mercoledì 27 novembre 2013

Il cane di Petrarca

Francesco Petrarca fu sempre un amante della vita campestre.
Lo si sente da come parla del proprio rifugio nella campagna, Valchiusa (Fontaine-de-Vaucluse, nella Provenza), accanto alla fonte del fiume Sorga. Ecco una lettera indirizzata all'amico Guido Sette:

" ... quei campi rappresentano il luogo della pace, la casa del riposo, il porto delle fatiche, l'ospizio della serenità, l'officina della solitudine ... Non vi si sente il fragore delle armi, il tripudio vano dei trionfi o l'inconsulta tristezza che può nascere per ragioni opposte, e dalla quale siamo ora angosciati. Guizzano i pesci argentei nell'onda cristallina, sparsi per i prati lontano muggiscono i buoi, sussurrano i venti leggermente muovendo le fronde, diversamente cantano gli uccelli sui rami ..." (1)
La prosa del poeta Francesco Petrarca è, ahi, spesso superiore alla prosa del prosatore Giovanni Boccaccio. E qui, in tali passi, essa ha un gusto assolutamente sincero, tanto che i rimandi, coltissimi, alla classicità, si stemperano in un'aria dolcemente bucolica.


Il disegnino di Petrarca

Rimane celebre, peraltro, un suo disegno della fonte apposto a margine d'un codice di Plinio. Ancor più celebre rimane la didascalia: "Transalpina solitudo mea iucundissima".

A Valchiusa Petrarca si dedica al giardinaggio, educa il proprio orto, rinforza tignoso gli argini del fiume, esegue arditi esperimenti botanici.
Conosce la fatica, spartisce la frugalità delle costumanze contadine:

"leggera è la mia cena ... mi fa da servo il contadino, e ho per compagni me stesso e il cane fedele ..." (2)

Nella primavera del 1347, il cardinal Giovanni Colonna, conoscendo, minuzioso, i gusti di Francesco Petrarca, omaggia il poeta d'un altro cane, di razza spagnola e taglia grande, bianco, simpatico e vivace.
Petrarca lo porta con sé in Provenza. I due diventano inseparabili e compagni costanti.
All'animale il poeta dedica alcune righe d'una epistola in versi, scritta, forse, nell'estate dello stesso anno, in ringraziamento al potente cardinale:
Ogni volta che, stanco,
Dormo più a lungo del solito, guaisce
E mi avverte che il sole è tornato e raspa con le zampe alla mia porta.
Quando esco, mi saluta con espressione gioiosa
E mi precede verso i luoghi che abbiamo visto spesso insieme e sovente
Volge gli occhi indietro a guardarmi ...
Mi dà inoltre un continuo divertimento:
A gran salti percorre i colli e il fiume,
Con l'acuto guaire imita i fanciulli che cantano,
Fa movimenti che muovono al riso, e come acerrimo nemico
Sta sempre inseguendo le anatre selvatiche;
Le insegue sul lido e sugli altri scogli,
E quegli uccelli infelici non sono al sicuro nemmeno sotto l'acqua:
Anche in mezzo al fiume si tuffa a prenderle
E le tira fuori, offrendo anche a chi non voglia una lauta cena (3)
Nei versi di Francesco Petrarca, ovviamente, il proprio cane (grande, bianco, vivace, simpatico) cessa di essere tale per divenire, definitivo, in quindici righe, IL cane.

(1) A Guido Sette, 21 ottobre 1353
(2) A Giacomo Colonna, 1338
(3) A Giovanni Colonna, 1346; rivista, forse, nel 1356

3 commenti:

  1. che struggimento, che ritratto! mi dà gioia leggere il blog di Monteverdelegge perché scopro una miriade di cose che non conoscevo, e che forse mai avrei conosciuto, per es. questa prosa di Petrarca così elegante e moderna, piuttosto asciutta, tutto sommato, senza le contorsioni sintattico-latine del grande Boccaccio

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    1. Petrarca amava anche una gatta che, ogni volta che ero al tavolo di lavoro, si acciambellava ai suoi piedi (e teneva lontani i topi dai preziosi manoscritti del padrone).
      Imbalsamata, puo ancora vedersi nella tomba del poeta ad Arqua, Padova.

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  2. A Marta: i testi citati in questo pezzo sono stati da Petrarca scritti in latino, e l'epistola sul cane era addirittura non in prosa, ma in esametri: quindi la prosa elegante e moderna è del traduttore. Silvia

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