FILM: Dario Acocella "Ho
fatto una barca di soldi", mAXXI, 9 novembre.
MOSTRA: Fuori luogo. Via
del Cappellari e dintorni, 12-19 novembre.
Brunella Antomarini
"Qua c'è tutto, il
concettuale, la transavanguardia, il dadaismo, il surrealismo, il
cubismo...", Fausto delle Chiaie, nel bel film-documentario che
gli ha dedicato Dario Acocella (e proiettato al Maxxi il 9 novembre),
descrive il suo museo all'aperto. Lo ha aperto tanti anni fa, ma non
dice quanti, perché non vuol dire l'età, lungo la strada che
costeggia l'Ara Pacis, ora protetta dall'opera di Richard Meyer. Sono
tanti anni che ogni giorno lo raggiunge in treno e lo 'apre' anche se
è all'aperto. Da quando, da giovane, si accorge, dice, di vivere in
una città-museo e allora si prende la sua parte di museo, occupa con
naturalezza il suo territorio.
Lo racconta con lo humor
gentile e affettuoso che è sempre nei suoi modi e che si trova poi
anche nelle opere. Ogni pomeriggio le espone appese alla grata che
separa la strada dal mausoleo di Augusto, o le appoggia al muretto
che sostiene la grata. Si tratta di quadri a pennarello o tempera su
legno, con diverse misure, o di composizioni 'concettuali' di diversi
materiali, tutti descritti da titoli che li definiscono secondo le
categorie della storia dell'arte, e con commenti umoristici. Per
esempio ci sono dei Narcisi: facce dipinte su sassi immersi in
scodelle d'acqua; oppure dei Modigliani di profilo, in stile cubista.
C'è un'opera 'concettuale' di un'icona incorniciata di Cristo e
vicino il titolo: in vendita per 30 denari. Per terra disegnato col
gesso c'è una silhouette lunga una decina di metri che ricorda
vagamente Keith Haring e che si chiama KappaO: Fausto conta fino a 10
infatti ma quello non si alza.
C'è il famoso doppione: una foto di
Fausto ripresa davanti alla grande iscrizione in latino sul muro
dell'Ara Pacis; sotto c'è scritto: doppione. Il visitatore del museo
guarda e si chiede che vuol dire 'doppione'. Fausto fa un fischio, il
visitatore si gira e vede Fausto in persona di fronte al muro, in
posizione identica alla foto. Questa, direi, è una performance, anzi
una performance concettuale...
Ci sono molti ritratti di
donna, inconfondibili, occhi grandi e scrutanti, espressioni
stralunate, contorni picassiani. Alcune di queste figure femminili
formano una bellissima e commovente 'Pietà': corpo senza volume
della madre che con grandi mani abbraccia il corpo senza volume del
figlio disteso sul suo grembo. Ci sono dei Romolo e Remo, una lupa
che allatta un bambino e un'altra nel retro che ne allatta un
altro...E così via.
Il visitatore, dice
Fausto, passa. Entra dall'uscita o esce dall'entrata, dipende da dove
arriva. Il museo all'aperto si visita rasente, di passaggio, in
tangente rispetto al percorso che ci si prefigge e che non prevedeva
quella visita. Lui lo mette lungo la via degli altri, lo appoggia un
attimo alla vita degli altri, che si vedono venire incontro quelle
piccole meraviglie che li fanno ridere. E' un ridere non distruttivo,
pieno di grazia.
Ma è anche un ridere del
museo in generale. Quando usciamo dal suo museo (magari dall'entrata)
ridiamo dei musei-istituzioni e monumenti (l'Ara Pacis) che
esibiscono senz'altra funzione che l'esibizione. Fausto a volte
accompagna i visitatori in un percorso 'guidato' spiegando le opere e
ridendo insieme. E' un percorso che gli assomiglia, un
museo-autoritratto, riempito della sua inconfondibile presenza.
E' un percorso che libera
le cose dalla loro metaforicità consunta: è un museo preso alla
lettera, il minimo museo necessario, Picasso alla lettera, il
concettuale alla lettera. E' la lettera di ogni manifestazione
artistica. Che vuol dire quello che dice, anzi quello che ha già
detto, o che ha finito di dire.
Il
museo personale di Fausto delle Chiaie è il frattale del museo
indefinito di Roma, che si visita senza saperlo, si guarda senza
volerlo, si impara senza bisogno di rifletterci troppo e, quindi,
ridendo. In un bel dialogo con Andrea Bottai, che ha organizzato la
mostra, in negozi di artigiani e piccole gallerie d'arte lungo la via
del Cappellari e dintorni, Fausto dice: mi incuriosisce anche chi non
guarda, chi passa con indifferenza - l'indifferenza è importante.
Il regista gli chiede: ma
perché corri sempre? Chi t'aspetta? E lui: nessuno mi aspetta, sono
io che aspetto gli altri. Anche se non lo sappiamo, aspettiamo sempre
qualcuno.
Alla fine della
proiezione del film, un lunghissimo applauso e gli si chiede un
commento e lui dice: spero che non perdo il treno. Al che per tutto
l'Auditorium (tutto esaurito) scorre una risata, ridiamo di noi, che
pensavamo che ci fosse qualcosa di più importante da dire che
prendere il treno per arrivare a casa.
Per vedere all'opera il delicato artista e il suo museo di cui è oggetto esposto, espositore, curator, cassiere, custode, guida e chissà che altro, c'è in rete un divertente video: http://vimeo.com/9208860
RispondiEliminaLavoravo a due passi e sono passato per anni davanti al suo museo all'aperto. Ci passavo a volte dando un'occhiata distratta, a volte soffermandomi su qualche "opera" (si può chiamarla così?) oppure cercando di interpretarne il significato, altre volte (con più calma durante la pausa pranzoe col bel tempo) seguivo tutto il percorso. Alcune cose mi divertivano, altre mi facevano are spallucce di indifferenza. Quello che maggiormente mi incuriosiva era l'autore e le sue motivazioni. Chiedeva in modo inusuale una elemosina , era un mezzo matto, giocava con la gente irridendola bonariamente ...??? Quello che sicuramente non ho mai pensato era che potesse essere considerato un artista.... concettuale, transavanguardia, surrealismo..!!! Leggendo questo articolo mi vengono in mente episodi come quello di famosi musicisti che si mettono a suanare come artisti di strada e rimediano pochi euro e, specularmente, l'essere trapiantati in un film e in una mostra e essere scoperti come artisti solo per questo. Ma Fausto proprio questo rifiuterebbe e correrebbe a prendere il treno.
RispondiEliminaBuonasera! Io sono piena di foto delle sue opere! Dagli anni 80 direi.
RispondiEliminaMi fa piacere che gli sia stato dedicato un documentario al maxxi, il posto è giusto. A me ha sempre regalato buon umore, tanto che alle volte ci passavo proprio per raddrizzare la giornata! Ho un vero debole per le persone come lui; questa riflessione sull'indifferenza vi sembra poca cosa? Ed è bello, l'articolo!
Mi vado a vedere la mostra visto che purtroppo il documentario l'ho perso! Silvia
Conosco Fausto come molti di noi che sono stati sfiorati dal suo museo al passaggio dentro/fuori l'Ara Pacis. Mi sono fermata, diverse volte, perché quel sorriso di cui lei parla (cit. "E' un ridere non distruttivo, pieno di grazia. Ma è anche un ridere del museo in generale") è il sorriso che preferisco: non c'è aggressività, non è sberleffo di chi si mette in cattedra. È appunto, pieno di grazia. Mi ha fatto piacere leggere questo post. Sono contenta sia stato fatto un video, peccato non averlo visto.
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