sabato 18 gennaio 2014

Wallraff, Hoffmann, Baudelaire: breve viaggio nel catalogo de L'Orma editore

Comprendo: la passione. La passione per la cultura, la passione per il libro. Ma fondare una casa editrice? Quale demone avrà indotto i ragazzi de L’Orma a fondare una propria casa editrice? Di fronte agli attuali scogli di Scilla e Cariddi: la burocrazia, il calo delle vendite, la fiscalità bizantina; e la qualità delle nuove proposte da trovare, poi ... il titolo giusto … come pescare, a occhi bendati, un anguilla in un mare infestato da serpenti.
Ma la passione è il motore della vita, perciò è giusto affidarvisi; “Provare queste passioni quando è il momento, per motivi convenienti, verso le persone giuste, per il fine e nel modo che si deve, questo è il mezzo e perciò l’ottimo, il che è proprio della virtù”, asseriva il Filosofo, e chi son io per contrastarlo?
Dalla loro parte, inoltre, i giovani de L'Orma (Marco Solari Federici, Lorenzo Flabbi, Chiara Di Domenico, Elena Vozzi, Massimiliano Borelli) hanno un istinto fine nel miscelare, nella loro offerta, nuove proposte e ripescaggi mirati di classici, sempre a cavallo tra Francia e Germania.
Vecchio e nuovo.
Cominciamo col nuovo.
Nel loro catalogo figurano già La petite, di Michèl Halberstadt, e L’investitore americano, di Jan Peter Bremer, su cui ci siamo intrattenuti; una delle punte delle nuove proposte è però Günter Wallraff, giornalista d'inchiesta tedesco, tanto sconosciuto presso le nostre latitudini, quanto (giustamente) celebrato in patria.


Wallraff, ormai un veterano (disturba la quiete pubblica sin dagli anni Sessanta), ha questa particolarità: porta l'inchiesta direttamente sul campo; si insinua nell’indagine stessa divenendone una sua parte. È, insomma un infiltrato, un Fregoli della denuncia sociale: si camuffa da operaio turco, da senzatetto, da studente, da alcolista, da immigrato di colore; oppure da trafficante d’armi, da colletto bianco carrierista: è il Donnie Brasco del reportage di denuncia.
Notizie dal migliore dei mondi. Una faccia sotto copertura, (sin dal titolo viene sbeffeggiato l'ottimismo di un padre della patria tedesco, Leibniz) si compone di diversi reportage: in alcuni egli si reinventa immigrato di colore, impiegato da call center, homeless. L'operazione, portata avanti con abilità da caratterista (e con l'ausilio di una troupe d'appoggio che resoconta le sue disavventure), offre uno sguardo non solo veritiero (anche una statistica può esserlo), ma assolutamente disturbante nel rendere gli umori della popolazione profonda a contatto con il diverso (il senzatetto o l’immigrato negro, in tal caso) - quella gente, insomma, che mente nei sondaggi o nelle inchieste all'acqua di rose delle tv generaliste assecondando il mito incancellabile del nostro tempo: il politicamente corretto.
Ma qui il politicamente corretto viene terremotato da Wallraff dall’interno, come quando, immigrato africano, si vede rifiutare una casa in affitto; la stessa casa che verrà data alla coppia bianca subito dopo (i complici di Wallraff stesso).
Il giornalista si traveste e diviene parte del paesaggio sociale: tinto di nero, o con pantaloni e giacche sbrindellate, oppure rinvigorito da esercizi ginnici, parrucca e lenti a contatto, pronto a una carriera nei call center; è come Chaplin camuffato da albero in Charlot alla guerra: vede tutto, sente tutto, ma in modo inavvertito, perché, appunto, parte del panorama sociale; e, nello stesso tempo, provoca reazioni vere, quelle negate nei reportage pilotati dei giornali mainstream.
Wallraff in un camuffamento celebre
Date a un uomo una maschera e vi dirà tutta la verità, affermava Oscar Wilde. Wallraff ribalta il ragionamento. Datemi una maschera e farò sputare alla società tutta la verità. Mimetizzato nell'ambiente su cui portare lo sguardo dell'investigazione, egli svela ciò che altrimenti sarebbe rimasto nell'ombra: il quieto razzismo della media borghesia della Bassa Sassonia, il mondo parallelo dei barboni di Colonia, Francoforte, Coblenza; il nichilismo del terziario avanzato, declinato fra completi grigi, tailleur impeccabili, ambienti d'ufficio odorosi di detersivo, superfici a specchio, implacabili schermate PC: una sorta d’inferno lavorativo hi tech dove, al ritmo delle raggelanti norme del new job, si ordiscono truffe a rigor di legge.
La punta del libro viene però raggiunta in un'inchiesta sulle condizioni di lavoro dei giovani apprendisti di uno sciccoso ristorante gourmet (il Wartenberger Mühle, nei pressi di Kaiserslautern); qui Wallraff non opera sotto copertura: resoconta e basta. Eppure il lettore tocca con mano il gelo dei rapporti di lavoro; ecco parlare Carsten, uno sfruttato del ventunesimo secolo, figura inopinatamente dickensiana poiché sorpresa nel migliore dei mondi possibili, quello dell’opulenta Germania: un diciottenne che sgobba per sessanta, settanta, anche ottanta ore a settimana, per uno o due euro lordi all'ora, in barba (o in ossequio) ai nuovi contratti di lavoro, patti mefistofelici congegnati per consentire, sotto le parvenze terminologiche di un anglismo globalizzato, ciò che non dovrebbe essere consentito: “Non riesco più a vedere i miei amici ... E ho anche dovuto lasciare la mia squadra di calcio. Sono troppo debole, non riesco più a giocare. Ogni quattro settimane abbiamo il corso di formazione professionale, compattato in una settimana. Anche in quei giorni però, dopo la scuola, dobbiamo andare al ristorante; fino alle undici o mezzanotte. E la mattina dopo abbiamo lezione e se uno di noi si addormenta in classe, l'insegnante commenta: ‘Lasciatelo dormire, è della Wartenberger Mühle'".
E Wallraff chiosa, più avanti, in poche righe, la spietata essenza del precariato: “Per tutti i dipendenti la vita si riduce al solo lavoro ... ne consegue che ... l'esistenza coincide con l'orario lavorativo, il resto è sonno". Peccato che Wallraff non possa infiltrarsi in Italia: tra orari di lavoro falsi, licenziamenti via SMS, accorpamenti illegali di turni, ferie non pagate, malattie simulate da ferie, ore di lavoro regalate, indennità saltate, tredicesime falcidiate, ci sarebbe da indagare per decenni.
Qui da noi servirebbe una figura simile, a mezzo tra il fregolismo di Maurizio Crozza e l’impegno di Riccardo Iacona. Campa cavallo …
Di Wallraff L'Orma ha in catalogo anche un altro imperdibile titolo, Germania anni Dieci. Faccia a faccia con il mondo del lavoro.
E veniamo al passato.

La casa editrice si sta accingendo a una fatica meritoria: la pubblicazione (in dieci volumi) dell'opera omnia del genio tedesco Ernst Theodor Hoffmann (scrittore, compositore, critico, giurista), una figura letteraria di confine, dove il romanticismo congenito alla terra germanica si sfibra nei tumulti affioranti dall’inconscio; un vero mare tenebrarum che Hoffmann fu tra i primissimi a rivelare, anticipando gli sfasamenti psicologici e patologici del pieno espressionismo.
Finora sono due i volumi pubblicati, Gli elisir del diavolo e I notturni, quest’ultimo curato con devozione dall’ottimo Matteo Galli. La confezione e l’impaginatura (con corredo iconografico e commoventi note a pie’ di pagina che accompagnano amichevolmente il lettore) testimoniano la volontà di regalare ai lettori un’opera duratura e di spessore.
Ma di Hoffmann dovremo riparlare.
L'attenzione verso il passato informa anche la collana di maggior successo de L'Orma, ovvero I Pacchetti. Si tratta di libretti fra le sessanta e le settanta pagine di autori classici (Kafka, Gramsci, Stendhal, Baudelaire, Dickinson, Leopardi, Poe, Verdi), contenuti in una sovraccoperta pronta ad essere affrancata (con un francobollo da 1,50) e spedita, in piego libri, presso qualsiasi cassetta postale. Un regalo di lontano.
Ogni opera, dal costo irrisorio (5 euri), è un florilegio epistolare (o tangente ad esso) che sorprende un grande autore in un momento particolare della vita; abbiamo così il privilegio di accostarci a Nietzsche o Leopardi con un incedere obliquo e rivelante. Nel pacchetto dedicato a Baudelaire (già comprato, affrancato e spedito), vediamo il vate del Decadentismo francese alle prese con la cronica mancanza di soldi: il sottotitolo, Come non pagare i debiti. Lettere sull'orlo del tracollo finanziario, è scherzoso, ma non troppo; ecco Baudelaire impetrare, pregare, minacciare, dissimulare, promettere al vento e scendere a patti con la variegata mandria di parenti e conoscenti: la madre, il fratellastro, il patrigno, il tutore; ed ecco i trucchi e le basse furfanterie di un genio dissipatore alle prese con la minutaglia della vita vissuta, ecco il poeta rivestirsi di mezzemaniche, e operare da contabile bizzoso per strizzare qualche decina di franchi in più, pochi maledetti e subito …

Ovviamente Baudelaire è, soprattutto, una festa dell’intelligenza; leggendolo, come accade sempre con un classico, si aprono passaggi d’accesso a decine di mondi mirabili, fioccano rimandi letterari, piovono idee: compulsando queste sessanta pagine potrebbe venir voglia, ad esempio, di leggersi anche il pacchetto dedicato a Edgar Allan Poe, anima affine (ed egualmente spiantata), di cui Baudelaire fu primo estimatore e traduttore; ci si renderebbe conto, inoltre, che la prosa del tredicenne e futuro poeta Baudelaire è superiore a quella del quindicenne prosatore Flaubert (e magari si vorrebbe gustarla questa prosa flaubertiana, il breve racconto Bibliomania); potremmo essere indotti, parimenti, a leggere opere di altri scrittori qui citati: Charles Asselineau oppure Honoré de Balzac, anche loro autori di brani sulla bibliomania o bibliofollia … assieme a Charles Nodier e Sebastian Brant, altri francesi da tenere d’occhio per L’Orma ...
Il passato è una terra incognita, vastissima, sconosciuta ai più. Fosse per me, invece di cercare faticosamente le prossime Barbery o Kinsella, organizzerei gite e pranzi al sacco presso le biblioteche nazionali di Francia e Germania: sono strapiene all’inverosimile di novità. E che novità! Qualità sicura, già vagliata dal Minosse dell’Estetica: il Tempo. Titoli geneticamente interessanti, che si vendono da soli. Senza l’assillo del copyright. Oltretutto gli artefici di tali capolavori misconosciuti hanno avuto la somma gentilezza di passare a miglior vita, liberando così il paesaggio quotidiano dall’inciampo dei rapporti interpersonali, spesso spinosi: uno stress in meno per gli addetti stampa.

C’è molto da scavare: Jean Lorrain, lo Huysmans e il de Sade minori, Jean Ray, l’introvabile Petrus Borel assieme agli altri canaglioni compresi nell’Antologia dell’humor nero di Breton; e poi Spiess, Contessa, Laun, Motte Fouqué, O’Neddy, Forneret, Bertrand, il Leon Bloy de La donna povera; persino Zola, con La disfatta, attende una buona edizione; o Il denaro, dello stesso autore, relegato a un Newton Compton introvabile, così come Mont Oriol di Maupassant … e che dire delle centinaia di epistolari sepolti … i saggi (proibitissimi!) di Céline .. e Remy de Gourmont e Hans Heinz Ewers, miei vecchi pallini.
Che dire? Non possiamo che incoraggiare i Nostri. Viva L'Orma, insomma. Il materiale non manca, come si è visto; la competenza neanche; della passione si è detto: ne possiedono in abbondanza.
Cogliamo l'occasione per riservare un saluto particolare a Marco Federici Solari, facondo, preparato e puntiglioso, e all’efficiente addetta stampa, Chiara Di Domenico, signorina dalla vita stropicciata (ipsa dixit), pasionaria della parola scritta e gourmet a tempo perso.

sito: L'Orma editore

mail: info@lormaeditore.it

Nessun commento:

Posta un commento