giovedì 16 gennaio 2014

Parole come luci venute da una terra perduta, fare poesia con i malati di Alzheimer


A pochi giorni dall'avvio dei seminari 2014 di Officina Poesia proponiamo un testo inedito di Maria Grazia Calandrone, in cui la poetessa rievoca la sua esperienza realizzata al Centro diurno della Fondazione Roma, assieme all’Associazione Alzheimer Uniti, dove l'anno scorso, nel quadro della prima edizione di Officina Poesia (Caproni e io) ha condotto un laboratorio.

Maria Grazia Calandrone
Nella nostra memoria risiede la nostra identità biografica. Confesso che, prima di trovarmi davanti al gruppo insieme al quale ho lavorato, mi spaventava l’immaginazione di trovarmi in un deserto umano, ma conservavo fede nella poesia, nella sua capacità di accedere in diretta al nucleo caldo delle persone – o per lo meno di evocarlo.

Una volta di fronte a queste persone abitate da una vistosa perdita di memoria, ho avuto l’impressione, certo, di una perdita di identità biografica, ma in favore di un allargamento verso una identità umana.

Come se in esse ci fosse una vasta zona abitabile da parte del presente, e del contatto immediato, così dis-occupati come sono da pensiero e memoria e, dunque, da pregiudizi e resistenze concettuali.

Il sorriso e l’assenso sembrano essere i canali principali della comunicazione, da e verso i malati di Alzheimer. Ma che ne facciamo della poesia davanti a persone che hanno come orizzonte l’immediato, il mero istante?

La poesia è musica fatta con le parole: parole che suonano insieme, che stanno bene insieme e fanno musica. Ma questa musica non è solo suono, è appunto fatta di parole – e le parole sono come vagoncini che trasportano un senso.

Il fatto che le parole della poesia stiano così bene una dietro l’altra da fare musica, rende più facile alle parole (e ai loro sensi e significati) scivolare dentro di noi mentre nemmeno ce ne accorgiamo.

Dunque veniamo facilmente raggiunti da parole: che significano qualcosa, sono sensi, hanno senso, aprono mondi e muovono memorie, associazioni, evocazioni, echi.

Inoltre: le parole che i poeti scelgono sono parole innamorate, che si sono attirate l’una verso l’altra come calamite e ora creano armonia.

Una poesia si fa ascoltando i sentimenti delle parole, aiutando a unirsi quelle parole che si guardavano come innamorate.

Quando tutto questo movimento funziona e questa tensione è attiva, raggiunge quella zona di similitudine umana della quale tanto parlano i poeti.

E tanto meglio la raggiunge se non ci sono schermi speculativi e cognitivi, nessuna intenzione di destrutturare e capire ma solo di ascoltare.

Il modo migliore per entrare in contatto con la poesia e con i doni che ci fa la poesia è farla suonare, ascoltarla.

Così, abbiamo soprattutto letto insieme, dato voce alla musica delle parole e ricordato e associato liberamente. Alla fine del nostro lavoro comune abbiamo ottenuto un generosissimo risultato di frammenti di memoria, anfore semisommerse, prue di navi, lampi di luce, ragazze sulla sabbia o che attraversavano un paese: fermi-immagine, luci venute da una terra perduta, come approdati a noi dalla Laconia di Alcmane – o da una zona ancora più remota.

Il laboratorio è stato un viaggio affascinante verso una moltitudine di porti sepolti e si è concluso con una generosa e affettuosa riconoscenza reciproca.

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