Comprendo:
la passione. La passione per la cultura, la passione per il libro. Ma fondare
una casa editrice? Quale demone avrà indotto i ragazzi de L’Orma a fondare una propria
casa editrice? Di fronte agli attuali scogli di Scilla e Cariddi: la
burocrazia, il calo delle vendite, la fiscalità bizantina; e la qualità delle
nuove proposte da trovare, poi ... il titolo giusto … come pescare, a occhi
bendati, un anguilla in un mare infestato da serpenti.
Ma
la passione è il motore della vita, perciò è giusto affidarvisi; “Provare
queste passioni quando è il momento, per motivi convenienti, verso le persone
giuste, per il fine e nel modo che si deve, questo è il mezzo e perciò
l’ottimo, il che è proprio della virtù”, asseriva il Filosofo, e chi son io per
contrastarlo?
Dalla
loro parte, inoltre, i giovani de L'Orma (Marco Solari Federici, Lorenzo Flabbi,
Chiara Di Domenico, Elena Vozzi, Massimiliano Borelli) hanno un istinto fine
nel miscelare, nella loro offerta, nuove proposte e ripescaggi mirati di
classici, sempre a cavallo tra Francia e Germania.
Vecchio
e nuovo.
Cominciamo
col nuovo.
Nel
loro catalogo figurano già La petite, di Michèl Halberstadt, e L’investitore americano, di Jan Peter Bremer, su cui ci siamo intrattenuti; una delle
punte delle nuove proposte è però Günter Wallraff, giornalista d'inchiesta
tedesco, tanto sconosciuto presso le nostre latitudini, quanto (giustamente)
celebrato in patria.
Wallraff,
ormai un veterano (disturba la quiete pubblica sin dagli anni Sessanta), ha
questa particolarità: porta l'inchiesta direttamente sul campo; si insinua nell’indagine
stessa divenendone una sua parte. È, insomma un infiltrato, un Fregoli della
denuncia sociale: si camuffa da operaio turco, da senzatetto, da studente, da alcolista, da immigrato di colore; oppure da trafficante d’armi, da colletto bianco
carrierista: è il Donnie Brasco del reportage di denuncia.
Notizie dal migliore dei mondi. Una
faccia sotto copertura, (sin dal titolo viene sbeffeggiato l'ottimismo di
un padre della patria tedesco, Leibniz) si compone di diversi reportage: in
alcuni egli si reinventa immigrato di colore, impiegato da call center, homeless.
L'operazione, portata avanti con abilità da caratterista (e con l'ausilio di
una troupe d'appoggio che resoconta le sue disavventure), offre uno sguardo non
solo veritiero (anche una statistica può esserlo), ma assolutamente disturbante
nel rendere gli umori della popolazione profonda a contatto con il diverso (il
senzatetto o l’immigrato negro, in tal caso) - quella gente, insomma, che mente nei sondaggi
o nelle inchieste all'acqua di rose delle tv generaliste assecondando il mito
incancellabile del nostro tempo: il politicamente corretto.
Ma
qui il politicamente corretto viene terremotato da Wallraff dall’interno, come quando, immigrato africano, si vede rifiutare una casa in affitto; la
stessa casa che verrà data alla coppia bianca subito dopo (i complici di
Wallraff stesso).
Il giornalista si traveste e diviene parte del paesaggio sociale: tinto di nero, o con
pantaloni e giacche sbrindellate, oppure rinvigorito da esercizi ginnici,
parrucca e lenti a contatto, pronto a una carriera nei call center; è come Chaplin
camuffato da albero in Charlot alla guerra: vede tutto, sente tutto, ma in modo inavvertito,
perché, appunto, parte del panorama sociale; e, nello stesso tempo, provoca
reazioni vere, quelle negate nei reportage pilotati dei giornali mainstream.
Wallraff in un camuffamento celebre |
Date
a un uomo una maschera e vi dirà tutta la verità, affermava Oscar Wilde.
Wallraff ribalta il ragionamento. Datemi una maschera e farò sputare alla
società tutta la verità. Mimetizzato nell'ambiente su cui portare lo sguardo
dell'investigazione, egli svela ciò che altrimenti sarebbe rimasto nell'ombra:
il quieto razzismo della media borghesia della Bassa Sassonia, il mondo
parallelo dei barboni di Colonia, Francoforte, Coblenza; il nichilismo del
terziario avanzato, declinato fra completi grigi, tailleur impeccabili, ambienti d'ufficio
odorosi di detersivo, superfici a specchio, implacabili schermate PC: una sorta
d’inferno lavorativo hi tech dove, al ritmo delle raggelanti norme del new job,
si ordiscono truffe a rigor di legge.
La
punta del libro viene però raggiunta in un'inchiesta sulle condizioni di lavoro
dei giovani apprendisti di uno sciccoso ristorante gourmet (il Wartenberger
Mühle, nei pressi di Kaiserslautern); qui Wallraff non opera sotto copertura: resoconta
e basta. Eppure il lettore tocca con mano il gelo dei rapporti di lavoro; ecco
parlare Carsten, uno sfruttato del ventunesimo secolo, figura inopinatamente dickensiana
poiché sorpresa nel migliore dei mondi possibili, quello dell’opulenta
Germania: un diciottenne che sgobba per sessanta, settanta, anche ottanta ore a
settimana, per uno o due euro lordi all'ora, in barba (o in ossequio) ai nuovi
contratti di lavoro, patti mefistofelici congegnati per consentire, sotto le parvenze terminologiche di un anglismo globalizzato, ciò che non dovrebbe essere consentito: “Non riesco più a vedere i miei amici ... E
ho anche dovuto lasciare la mia squadra di calcio. Sono troppo debole, non
riesco più a giocare. Ogni quattro settimane abbiamo il corso di formazione
professionale, compattato in una settimana. Anche in quei giorni però, dopo la
scuola, dobbiamo andare al ristorante; fino alle undici o mezzanotte. E la
mattina dopo abbiamo lezione e se uno di noi si addormenta in classe, l'insegnante
commenta: ‘Lasciatelo dormire, è della Wartenberger Mühle'".
E
Wallraff chiosa, più avanti, in poche righe, la spietata essenza del
precariato: “Per tutti i dipendenti la
vita si riduce al solo lavoro ... ne consegue che ... l'esistenza coincide con
l'orario lavorativo, il resto è sonno". Peccato che Wallraff non possa
infiltrarsi in Italia: tra orari di lavoro falsi, licenziamenti via SMS, accorpamenti
illegali di turni, ferie non pagate, malattie simulate da ferie, ore di lavoro regalate,
indennità saltate, tredicesime falcidiate, ci sarebbe da indagare per decenni.
Qui
da noi servirebbe una figura simile, a mezzo tra il fregolismo di Maurizio Crozza e l’impegno
di Riccardo Iacona. Campa cavallo …
Di
Wallraff L'Orma ha in catalogo anche un altro imperdibile titolo, Germania anni Dieci. Faccia a faccia con il
mondo del lavoro.
E
veniamo al passato.
La
casa editrice si sta accingendo a una fatica meritoria: la pubblicazione (in
dieci volumi) dell'opera omnia del genio tedesco Ernst Theodor Hoffmann
(scrittore, compositore, critico, giurista), una figura letteraria di confine, dove
il romanticismo congenito alla terra germanica si sfibra nei tumulti affioranti
dall’inconscio; un vero mare tenebrarum che Hoffmann fu tra i primissimi a rivelare,
anticipando gli sfasamenti psicologici e patologici del pieno espressionismo.
Finora
sono due i volumi pubblicati, Gli elisir
del diavolo e I notturni, quest’ultimo
curato con devozione dall’ottimo Matteo Galli. La confezione e l’impaginatura (con
corredo iconografico e commoventi note a pie’ di pagina che accompagnano
amichevolmente il lettore) testimoniano la volontà di regalare ai lettori un’opera
duratura e di spessore.
Ma
di Hoffmann dovremo riparlare.
L'attenzione
verso il passato informa anche la collana di maggior successo de L'Orma, ovvero
I Pacchetti. Si tratta di libretti fra le sessanta e le settanta pagine di autori
classici (Kafka, Gramsci, Stendhal, Baudelaire, Dickinson, Leopardi, Poe, Verdi),
contenuti in una sovraccoperta pronta ad essere affrancata (con un francobollo da 1,50) e spedita,
in piego libri, presso qualsiasi cassetta postale. Un regalo di lontano.
Ogni
opera, dal costo irrisorio (5 euri), è un florilegio epistolare (o tangente ad
esso) che sorprende un grande autore in un momento particolare della vita;
abbiamo così il privilegio di accostarci a Nietzsche o Leopardi con un incedere
obliquo e rivelante. Nel pacchetto dedicato a Baudelaire (già comprato, affrancato
e spedito), vediamo il vate del Decadentismo francese alle prese con la cronica
mancanza di soldi: il sottotitolo, Come non
pagare i debiti. Lettere sull'orlo del tracollo finanziario, è scherzoso, ma non troppo; ecco Baudelaire impetrare,
pregare, minacciare, dissimulare, promettere al vento e scendere a patti con la
variegata mandria di parenti e conoscenti: la madre, il fratellastro, il
patrigno, il tutore; ed ecco i trucchi e le basse furfanterie di un genio dissipatore
alle prese con la minutaglia della vita vissuta, ecco il poeta rivestirsi di mezzemaniche,
e operare da contabile bizzoso per strizzare qualche decina di franchi in più, pochi maledetti e subito …
Ovviamente
Baudelaire è, soprattutto, una festa dell’intelligenza; leggendolo, come accade sempre con un
classico, si aprono passaggi d’accesso a decine di mondi mirabili, fioccano
rimandi letterari, piovono idee: compulsando queste sessanta pagine potrebbe venir voglia,
ad esempio, di leggersi anche il pacchetto dedicato a Edgar Allan Poe, anima affine (ed egualmente spiantata), di cui Baudelaire fu primo estimatore e traduttore; ci si
renderebbe conto, inoltre, che la prosa del tredicenne e futuro poeta Baudelaire è
superiore a quella del quindicenne prosatore Flaubert (e magari si
vorrebbe gustarla questa prosa flaubertiana, il breve racconto Bibliomania); potremmo essere indotti, parimenti, a leggere opere di altri scrittori qui citati: Charles Asselineau oppure Honoré de Balzac, anche
loro autori di brani sulla bibliomania o bibliofollia … assieme a Charles Nodier e Sebastian Brant, altri francesi da tenere d’occhio per L’Orma ...
Il
passato è una terra incognita, vastissima, sconosciuta ai più. Fosse per me,
invece di cercare faticosamente le prossime Barbery o Kinsella, organizzerei gite e pranzi al
sacco presso le biblioteche nazionali di Francia e Germania: sono strapiene all’inverosimile
di novità. E che novità! Qualità sicura, già vagliata dal Minosse dell’Estetica:
il Tempo. Titoli geneticamente interessanti, che si vendono da soli. Senza l’assillo
del copyright. Oltretutto gli artefici di tali capolavori misconosciuti hanno
avuto la somma gentilezza di passare a miglior vita, liberando così il paesaggio
quotidiano dall’inciampo dei rapporti interpersonali, spesso spinosi: uno
stress in meno per gli addetti stampa.
C’è
molto da scavare: Jean Lorrain, lo Huysmans e il de Sade minori, Jean Ray, l’introvabile
Petrus Borel assieme agli altri canaglioni compresi nell’Antologia dell’humor nero di Breton; e poi Spiess, Contessa,
Laun, Motte Fouqué, O’Neddy, Forneret, Bertrand, il Leon Bloy de La donna povera; persino Zola, con La disfatta, attende una buona edizione;
o Il denaro, dello stesso autore,
relegato a un Newton Compton introvabile, così come Mont Oriol di Maupassant … e che dire delle centinaia di epistolari
sepolti … i saggi (proibitissimi!) di Céline .. e Remy de Gourmont e Hans Heinz Ewers, miei vecchi pallini.
Che
dire? Non possiamo che incoraggiare i Nostri. Viva L'Orma, insomma. Il materiale non manca, come si è visto; la competenza neanche; della
passione si è detto: ne possiedono in abbondanza.
Cogliamo l'occasione per riservare un saluto particolare a Marco Federici Solari,
facondo, preparato e puntiglioso, e all’efficiente addetta stampa, Chiara Di
Domenico, signorina dalla vita stropicciata (ipsa dixit), pasionaria della parola
scritta e gourmet a tempo perso.
sito: L'Orma editore
mail: info@lormaeditore.it
sito: L'Orma editore
mail: info@lormaeditore.it
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