La vita di Adele (La vie d'Adèle)
Regia: Abdellatif Kechiche
Interpreti: Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux
Voto: 7,5
Voto: 7,5
Una storia d'amore
interrotta dalla vita: questa l'essenza dell'ultimo film del franco-tunisino Abdellatif
Kechiche. L'amore fra Adèle (Adèle Exarchopoulos, bravissima), liceale
diciottenne, ancora insicura e malleabile, e la più scaltrita Emma (Léa Seydoux,
brava), studentessa universitaria di Belle Arti.
Le due si notano, dapprima, en passant, a
passeggio con differenti compagni; si ritrovano, in seguito, per caso, in un
bar: discorrono, bevono, si rivelano appena: Adèle, già innamorata, più
impacciata, Emma più insinuante. Finché un giorno, Emma, capelli celesti,
piglio sornione, aspetta Adèle fuori della scuola: un incontro su una panchina,
quindi un altro appuntamento al parco: convegni di felicità, ma fatti di
niente: timidi ammiccamenti, sorrisi, piccole confessioni, rossori.
Il consueto, eterno appressamento all'amore, un
itinerario che si compiace della propria lentezza, poiché ogni gradino e stasi
prolunga il piacere immenso e rarissimo, quello della rivelazione piena del sentimento;
e dell'oggettivazione carnale d'esso: che ne decreta la morte.
Kechiche impiega più di un'ora nel tratteggiare
tale gioco di seduzione: potremmo dire di scala al paradiso. Di tumescenza
drammaturgica e psicologica. La fine di tale ascesa coincide con l'amore fisico
fra le due ragazze, sincero e coinvolgente. In tal senso vengono giustificate
sia la durata della pellicola (necessaria al disegno di tale parabola amorosa,
mai gratuita, quindi) che l'esplicitezza delle scene di sesso, naturale liberazione
della carica erotica ch'egli ha dapprima compresso, con semplice maestria; e lo
ha fatto ricorrendo a una sorta di fenomenologia minimalista del corpo: filmando
inavvertitamente i denti, le bocche, i capelli, le piegature della carne, le
impercettibili espressioni tenute nei dialoghi; ecco Adèle che dorme, che mangia, che
studia, che sbuffa; abbassa gli occhi, litiga, mente; ed ecco Emma che
occhieggia furba, si nega, lascia intendere, si abbandona, fuma, si liscia la
corta zazzera colorata.
La seconda parte del film, detumescente, quella
del disinganno, vede entrare in campo la vita.
Consumato l'amore s'impongono i ruoli sociali,
le maschere.
Ecco il demi-monde di Emma: bohémien,
intellettuale, aperto, cinico, cosmopolita: artistico, creativo.
E quello di Adèle: limitato, piccolo borghese,
senza scosse (ama i bambini e vuole diventare maestra).
Kechiche scolpisce i mondi di riferimento delle
ragazze filmando due pasti.
Una cena a casa dei genitori di Emma: la mamma,
divorziata, e il patrigno, gentili e di mondo, consapevoli dell'omosessualità
della figlia; mangiano ostriche crude, che ad Adèle non piacciono, comprate
presso un rinomato negozio di delicatessen, sono affabili e aperti; e
comprensivi.
Un pranzo a casa dei genitori di Adèle: mamma e
papà, all'oscuro dell'amore fra le due, cautelosi, preoccupati dell'avvenire (“cara
Emma siamo sicuri che l'arte dà il pane?"); regolari, senza impennate, solidi:
mangiano una più rassicurante pasta alla bolognese fatta in casa.
Come i grandi narratori francesi del realismo
atmosferico, Kechiche, tramite il resoconto di due normali atti conviviali,
riesce a delineare due ceti sociali, e quindi due differenti stati dell'animo,
sino a insinuare (in quella che era stata sin allora una grande storia d'amore)
l'inciampo del vivere.
Da quel momento le esistenze delle due ragazze,
che pure formano una coppia apparentemente unita, si divaricano: gli amici di Emma formano una comunità rutilante,
balzana e volatile, che mette a disagio Adèle; a sua volta, Emma, che persegue con tenacia
una carriera d'artista, trova la condotta dell'amante troppo remissiva,
conciliante, casalinga.
Arriva un pretesto: la gelosia, il tradimento; e
l'amore si tronca; ma è, appunto, un pretesto: l'amore era già finito con
l'irruzione della realtà.
L'addio è asimmetrico: Adèle si separa
piangente, Emma in maniera furibonda.
Emma ha consonanza con la realtà: accetta i
propri ruoli sociali: d'artista, di donna, di lesbica. Il suo agire è in
ottemperanza a tali disegni che la convenienza, rivestita dell'abito della
naturalezza, imprime alla nostra anima. Possiede il conformismo dell’anticonformismo.
Adèle, invece, obbedisce unicamente all'imperio
del proprio cuore: all'amore è pronta, infatti, a sacrificare la propria recita
sociale di piccola borghese sino ad accettare, pur a disagio, come detto, il mondo di Emma,
quello dell'arte, della libertà, della bohème, dell’orgoglio lesbico. Il suo cuore
batte, fuori dagli schemi imposti dalla vita, solo per Emma.
Il resto del film esacerba questo dissidio fra
la purezza di Adèle e il disinganno, tanto che il racconto, che pur non inclina
mai alla tragedia, s'amareggia irresistibilmente sino a farsi memorabile.
Le ex amanti hanno,
a distanza di tempo, altri due colloqui: durante il primo, presso un bar, Emma,
pur riconciliandosi con Adèle, ne rifiuta definitivamente le profferte d’affetto,
perché troppo legata alla parte che ha dovuto ritagliarsi nel quotidiano; durante
il secondo incontro, al vernissage d’una mostra personale di Emma, ormai
artista affermata e integrata, capiamo che il distacco, imposto dalle
convenienze, si è fatto lontananza, e freddezza; qui l'isolamento di Adèle,
fedele ai principi dell'unico amore in grado di completare la propria mancanza,
si fa completo e irrevocabile.
E il regista esalta, da ultimo, anche i capricci
della casualità, come nelle opere del settecentesco Pierre Marivaux, sottofondo
tematico della produzione di Kechiche (nel film è citato il romanzo La vita di Marianna; nel precedente
capolavoro, La schivata, la commedia Il giuoco dell'amore e del caso).
Le maschere sociali; e il caso. Cosa sarebbe accaduto
se Adèle non avesse notato i capelli celesti di Emma all'inizio del film?
E cosa sarebbe accaduto se, nell'ultimissima inquadratura, il ragazzo,
invaghito di Adèle, tanto da inseguirla in strada, l'avesse raggiunta e le
avesse dichiarato il proprio amore?
Invece ancora la sorte, lo scarto del destino,
il lancio di dadi entrano in gioco: anche queste esistenze si perderanno per non incontrarsi più.
Il caso. E l’imperio della vita vissuta,
convitata cieca e tiranna, che impone leggi diverse da quelle dell’amore più autentico.
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