lunedì 6 dicembre 2021

IL DOPO TEATRO. Tavola tavola, chiodo chiodo al teatro Vascello

Il DOPO TEATRO è una conversazione che si svolge su whatsapp dopo ogni spettacolo. Scaturisce da una domanda specifica che viene rivolta a quanti nel gruppo di teatro dell'associazione Monteverdelegge hanno visto lo spettacolo, e le risposte vengono trasferite e montate qui nel blog come un dialogo preceduto da una breve introduzione
Te piace ‘o teatro?” “Si, tanto”, sembrano dirsi Lino Musella e gli spettatori del teatro Vascello. Premio UBU per il migliore attore nel 2019, durante il lockdown ha preparato con Tommaso De Filippo lo spettacolo Tavola tavola, chiodo chiodo. Sul palcoscenico, questo straordinario attore ha portato la lotta per difendere il teatro compiuta per tutta una vita da Eduardo de Filippo, grande attore, autore e regista italiano. In scena Musella lo impersona mentre scrive e pensa ad alta voce, lavorando incessantemente, accompagnato dal suono vivo della chitarra vibrante di Marco Vidino. Fin dalla prima scena, infatti, armeggia intorno a un insieme di piccoli pezzi di legno che compone per farli diventare il modellino del “suo” Teatro San Ferdinando, e vi si dedica con la stessa devozione amorosa che aveva Luca, il personaggio più famoso di Eduardo, il protagonista di Natale in casa Cupiello.

MARIA CRISTINA «Il suo lavoro è una “costruzione” del teatro, sia come luogo che come istituzione culturale, ma la sua è una battaglia persa: alla fine dello spettacolo il suo modellino crolla come un castello di carte. Tutto questo lavoro, per costruire»

CARLA «Costruisce materialmente il teatro come fosse la sua casa, perché in fondo la sua vita è coincisa con il teatro»

MARIA CRISTINA   «Traffica sempre, lavora, inchioda, dipinge, monta un riflettore che va in soffitta, accende candele su una ribalta di ferro, ogni tanto risponde al telefono a un’Eccellenza che gli propone di diventare direttore del Teatro Stabile di Napoli, scrive e legge lettere indirizzate agli amici, ai colleghi, ai politici»

ALESSANDRA «Nel grido di dolore che traspare dalle lettere che scrive alle istituzioni, c’è amarezza, ma anche rabbia e sgomento verso coloro che non riescono a riconoscere l’immenso valore del teatro, del suo teatro, nella costruzione di un mondo nel quale si identificava pienamente»

ORNELLA  «Monta e smonta le assi del modellino del "suo" teatro, il San Ferdinando, allestisce le luci di scena, accende e spegne candele, ma attraverso tali gesti mette in scena la costruzione stessa della macchina teatrale mostrandone gli ingranaggi, che padroneggia da abile artigiano (come dice il titolo, "Tavola tavola, chiodo chiodo"). Le candele diventano così parte di un rito che si compie sul palcoscenico, illuminando un'inferriata che via via rappresenta un balcone di scena, la grata del carcere minorile Filangieri di Napoli, per i cui ragazzi Eduardo tanto si è speso, e altro ancora» 

ALESSANDRA «Costruisce tante cose … un futuro, una speranza, un riscatto, la memoria di una città, di un popolo»

MARIA CRISTINA «Con il suo corpo inventa, sì,  e costruisce cose e persone»

ORNELLA «Il corpo dell'attore "inscena" una grammatica di gesti e suoni: con il solo movimento della spalla Eduardo-Lino mostra il dolore interiore per la morte della figlia Luisella, mentre dal corpo-a-corpo fra Eduardo e Gervaso sul senso della vita, sul lavoro, sui rapporti sociali, sui valori (un pezzo di rara bravura, in cui Musella interpreta sia l'intervistato che l'intervistatore) emergono lo spessore umano e la passione civile dell'artista, e insieme la denuncia attualissima dell'insensibilità del potere politico».

Hanno partecipato alla conversazione Alessandra della Corte, Carla Zaccaro, Ornella Munafo e la sottoscritta.

ps. Ci permettiamo di segnalare che Valentina V. Mancini nella sua bella recensione per Teatro e critica, ricorda che il titolo Tavola tavola, chiodo chiodo recita come la lapide eretta in memoria di Peppino Mercurio, lo storico macchinista del San Ferdinando. 
Maria Cristina Reggio

mercoledì 1 dicembre 2021

IL DOPO TEATRO. Antichi Maestri al teatro Vascello

Il  DOPO TEATRO è una conversazione che si svolge su whatsapp dopo ogni spettacolo. Scaturisce da una domanda specifica che viene rivolta a quanti nel gruppo di teatro dell'associazione Monteverdelegge hanno visto lo spettacolo, e le risposte vengono trasferite e montate qui nel blog come un dialogo preceduto da una breve introduzione.
  Il gruppo Monteverdegge teatro ha visto al Teatro Vascello Antichi maestri, traduzione teatrale di Fabrizio Sinisi dall’omonimo libro di Thomas Bernhard, per la regia di Federico Tiezzi. Sandro Lombardi in gran forma è il perfetto protagonista Reger, un uomo ossessivo e bisbetico che da trent’anni si siede per l’intera giornata su una panca in una sala del Kunsthistorishes Museum di Vienna per osservare sempre lo stesso quadro, L’uomo con la barba bianca di Tintoretto. Atzbacher è un giovane uomo che dialoga con Reger, forse un suo amico o un suo estimatore, interpretato dal bravo Martino D’Amico, che prende appunti sul suo taccuino per disegnare a parole un ritratto di Reger, mentre il guardiano del museo, Irrsigler, non proferisce parola per tutta la durata dello spettacolo, ma semplicemente fa il guardiano: osserva, controlla, si allena, si sgranchisce, tutto senza dire alcunchè. Lo spazio scenico è contenuto in una specie di light box il cui perimetro è disegnato da tubi al neon, e al centro del quale, tra ritratti stampati in negativo, campeggia il quadro di Tintoretto. Anche se tutta la pièce si costruisce e sviluppa intorno a questo dipinto, del suo contenuto il protagonista non parla mai nel libro di Bernhard, e neppure nello spettacolo. Ma disserta di tante altre opere d’arte, che detesta e ritiene imperfette, concludendo tuttavia con l’invitare uno stupito Atzbacher a vedere uno spettacolo teatrale.
Tintoretto, L'uomo con la barba bianca, 1564
Il ritratto in questione mostra un anonimo vecchio canuto, che campeggia su un fondo scurissimo, di tre quarti, mentre osserva severo il suo ipotetico osservatore. Indossa un cappotto imbottito e mostra solo il dorso di una mano chiusa sul gonfio e ricco addome.

Perché Bernhard, l’autore di Antichi maestri e poi anche il regista Tiezzi, mettono il protagonista e noi spettatori proprio di fronte a quel quadro di Tintoretto?

Chi è quell’uomo che guarda non solo i personaggi, ma soprattutto la platea e che, soprattutto, si lascia guardare?

Con il gruppo di Mvl teatro abbiamo provato a dare delle risposte, inaugurando con la nostra conversazione virtuale un inedito dopo-teatro.   

Patrizia: “A me sembra che la scelta di Bernhard sia stata dettata dalla capacità che questo dipinto ha di evocare le tematiche trattate nel testo. Il guardare che diventa 'vedere' è sottolineato dalla potenza del volto, illuminato da una luce, che emerge dal buio. E questo volto, visivamente al centro della scena, contiene nello sguardo la necessità di interrogarsi sull'esistenza e sul vuoto di presenza, sull'assenza, non solo intesa come presenza fisica, ma anche come imperfezione della descrizione, della rappresentazione che l'Uomo fa del mondo, della realtà. Secondo me la dinamica di svelamento di questo ritratto si collega anche con l'esperienza della perdita della moglie che Reger sta vivendo”. 

Antonella: «La scelta di mettere al centro l'opera del Tintoretto potrebbe rappresentare l'evanescenza del vivere. La parabola del protagonista si fonde con lo sguardo dell'uomo con la barba bianca che a me sembra indagatore, ma anche benevolo. Credo che quel vecchio potrebbe essere il suo alter ego»

Alessandro: «La mia analisi sulla bellissima messa in scena di Antichi Maestri parte dalla fine della rappresentazione. Il regista, dopo che il custode ha riposto tutti i quadri in negativo nel magazzino per la chiusura giornaliera, ci mostra, con un sapiente gioco di luci, la trasformazione dell'unico quadro rimasto, L'Uomo con la Barba Bianca, nel viso di un uomo più giovane e con la barba corta come il protagonista, Reger. Il regista svela con questa soluzione scenica la sua opinione, quella che identifica l'uomo del quadro del Tintoretto con il protagonista, magistralmente impersonato da Sandro Lombardi. Reger dunque per trent'anni guarda sé stesso e se ne compiace, sottolineando nello stesso tempo la volgarità e la sporcizia della gente che vive nella sua città e oltre i suoi confini, nel mondo. Ma perché l'amico scrittore Atzbacher è così affascinato da Reger? Perché pende dalle sue labbra prendendo nota di tutto quello che dice? Tra le molteplici interpretazioni, quella che mi sembra personalmente più suggestiva, è questa: potrebbe trattarsi di una critica alla narcisistica autoreferenzialità dell'arte, rappresentata da Reger, e alla sostanziale incapacità di comprensione da parte di commentatori e critici, rappresentati da Atzbacher»

Maria: «Molto in breve, io penso che il quadro funga da quarto personaggio e come gli altri partecipi al gioco di specchi che si instaura tra di loro, in cui ciascuno guarda qualcun altro o tutti gli altri. In risposta al contradditorio monologo di Reger, allo studio che Atzbacher fa di lui, e al custode che sembra, col suo di occhio statale, controllare tutti gli altri, L’uomo dalla barba bianca rivolge il suo sguardo quasi ammiccante, ironico e forse derisorio, agli altri e al pubblico . Forse clii sta dicendo semplicemente che quello che l’arte non può dare risposte, ma solo esprimere l’interiorità umana che si pone le domande. Non è la perfezione lo scopo dell’arte, e non serve cercarne l’imperfezione che potenzialmente possono contenere le opere. Non esiste la perfezione, ma l’uomo la insegue nel tentativo di comprendere la vita e la morte. Perché proprio quel quadro? Perchè raffigura un uomo anziano che, oltre a rispecchiare Reger, esprime la saggezza umana che solo il pensiero esercitato nel tempo e l’esperienza di una vita intera possono permettere; esprime il disincanto di chi constata che nulla può essere compreso fino in fondo»

Maria Cristina: «Forse è muto come tante opere d’arte che, indifese e indifferenti di fronte ai giudizi degli umani, sono indispensabili proprio a farli pensare, giudicare, confrontare, parlare. Le opere ci guardano, come diceva il pittore Paul Klee» 

Hanno partecipato alla conversazione Alessandro Drago, Antonella Cecchi Pandolfini, Maria Vayola, Patrizia Vincenzoni e la sottoscritta. 
                                                                                                                                       Maria Cristina Reggio