Francesco Petrarca fu sempre un amante della vita campestre.
Lo si sente da come parla del proprio rifugio nella campagna,
Valchiusa (Fontaine-de-Vaucluse, nella Provenza), accanto alla fonte
del fiume Sorga. Ecco una lettera indirizzata all'amico Guido Sette:
" ... quei campi rappresentano il luogo della pace, la casa del
riposo, il porto delle fatiche, l'ospizio della serenità, l'officina
della solitudine ... Non vi si sente il fragore delle armi, il
tripudio vano dei trionfi o l'inconsulta tristezza che può nascere
per ragioni opposte, e dalla quale siamo ora angosciati. Guizzano i
pesci argentei nell'onda cristallina, sparsi per i prati lontano
muggiscono i buoi, sussurrano i venti leggermente muovendo le fronde,
diversamente cantano gli uccelli sui rami ..." (1)
La prosa del poeta Francesco Petrarca è, ahi, spesso superiore
alla prosa del prosatore Giovanni Boccaccio. E qui, in tali passi,
essa ha un gusto assolutamente sincero, tanto che i rimandi,
coltissimi, alla classicità, si stemperano in un'aria dolcemente
bucolica.
Il disegnino di Petrarca |
Rimane celebre, peraltro, un suo disegno della fonte
apposto a margine d'un codice di Plinio. Ancor più celebre rimane
la didascalia: "Transalpina solitudo mea iucundissima".
A Valchiusa Petrarca si dedica al giardinaggio, educa il proprio
orto, rinforza tignoso gli argini del fiume, esegue arditi
esperimenti botanici.
Conosce la fatica, spartisce la frugalità delle costumanze
contadine:
"leggera è la mia cena ... mi fa da servo il contadino, e ho
per compagni me stesso e il cane fedele ..." (2)
Nella primavera del 1347, il cardinal Giovanni Colonna,
conoscendo, minuzioso, i gusti di Francesco Petrarca, omaggia il
poeta d'un altro cane, di razza spagnola e taglia grande, bianco,
simpatico e vivace.
Petrarca lo porta con sé in Provenza. I due diventano inseparabili
e compagni costanti.
All'animale il poeta dedica alcune righe d'una epistola in versi,
scritta, forse, nell'estate dello stesso anno, in ringraziamento al
potente cardinale:
Ogni volta che, stanco,
Dormo più a lungo del solito, guaisce
E mi avverte che il sole è tornato e raspa con le zampe alla mia
porta.
Quando esco, mi saluta con espressione gioiosa
E mi precede verso i luoghi che abbiamo visto spesso insieme e
sovente
Volge gli occhi indietro a guardarmi ...
Mi dà inoltre un continuo divertimento:
A gran salti percorre i colli e il fiume,
Con l'acuto guaire imita i fanciulli che cantano,
Fa movimenti che muovono al riso, e come acerrimo nemico
Sta sempre inseguendo le anatre selvatiche;
Le insegue sul lido e sugli altri scogli,
E quegli uccelli infelici non sono al sicuro nemmeno sotto
l'acqua:
Anche in mezzo al fiume si tuffa a prenderle
E le tira fuori, offrendo anche a chi non voglia una lauta cena (3)
Nei versi di Francesco Petrarca, ovviamente, il proprio cane
(grande, bianco, vivace, simpatico) cessa di essere tale per
divenire, definitivo, in quindici righe, IL cane.
(1) A Guido Sette, 21 ottobre 1353
(2) A Giacomo Colonna, 1338
(3) A Giovanni Colonna, 1346; rivista, forse, nel 1356
che struggimento, che ritratto! mi dà gioia leggere il blog di Monteverdelegge perché scopro una miriade di cose che non conoscevo, e che forse mai avrei conosciuto, per es. questa prosa di Petrarca così elegante e moderna, piuttosto asciutta, tutto sommato, senza le contorsioni sintattico-latine del grande Boccaccio
RispondiEliminaPetrarca amava anche una gatta che, ogni volta che ero al tavolo di lavoro, si acciambellava ai suoi piedi (e teneva lontani i topi dai preziosi manoscritti del padrone).
EliminaImbalsamata, puo ancora vedersi nella tomba del poeta ad Arqua, Padova.
A Marta: i testi citati in questo pezzo sono stati da Petrarca scritti in latino, e l'epistola sul cane era addirittura non in prosa, ma in esametri: quindi la prosa elegante e moderna è del traduttore. Silvia
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