Il passato
Regia: Asghar Farhadi
Interpreti:
 Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Sabrina Ouazani, Pauline 
Burlet, Elyes Aguis, Babak Karimi, Valeria Cavalli, Jeanne Jestin
Durata: 130 min
Asghar Farhadi costruisce un film che esplora, ancora una volta e con abilità, i contesti familiari e le difficoltà che possono percorrerli, turbarli, come già nel precedente La separazione, miglior film straniero agli Oscar 2012. Questa nuova pellicola è ambientata non più in Iran ma in una banlieue parigina, dove vive Marie, madre di due figlie avute da un precedente matrimonio: il rapporto con la primogenita Lucie è difficile, conflittuale, contrassegnato da una rabbiosità espressa per lo più da una presenza 'assente' e reattiva della ragazza verso la madre e verso le sue scelte sentimentali che negli anni si sono susseguite. La donna da poco convive con Samir, emigrato anni prima dal nord Africa, e il figlio piccolo di questi avuto dalla moglie Céline, parigina, in coma da sette mesi dopo un tentato suicidio attuato nella lavanderia di cui l'uomo è proprietario. La relazione fra i due è precedente al drammatico evento in questione.
 Le
 prime sequenze del film mostrano Marie all'aereoporto  in attesa 
dell'arrivo da Teheran  di Ahmad, venuto in Francia  per ultimare le 
pratiche relative al  loro divorzio.  Il regista indugia su un loro 
primo dialogo che avviene attraverso una vetrata: dialogo silenzioso, 
scambio verbale banale nella sua spontaneità, che avviene come  se 
fossero dentro un acquario, parole che non superano la distanza 
interrotta e allo stesso tempo segnata dalla parete di vetro che li 
separa. Questa afonia, metafora di una difficile comunicazione 
 relazionale e affettiva, la ritroveremo in parte superata anche in 
Samir verso Céline, condensata  in un'immagine toccante e bellissima che 
chiude il film,  dopo che i malintesi e le incomprensioni tenute in 
piedi anche da una serie di segreti hanno avuto  la possibilità di 
essere stati espressi.
Il
 passato è apparentemente  centrato sul presente, sulla nuova vita 
che, come la casa di Marie, è in ristrutturazione.  Però  Marie e 
 Ahmad  ancora devono attuare una separazione emotiva più definitiva, 
aspetto questo che in Samir assume una evidenza ancor piu complessa per 
ciò che riguarda comunque lo stato del legame con la moglie.  Ci sembra 
utile dire, a questo punto, che il film risente   di 
un'organizzazione  piuttosto meticolosa della trama e dei tanti 
 elementi che la compongono, rendendo  in tal modo la storia un po' 
lunga, ma  la  capacità del regista di stare accanto alle figure che si 
muovono nel contesto di questa famiglia allargata permette di mantenere  
un'attenzione che non viene meno. 
 Ahmad
 si profila da subito come una figura maschile che, riuscendo ad 
abbandonare un atteggiamento abituale di fuga di fronte ai problemi che 
possono subentrare in una relazione, diventa il cardine attraverso il 
quale sarà possibile regolare, verso un possibile equilibrio, sentimenti e
 azioni altrimenti caotici e disadattivi.  Questa funzione viene 
espressa in modo particolare verso Lucie che, come la sorella più 
piccola, non è sua figlia: l'attenzione paziente e la vicinanza 
dell'uomo riescono ad aiutarla a poter dire di sé e di ciò che le ha 
provocato un disagio problematico nei confronti della madre e della 
convivenza di questa con Samir. Quest'ultimo riesce, infine, a darsi la 
possibilità di fermarsi e  riflettere  per poter eventualmente maturare 
una maggior consapevolezza di quello che può aver determinato il gesto 
estremo della moglie,  occupandosi  in certo qual modo di   ciò che in 
lui èrimasto irrisolto, relegato come in uno stato di sospensione, di 
'non vita'.
 

 
 
io sono riuscita anche ad annoiarmi, si può dire? :-)
RispondiEliminaannoiarmi a vedere il film, non a leggere il post ;-)
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