Regia e sceneggiatura: Woody Allen
Interpreti: Cate Blanchett, Sally Hawkins, Alec Baldwin
Patrizia Vincenzoni
Woody
Allen torna a fare cinema come ci aveva abituato, a proporre ritratti
umani tratteggiati con capacità, profonda, d'analisi e ironia amara,
riuscendo a far emergere anche il lato tragico che li caratterizza.
L'ultimo
film ruota attorno alla storia di una donna, Jasmine: nella scena
iniziale è in aereo e sta andando da New York a San Francisco. E'
impegnata a raccontare in modo compulsivo parte della sua vita a una
sconosciuta seduta accanto, ma il suo è un parlare a vuoto, rivolto
solo a sé stessa, come sottolinea lo sgomento dell'altra.
Jasmine (Cate Blanchett),
il cui vero nome è Jannette, ha deciso di cambiare città, ospite
della sorella Ginger (Sally Hawkins), dopo che il tracollo
finanziario del marito Hal (Alec Baldwin) e la scoperta dei suoi
tradimenti l'hanno investita in tutta la loro devastazione economica
e psicologica.
L'aspettativa di cambiamento legata al trasferimento
verso occidente resta comunque avviluppata al suo bisogno di non
cambiare nulla, in realtà: Jasmine è troppo calata nel suo
personaggio e questa identificazione la rende vulnerabile e incapace
di dismettere i panni della donna viziata e ricca, unica condizione attraverso la quale sente di potere
recuperare la propria realizzazione. In tal senso, anche gli abiti e
gli accessori che indossa (la giacca Chanel le sta attaccata addosso
come una seconda pelle) appaiono come reliquie di un glorioso passato
dal quale non vuole abdicare. Gli psicofarmaci, che assume in
modalità sregolata, non riescono più a tamponare le continue crisi
d'ansia e dissociative che si susseguono, e che trovano nei flashback
a cui fa ricorso una memoria che alimenta ulteriormente la sua
vulnerabilità psichica.
Al
ritratto di Jeannette/Jasmine si affianca quello di un'altra donna,
la sorella Ginger, anche lei adottata, altra presenza femminile
caratterizzata da fragilità e insicurezza, ma in modi totalmente
diversi e, nel suo caso, esibite e diventate cardini dai quali muove
la sua ricerca di un rapporto rassicurante con gli uomini. Ginger
sembra votata a quello che ha sempre pensato essere il suo destino,
in quanto meno dotata dell'altra: aspirazioni personali pressoché
nulle, un'adesione forte e inconsapevole a quello che è il suo
personaggio di donna “volgarotta”, condizionabile, rinchiusa e
quasi protetta da questa grossolanità. La convivenza delle due è
contrassegnata dalla distanza emotiva di sempre e dall'atteggiamento
critico di Jasmine verso Ginger e i suoi partner. Per ambedue, gli
uomini con cui hanno a che fare, mariti e non, hanno in comune
l'incapacità di comprenderle, condividono - da posizioni diverse -
una mediocrità che si configura in diversi modi e situazioni. Il
suo bisogno di restare nella finzione, intesa come dimensione
identitaria, induce Jasmine a mentire rispetto al suo recente passato
a Dwight, un uomo danaroso, vedovo, che incontra a una festa e con il
quale sta per contrarre quello che si dice un 'buon' matrimonio,
occasione che non si realizzerà. La scena finale ci restituisce
l'immagine di Jasmine lasciata sola e senza nessun appoggio da
parte di alcuno, isolata e immersa in una disperazione
che, forse, è senza ritorno.
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