilizzare il pubblico al plurilinguismo in Europa, coltivare la diversità culturale e linguistica e incoraggiare l’apprendimento delle lingue da parte di tutti, dentro e fuori il contesto scolastico". Monteverdelegge prende in parola l'invito e festeggia la Giornata europea delle lingue, presentando un  sonetto  poco noto di Verlaine, Bibliophilie, in versione originale e in traduzione, e proponendo ai lettori volenterosi di traghettare in italiano anche gli altri testi della raccolta Biblio-sonnets, finora inediti nella nostra lingua. (Chi desidera partecipare all'impresa è invitato a mandare un'email a monteverdelegge@gmail.com)


Paul Verlaine è uno delle maggiori figure europee dell'Ottocento.
Una personalità complessa, caparbiamente contraddittoria. Paul Claudel potrà affermare: "Noi quest'uomo non lo conosciamo e non sappiamo chi sia".
E un poeta sommo, in grado di relazionarsi, nelle suggestioni, alle correnti artistiche francesi a lui contemporanee, quelle pittoriche (impressioniste) e musicali (l'amico Debussy). 
Il suo stile struggente, estenuato, ma privo di gravezze o pose decadenti può essere pienamente percepito in uno stralcio della sua composizione più nota e indicativa, Languore


"Sono l'Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi barbari bianchi
componendo acrostici indolenti
in uno stile d'oro dove danza il languore del sole"


Nella quartina c'è tutto: la preziosità, la rinuncia, una molle e indefinita nostalgia, una disperazione sottesa e dolcissima.
L'opera di Verlaine, gigantesca, è spesso oscurata dalla biografia dove risalta la tumultuosa relazione con Arthur Rimbaud, la conversione al cattolicesimo, la miseria assillante, l'alcolismo.
Pochi sanno, ad esempio, che pochi mesi prima di morire egli compose diversi sonetti sul libro e sulla passione per il libro. I Biblio-sonnets furono pubblicati postumi, nel 1913, un secolo fa. A tutt'oggi non se ne conoscono traduzioni integrali italiane.
Solo Bibliophilie è stato convertito nella nostra lingua.
Nella speranza che qualcuno, prima o poi, si accinga a farlo, ecco Bibliofilia


Bibliofilia (12 ottobre 1895)

Il vecchio libro che si è letto e riletto tante volte!
In pezzi, straziato e desolante, logoro e orrendo,
rieccolo d'un tratto vivo, vezzoso, volto giovane,
delicato al tatto, delizia degli occhi e delle dita.

Quel libro creduto morto, cosa d'ombra e spavento,
la sua resurrezione "non stupisce il saggio".
Chi sa, o Rilegatore, artista e insieme mago,
quanto tu faccia anche meglio del dovuto.

Lo si riprende, quel libro in piena giovinezza,
come una vecchia amante cui una fata
abbia restituito tutta la sua verginità;

lo si rilegge come ascoltando la Musa
d'un tempo, voce d'oro arrochita dall'età,
di nuovo limpida, a divertirci ancora.


Bibliophilie


Le vieux livre qu’on a lu, relu tant de fois !
Brisé, navré, navrant, fait hideux par l'usage,
Soudain le voici frais, pimpant, jeune visage
Et fin toucher, délice et des yeux et des doigts.

Ce livre cru bien mort, chose d'ombre et d'effrois,
Sa résurrection « ne surprend pas le sage ».
Qui sait, ô Relieur, artiste ensemble et mage,
Combien tu fais encore mieux que tu ne dois.

On le reprend, ce livre en sa toute jeunesse,
Comme l’on reprendrait une ancienne maîtresse
Que quelque fée aurait revirginée au point ;

On le relit comme on écouterait la Muse
D'antan, voix d'or qu'éraillait l'âge qui nous point :
Claire à nouveau, la revoici qui nous amuse

mvl Teatro: Yaneura, chiusi in una stanza per paura di vivere


Maria Cristina Reggio
Quattordici  attori strepitosi e  due metri cubi di spazio scenico: questi gli "elementi" con cui Yōji Sakate, regista,  drammaturgo e direttore della giapponese  Rinkogun Theater Company ha "usato" il palco del Teatro Vascello per fare attraversare agli spettatori il tempo e lo spazio in  due sole ore. La scena era costituita solo da una capanna a sezione trapezoidale, privata della parete frontale  e provvista di alcune botole, da cui gli attori entravano e uscivano seguendo tutte le direzioni possibili, strisciando, scomparendo, rotolando, levitando, infilandosi di soppiatto e gettandosi. Questa piccola capanna era in realtà  una mansarda, in giapponese Yaneura, ovvero una stanza che unʼimprobabile ditta avrebbe progettato e realizzato, (ci si chiede se si trattasse di una ditta vera oppure tutto fosse il  frutto di una fantasia  manga) corrispondendo alla domanda di tanti giovani adolescenti-consumatori che hanno scelto di vivere reclusi nella loro casa, gli hikikomori (termine composto da due parole,  hiku "tirare" e komoru, ritirarsi).  Il racconto si sviluppava in ventiquattro quadri, scanditi da siparietti di buio con un ritornello ossessivamente uguale a sé stesso,  nei quali quella stessa "yaneura" si trovava collocata in spazi diversi, evocati solo da suoni e rumori di ambiente, come le voci di un affollato mercato, o di una strada, o il suono di un citofono. 

martedì 24 settembre 2013

Pablo Neruda, ode all'Italia (e alla propria donna e all'odore della legna)

Michael Radford, Il postino
Pochi giorni dopo il golpe che l'11 settembre 1973 rovesciò in Cile il governo di Salvador Allende e segnò l'inizio della lunga dittatura militare di Augusto Pinochet, moriva a Santiago il più celebre poeta cileno della seconda metà del Novecento, Pablo Neruda. A quarant'anni di distanza, lo ricordiamo, mettendo in luce soprattutto i suoi fortissimi legami con l'Italia.



G. Luca Chiovelli 

Pablo Neruda (Ricardo Eliezer Neftalí Reyes Basoalto, Parral, 12 luglio 1904 - Santiago del Cile, 23 settembre 1973)

Così scriveva Neruda in uno stralcio dell'autobiografia Confesso che ho vissuto:

La terra d'Italia conserva le voci dei suoi antichi poeti nelle sue purissime viscere. Nel calpestare il suolo delle campagne, nell'attraversare i parchi dove l'acqua scintilla, nel solcare le sabbie del suo piccolo oceano azzurro, mi sembrò di calpestare diamantine sostanze, cristalli segreti, tutto lo splendore conservato dai secoli. L'Italia ha dato forma, suono, grazia e impeto alla poesia dell'Europa; la trasse dalla sua prima forma informe, dalla sua rozzezza vestita di panno e armatura. La luce dell'Italia ha trasformato le vesti a brandelli dei giullari e le corazze di ferro delle canzoni di gesta in un fiume in piena di scintillanti diamanti.

Ai nostri occhi di poeti arrivati da poco alla cultura, venuti da paesi in cui le antologie cominciano con i poeti del 1880, faceva impressione vedere nelle antologie italiane la data del 1230, o del 1310, o del 1450, e fra queste date le terzine abbaglianti, l'appassionata bellezza, la preziosità e la profondità degli Alighieri, dei Cavalcanti, dei Petrarca, dei Poliziano.

Questi nomi e questi uomini prestarono luce fiorentina al nostro dolce e poderoso Garcilaso della Vega, al benigno Boscán, illuminarono Góngora e tinsero con il loro dardo di ombra la malinconia di Quevedo, modellarono i sonetti di William Shakespeare d'Inghilterra e accesero le essenze di Francia facendo fiorire le rose di Ronsard e Du Bellay.
Nascere nelle terre d'Italia è difficile impresa per un poeta, impresa stellata che comporta fare proprio un firmamento di splendenti eredità”.


Neruda e l'Italia. Un legame non secondario. L'edizione de I cento sonetti d'amore, pubblicata a Buenos Aires nel 1960, fu corredata da quattro tavole che riproducevano altrettanti capolavori pittorici, di cui tre italiani: la Venere addormentata di Giorgione, Marte e Venere del Veronese, Susanna al bagno di Tintoretto.
Ecco un sonetto fra i cento, quello che mi piace di più:

I racconti di MVL - In amor vince chi fugge

Dopo la rivisitazione di Cenerentola nel racconto Mai troppo tardi, padre, Marta Ancona torna a pescare nello sterminato serbatoio delle fiabe per proporci una versione "double face" del Principe ranocchio

Marta Ancona
Versione I

- Appena in tempo! - disse, asciugandosi il sudore gelato, dopo il salto funambolico che lo aveva salvato da morte certa per asfissia.
Al riparo della fresca e umida ombra nella quale si era mimetizzato trovò il coraggio di guardare là .....oltre....E la vide.
- E’ pazza! - soggiunse poi, rabbrividendo di nuovo al pensiero dello scampato pericolo.
Lei, umiliata e delusa, vagava mestamente, come ubriaca. Ancora una volta era stata a un passo, un passo solo....
- Eppure è scritto - rifletté. - Ci sarà pure, da qualche parte del mondo.....No, non mi stancherò di cercarti, ovunque tu sia, Rospettino mio! - concluse rianimata la Principessa.

Versione II

- Lasciami, mi soffochi!
- Un bacio solo, ti prego, non te ne pentirai. Ricordi il poeta: Un apostrofo rosa....; e poi....
- Non essere ridicola. Il punto è che non vuoi prender atto della realtà. C’è un abisso tra noi!
- Infatti occorre un salto, un salto qualitativo.
- Ne ho già fatti tanti, e sono stanco. Ti prego. Non sperare in improbabili metamorfosi.
- Ma che cosa mi resta se non alimento questa speranza?
- Solo questo: sono quel che sono, e tale voglio restare.
- Un rospo?
- Un Rospo, Principessa.

domenica 22 settembre 2013

Dove si legge, quanto si legge, come si legge(rà)

Quella che vedete qui a fianco (cliccare sull'immagine per vederla ingrandita) è una mappa piuttosto sorprendente sulla lettura nel mondo realizzata  dal World Culture Score Index e circolante da un paio di mesi in rete. Sorprendente perché ribalta - ammesso che i dati siano attendibili - non pochi luoghi comuni: chi avrebbe mai detto che i paesi dove si legge di più al mondo sono l'India e la Thailandia? o che l'Arabia Saudita batte la Polonia, l'Australia e la Germania? o che infine - soprattutto - in Italia si legge di più che nel Regno Unito? Mentre ci grattiamo la testa perplessi, non possiamo fare a meno di pensare che, oggi più che mai, il mondo della lettura è estremamente variegato e in continua evoluzione. La conferma ce la dà Maurizio Caminito che in un articolo uscito sul blog Avvertenze per geni descrive il progetto Oyster da poco lanciato negli Usa e destinato, se avrà successo, a influenzare notevolmente le nostre abitudini di lettura.
Maurizio Caminito
Si è detto ed argomentato molto su come nell’ambiente digitale la fruizione della musica e della scrittura tendano ad avvicinarsi. In realtà è indubitabile che la produzione musicale sia stata investita per prima dall’uragano web: pirateria, fruizione musicale frammentata, crisi delle major, crollo delle vendite, crisi del settore. Gli editori hanno sempre guardato con terrore a quanto stava accadendo in campo musicale. E, viceversa, il mondo del web ha sempre sottolineato come proprio l’esempio delle case produttrici musicali e la loro strenua difesa del file musicale attraverso l’applicazione di “lucchetti” e dispositivi di protezione, si fosse rivelata perdente e sostanzialmente dannosa. La prima reazione alla crisi mondiale del settore della produzione musicale è stato il modello di vendita applicato da iTunes.  Il “long playing” si è trasformato in una compilation digitale, su una piattaforma sicura, da scaricare sul proprio dispositivo, acquistare e ascoltare brano per brano. L'iTunes Store è stato uno strumento di rottura per l'industria discografica, ma è stato anche una boccata d’ossigeno per tutti: Apple, gli utenti e le major discografiche.  Dal 2011 l'iPod è il lettore multimediale più venduto al mondo, con una quota di mercato superiore all'80%, mentre iTunes Store è il "mercato" digitale più usato al mondo, con 10 miliardi di brani venduti. Per gli editori questo modo di offrire al pubblico i contenuti in formato digitale non offriva indicazioni particolarmente utili. La lunghezza dei testi scritti (il racconto e ancor più il romanzo) non è compatibile con un processo di parcellizzazione simile a quello dei brani musicali. L’unico effetto, indiretto e derivato più in generale dall’affermarsi nel web di un’abitudine all’uso di testi sempre più brevi e sintetici, è rappresentato dalla graduale diffusione sul mercato di formati di testi sempre più ridotti.

L'incipit della domenica, Attraverso l'Atlantico in pallone


Dal 26 al 29 settembre a Roma, a Villa Celimontana e al Palazzo delle Esposizioni, si tiene  la sesta edizione del Festival della Letteratura di Viaggio (paesi ospiti gli Stati Uniti e il Brasile, tra i partecipanti Ennio Morricone e Vinicio Capossela), e noi dedichiamo l'incipit domenicale di oggi a uno scrittore che in effetti viaggiò solo nelle pagine dei suoi libri, Emilio Salgari, ma che è noto per le esotiche atmosfere dei suoi romanzi d'avventura. In questo caso, però, siamo lontani dalla Malesia e preferiamo proporre le prime righe di un testo meno famoso, Attraverso l'Atlantico in pallone, del 1896.

Emilio Salgari
“Hurrah!” urlano diecimila voci.
“Evviva il Washington!”
“Hurrah per Mister Kelly!”
“Mille dollari a chi ci tiene!” grida una voce.
“Siete pazzo Paddy?... Li perderete: ve lo assicuro io.”
“Duecento sterline!...” grida un’altra voce.
“Chi ci tiene?”
“Su chi scommettete?”
“Sulla riuscita della traversata!”
“Ecco un altro pazzo! Avete molte sterline da gettare in mare, Mister Holliday!”
“Le vincerò: Kelly attraverserà l’oceano e scenderà in Inghilterra.”
“No, in Spagna”, grida un altro.
“In Spagna o in Inghilterra, poco importa. Chi ci tiene a duecento sterline?”

sabato 21 settembre 2013

Teatro, un Vascello per tutti


Mercoledì scorso, alla conferenza stampa per lʼapertura della stagione 2013-14 del Teatro Vascello, accanto a Manuela Kustermann che presentava, insieme con tanti autori, attori e registi che si avvicendavano sul palco, il fitto programma preparato per gli spettatori, era presente una donna che, con un largo sorriso luminoso, traduceva tutto quello che veniva detto nella lingua dei segni, utilizzata dalle persone sorde. Il Vascello, il teatro del nostro quartiere, il cui ampio palcoscenico che si offre allo sguardo di una platea disposta come una cavea ha ospitato gli attori più interessanti e famosi del mondo, festeggia così un quarto di secolo di vita, aprendosi anche a chi spesso è lasciato fuori dalle platee a causa di diverse disabilità sensoriali.  Infatti, dal 29 novembre al 1° dicembre, vi si potrà assistere a CINEDEAF, il festival del cinema sordo di Roma: non un cinema "per", ma "con i sordi", mentre dal 17 al 18 novembre la Compagnia TeArca Onlus porterà alla luce una storia di "invisibili", CONDOMINIO OCCIDENTALE, con attori non vedenti.


Ma ci sarà anche molto spazio, come avviene ormai da tanti anni, per i bambini, con la programmazione articolata del VASCELLO DEI PICCOLI, da ottobre a marzo, con diverse produzioni, come RIBOLLE (compagnia Ribolle), IL GOBBO DI NOTRE DAME, PETER PAN (TSI La Fabbrica dellʼattore), SANDOKAN (Sacchi di Sabbia-Lombardi Tiezzi), IL CARNEVALE DEGLI ANIMALI (Bustric) e LA VERA STORIA o quasi... DI TRE MOSCHETTIERI (Compagnia Teatrale Il Sentiero di Oz).
E poi la programmazione del Vascello che, come avviene dal 1989, anno della sua nascita ad opera dello scomparso Giancarlo Nanni, si è connotato, di fronte  alla platea romana, come un teatro attento alle interferenze e alle contaminazioni tra diverse pratiche teatrali e artistiche: dal teatro tradizionale ai concerti, alla poesia, alla performance, alla danza, al video, alle arti visive, al teatro nelle scuole, al cinema, fino ai reading di un intero quartiere organizzati dalla nostra associazione culturale Monteverdelegge. Ed ecco allora unʼanteprima della stagione che avrà luogo domenica  22 settembre prossimo alle 18,00 con YANEURA, di Theater Company Rinkogun, e a seguire, il 29 di questo mese, il CONCERTO ROSACROCE PER VETTOR PISANI, dalle ore 19 fino alle 24,  con tanti attori, filosofi, critici e galleristi che si alterneranno sul palco per commemorare lʼartista morto suicida nellʼagosto del 2011. Il 1° ottobre sarà dedicato alla danza, con una prima internazionale della Odyssey Dance Theatre di Singapore e Motus danza, con OM e MEETING POINT, e ancora per la danza vedremo il Balletto di Roma in THE QUARTET, (24-27 ottobre) e la MMCompany -Michele Merola con CINQUE CANTI, la compagnia Petrillo Danza in VAN GOGH (27-28 novembre).

La stagione  di prosa debutta il 4 ottobre con una nuova produzione di TSI La Fabbrica dellʼattore, IL PADIGLIONE DELLE MERAVIGLIE scritto nel 1924 da Ettore Petrolini, con la regia di Massimo Verdastro, con questʼultimo in scena insieme a Manuela Kustermann fino al 13 ottobre, cui seguirà, dal 16 al 20 ottobre unʼaltra produzione della TSI La Fabbrica dell’Attore, MALÌA di Gianni Guardigli, altro autore italiano contemporaneo, con la regia Ida Bassignano. Successivamente il teatro aprirà il suo sipario, come da tradizione, alla già preziosa rassegna LE VIE DEI FESTIVAL, la cui programmazione è ormai decurtata da vistosi tagli del Comune di Roma che la assotigliano fino alla quasi invisibilità: solo uno spettacolo in programmazione, questʼanno, il CIRCUS KLEZMER della Compagnia Aire Aire di Barcellona, uno spettacolo poetico ed esilarante visto per pochi giorni lo scorso anno al teatro Argentina.  

Bianco è il colore del terrore / 2

J. Whistler - Sinfonia in bianco #3 (1865)


Il bianco torna insistente in Robert W. Chambers, nei suoi racconti ancora sconosciuti in Italia, L’ombra bianca o L’isola del dolore, o nel più celebre Il segno giallo (1895) in cui possiamo contemplare un candido, vermiforme, repellente guardiano cimiteriale; e ancora in Matthew P. Shiel, nel capolavoro catastrofico La nube purpurea (1901), o nel sottovalutato La nave fantasma, di Oliver Onions: qui un battello maledetto, quello dell’Olandese Volante, ha le note stimmate ominose del non-colore:

I suoi occhi trovavano solo bianco: il bianco della vecchiezza estrema. In un punto il bianco luccicava come grani di sale; in un altro era grigio e gessoso, e in un altro ancora aveva la sfumatura gessosa della decadenza ... Dovunque c'era il lieve, inquietante biancore delle sostanze da cui la vita se ne andava. I cordami erano sbiancati come sbianca la paglia vecchia, e metà delle cime mantenevano la forma quanto la mantiene la cenere di uno spago dopo che il fuoco si è spento. Le pallide ordinate erano bianche e pulite come ossa trovate fra la sabbia. E perfino l'incenso con il quale ... la nave era stata impeciata si era seccato ed era diventato una pallida sostanza gommosa che scintillava come quarzo ..."


Nel raffinato Il popolo bianco, di Arthur Machen (1899 circa), le creature “bianco panna”, testimoniate dal diario di un’adolescente, sono entità maligne, celate all’occhio profano, variamente appellate lungo il corso della storia umana: folletti, driadi, fate, streghe. Solo gli iniziati alla magia possono accostarsi ad esse senza perdere il senno (o la vita, come nel caso della protagonista).
In H. G. Wells, nel classico L’uomo invisibile (1897), lo scienziato che ha scoperto il siero portentoso, Griffin, è albino: “ ... aveva capelli e sopracciglia bianchi - non grigi per l'età, ma bianchi come quelli degli albini e gli occhi rossi come rubini …”; un novello Dracula, insomma, incolore, indefinito, sfuggente al dominio dei sensi e opposto alla moralità corrente, in tal caso quella di una cittadina della provincia inglese; lo straniero arriva ovviamente“… in una giornata d’inverno … durante l’ultima nevicata dell’anno, fra un turbinio di neve e folate di vento gelido”.

venerdì 20 settembre 2013

Perduta / mente


Auguste D.


Può suonare forse strano che si "celebri" una Giornata mondiale dell'Alzheimer, sicuramente meno strano che si sia scelto il 21 settembre, giorno che segna il passaggio tra estate e autunno, per ricordare a tutti la diffusione di una malattia che colpisce soprattutto quando declinano le forze. E dunque, mentre a Roma e altrove si tengono convegni e altre iniziative, noi qui proponiamo un link a un articolo di Pietro Barbetta sulla figura di Alois Alzheimer e anticipiamo una pagina dal romanzo di Flavio Pagano Perdutamente che Giunti manda in libreria in concomitanza con la Giornata.

Flavio Pagano
Una sera, aspettando che mia madre si addormentasse, riflettevo sul fatto che l’età media della specie umana è destinata in futuro ad aumentare fin quasi all’immortalità. Ma in realtà non sarà la vita ad allungarsi, bensì soltanto la vecchiaia, per cui le prossime generazioni vivranno assediate dall’esercito inerme e sterminato di vecchi rincoglioniti che pian piano invaderà il pianeta, e il loro unico scopo nella vita sarà sfamarli e accudirli.
Vorrei poter dire che, mentre mi abbandonavo a queste considerazioni, mi trovavo comodamente seduto in salotto, con un setter accucciato su una pelle di leopardo davanti alla mia poltrona, una coppa di cognac alla mano, e che contemplavo beatamente il camino acceso, carezzandomi i pantaloni di tweed. Ma non fu così che andò: ero sì seduto in poltrona, ma mi trovavo in camera di mia madre. Alla fine ad addormentarmi ero stato io e quando mi risvegliai di soprassalto, scoprii che il suo letto era vuoto. E, soprattutto, che davanti agli occhi non avevo un focolare, bensì un principio d’incendio. L’incendio che lei – seduta sulla sedia a rotelle – aveva appena appiccato, maneggiando sbadatamente certi lumini a cera.
Li teneva in una specie di ara domestica, destinata al culto dei santi e dei morti in un fulminante cortocircuito religioso fatto di cristianesimo delle origini, scintoismo e paganesimo terrone. E quella sera, per motivi imperscrutabili, aveva deciso che era venuto il momento di accenderli.

L'incanto della lettura ad alta voce, la nuova stagione di MVL_Bambini

Enza Bertoni
L'incanto del leggere continua... Ebbene sì, riprendiamo il lavoro iniziato anno scorso e che ha avuto un seguito felice, poiché sia i bambini più piccoli (6-7 anni) sia i più grandi (9-10 anni) hanno seguito con curiosità e interesse.
I libri classici non conoscono stagioni, non invecchiano mai, tant'è che l'anno scorso abbiamo letto il classico dei classici: Pinocchio, e poi Peter Pan e Le avventure di Tom Sawyer. Le avventure dei personaggi hanno aperto grandi spazi all'immaginazione, al pensare, al guardare attraverso le cose, sentire e capire. "Il libro deve essere vento e aprire le tende" dice un verso di Nazim Hikmet e così abbiamo cercato di fare nel nostro piccolo (s'intende) nel corso degli incontri.
Riprenderemo per i più grandi la lettura di Tom Sawyer, che ha promosso passione e partecipazione mentre per i piccoli attingeremo dai classici.
Pretendere che i bambini amino a priori le letture di cui ci siamo innamorati noi è assurdo. Per questo, si faranno delle proposte e loro sceglieranno. Importante è che ricevano stimoli sufficienti per farlo.
Leggere non deve essere separato dal gusto del narrare, ascoltare è un piacere! Storie affascinanti faranno innamorare i bambini. Ascoltare con amore è cosa buona. Passione, partecipazione, libertà, piacere saranno i momenti fondanti dei nostri incontri, dove la felicità di stare insieme ci unirà e ci collegherà al mondo delle emozioni.
Il nostro tempo segnala una crisi della lettura e quindi del discorso educativo, ma l'oggetto libro ci apre nuovi orizzonti, che potremmo condividere insieme alle famiglie.
Gli incontri potrebbero servire non solo ai bambini, ma anche ai genitori, per risvegliarli al mondo fantastico, che è quello del bambino e che hanno lasciato quando i figli hanno varcato la soglia della scuola.
I libri ci aprono un nuovo mondo, un altro mondo, lo scambio, l'incontro, le relazioni, le amicizie, gli scambi intellettuali. Perché riservarlo solo ai piccoli? Forse gli stessi libri potrebbero leggerli i genitori e poi discuterne.
 
Chi desidera avere maggiori informazioni sull'attività di MVL_Bambini è invitato a mandare un'email a Enza Barbato
 

giovedì 19 settembre 2013

A coloro che verranno

Bertolt Brecht (Augusta, 10 febbraio 1898 - Berlino Est, 14 agosto 1956)


Si afferma spesso che la Storia si ripete; a volte in modo farsesco. Questo è un luogo comune, e non è detto che sia erroneo. Personalmente ritengo che la Storia, ad un certo punto del proprio svolgimento, riavvolga il nastro per un po'. Seccata poiché non ha insegnato nulla, decide di ritornare ai blocchi di partenza del secolo. Per darci un'altra possibilità o divertirsi, chi lo sa.
Brecht scrisse tale poesia nel 1938.
È una poesia che presagisce i cupi tempi futuri, ma, essenzialmente, rimane una composizione sulla speranza. Io - dice il poeta - ho vissuto in tempi bui, accanto agli assassini, senza distillare il frutto della quiete e della saggezza, in tempi di confusione, fra gli strepiti delle lotte, nei regni della fame. Non ho vissuto come filosofo - gentile e composto - perché l'ingiustizia da combattere richiedeva soldati temprati, usi a consumare un po' di pane fra le battaglie, in fuga per il mondo; e la voce dei profughi e dei fanti di questi eserciti è roca e sgraziata. Così - continua il grande poeta - ho consumato la mia vita; ma io e i miei compagni, che non siamo stati gentili - prosegue - abbiamo pur apprestato il terreno alla gentilezza; l'abbiamo fatto per voi, che siete coloro che verranno, quelli che scamperanno i gorghi della guerra, del bisogno e dell'iniquità. Abbiamo preparato un mondo di giustizia - egli conclude - un mondo che voi godrete, ma che noi possiamo solo intravedere come una biblica terra promessa; per questo, solo per questo, spero che vogliate perdonare le nostre debolezze di combattenti.
Quelli che sono venuti dopo Brecht siamo noi. Abbiamo mangiato alle tavole della pace, poi addirittura gozzovigliato erodendo il credito delle lotte di chi venne al tempo delle rivolte, cambiando più paesi che scarpe.
Ora la Storia rovina all'indietro.
Oggi, a differenza di ieri, viviamo nella serenità apparente, ingentiliti nell'ozio. 
Ma le nubi si addensano. Si prepara la guerra inevitabile. E, a coloro che verranno, non abbiamo nulla da offrire.

mercoledì 18 settembre 2013

Le incombenze dei ruffiani

Dal capitolo XXXII del Zhuang Zi proponiamo un breve testo nella traduzione inedita di Paolo Morelli.

宋人有曹商者,為宋王使秦。其往也,得車數乘;王說之,益車百乘。反於宋,見莊子曰:”夫處窮閭阨巷,困窘織屨,槁項黃馘者,商之所短也;悟萬乘之主,而從車百乘者,商之所長也”。莊子曰:”秦王有病召醫,破癰潰痤者得車一乘,舐痔者得車五乘,所治愈下,得車。子豈治其痔邪?何得車之多也?子行矣!”


C’era un tizio di Song a nome Cao Shang, il quale faceva le ambasciate per il suo re nello stato di Qin. Già all’andata rimediava tanti regali da riempire un carro, se poi il re di Qin era contento di lui ne aggiungeva cento volte tanto. 
Di ritorno a Song aveva incontrato Zhuang Zi. Vivi in una povera casa in fondo a un vicolo buio, gli aveva detto, campi da miserabile intrecciando sandali di paglia, la faccia pallida e scavata e il collo vizzo da morto di fame… Non è cosa per me! Io frequento ricchi e potenti, ungo le ruote e man mano faccio carriera. È così che si fa.
 Ho sentito dire, gli aveva risposto Zhuang Zi, che se il re di Qin sta male e chiama un medico, a quello che gli svuota il pus da un ascesso o gli incide un foruncolo regala una carrettata di roba, chi invece gli lecca le emorroidi ne prende cinque volte tanto. Più degradante è il servizio più si rimedia. Te sicuro hai leccato le emorroidi alla grande, se no come avresti ottenuto tanta roba? Sparisci!!

traduzione di Paolo Morelli