Strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, di Robert
Louis Stevenson, è pubblicato a Londra nel 1886. Il romanzo breve rimane, a
tutt’oggi, una delle creazioni fantastiche più durature di
sempre.
In esso
Stevenson dichiara, per bocca di Jekyll stesso: “L’uomo non è veracemente uno,
ma veracemente due”.
L’anno
successivo, 1887, esce La genealogia
della morale di Friedrich Nietzsche; eccone un passo: “Nella morale l’uomo
tratta se stesso non come individuo, ma come dividuum”.
Nell’uomo,
insomma, convivono due entità, entrambe dotate di amor proprio che lottano fra
di loro per affermare il predominio; ogni sentimento (altruismo, pietà,
orgoglio, compassione) è la risultante di tale battaglia interiore: fra Jekyll,
che scivola sul ghiaccio sottile della coscienza, e Hyde, l’essere ferino che
si dibatte nell’oceano sottostante dell’istinto e dell’immediatezza.
[A puro
titolo di curiosità: uno dei primi a trattare il dualismo, occupandosi di
religione zoroastriana, fu un inglese, l’orientalista Thomas Hyde (1636-1703)]
Lo strano caso si
apre con una pagina memorabile: la descrizione del vero protagonista, l’avvocato
Utterson. Sobrio, meticoloso, leale, Utterson è uno di quegli inglesi, per
dirla con Borges, le cui amicizie “cominciano con l'escludere la confidenza e
prestissimo omettono la conversazione”. Utterson è il livello conscio, il
decoro, la legge, l’Impero, l’Inghilterra sub specie aeternitatis; a lui è
ascritto il compito simbolico, quindi, di contrastare l’anarchia primordiale di
Hyde, ovvero il coacervo di tutte quelle forze disgregatrici e cieche che, nel paleoencefalo,
accompagnano da sempre l’individuo e minano costantemente l’unità dell’essere e
della civiltà.
Dal
romanzo furono tratti diversi buoni film; nel 1931 da Rouben Mamoulian; nel 1941 da
Victor Fleming (con Spencer Tracy, Lana Turner e Ingrid Bergman); nel 1959 da
Jean Renoir.
La
migliore trasposizione mi sembra, però, quella italiana, creata per la Rai TV
nel 1969. Giorgio Albertazzi è un eccellente Jekyll e un ancor più credibile Hyde:
infantile, maligno, teppistico; Massimo Girotti uno strepitoso, impagabile Utterson.
Robert Louis Stevenson
L'avvocato Utterson era un uomo dall'espressione austera, che non si illuminava mai di un sorriso; freddo, parsimonioso e imbarazzato nel parlare; restio a manifestare sentimenti; magro, lungo, opaco e mesto, eppure in qualche modo amabile. Alle riunioni fra amici, e quando il vino era di suo gusto, qualcosa di sinceramente umano si irradiava dal suo sguardo; qualcosa a dire il vero che non riusciva mai a tradursi in parole, ma che si comunicava non solo grazie a quei muti simboli del volto del dopo pranzo, bensì, più spesso ancora e più vivacemente, attraverso le azioni della sua vita.
Severo con se stesso, egli beveva gin, quand'era solo, per mortificare una predilezione per i buoni vini; e erano vent'anni che, pur amandolo, non varcava la soglia di un teatro. Ben conosciuta era comunque l'indulgenza che mostrava nei confronti del prossimo e, stupendosi a volte, quasi con invidia dell'intensità con cui certi animi risentivano l'impulso a compiere malefatte egli era, in ogni momento, propenso a dare aiuto più che biasimo. "Io tendo all'eresia di Caino", era solito dire argutamente; "lascio che mio fratello se ne vada al diavolo come più gli garba". Un atteggiamento il suo che non di rado gli dava il privilegio di essere l'ultimo stimato conoscente, nonché l'ultimo a esercitare un buon influsso nella vita di persone alla deriva. E verso tipi simili, finché tornavano a bussare alla sua porta, si comportava senza mai un'ombra di cambiamento.
Indubbiamente era impresa facile per il signor Utterson, poiché era riservato al massimo, e perfino le sue amicizie parevano fondarsi su una simile universalità di benevolenza. E' da uomo modesto accettare la cerchia delle amicizie come gli viene offerta dalle mani della sorte; e così faceva l'avvocato. I suoi amici erano i propri congiunti o altrimenti conoscenti di lunga data; i suoi affetti, come l'edera, crescevano con il tempo, indipendentemente dalla qualità dell'oggetto.
Di tale tipo, non c'è dubbio, era il legame che lo univa a Richard Enfield, suo lontano parente, personaggio in vista della città. Per molti era un vero enigma che cosa quei due potessero trovare uno nell'altro o quali argomenti avessero in comune. A detta di chi li aveva incontrati durante le loro passeggiate domenicali, i due non aprivano bocca, sembravano singolarmente annoiati, e pronti ad accogliere con evidente sollievo l'apparizione di una faccia amica. A dispetto di ciò essi tenevano in gran conto quelle escursioni, ritenendole il degno coronamento di ogni settimana, e non solo accantonavano eventuali occasioni di divertimento, ma resistevano perfino al richiamo degli affari, al fine di goderne indisturbati.
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