martedì 30 giugno 2015

Howard Phillips Lovecraft, Qualcosa sui gatti (e sui cani)

Un breve estratto da un piccolo saggio che il re del terrore cosmico riservò alle bestiole più amate, i gatti. Il saggio (Cats and dogs) fu pubblicato su una rivista minore (come tutta la sua opera), Leaves, nell'agosto del 1937; pochi mesi dopo la sua morte.
Come scrisse Gautier: 'Se sei degno del suo amore, un gatto sarà tuo amico, ma mai il tuo schiavo'. E il vecchio Howard approva la massima, delineando il congenito contegno di cani e gatti (i primi servili, i secondi indipendenti) e, soprattutto, una severa psicologia di cinofili e ailurofili (i gattari come lui): prosaici i primi, contemplativi e aristocratici i secondi. 
Che dire? Sono d'accordo con Howie, ma con cautela.


“Tra cani  e gatti la mia preferenza è così grande che non mi accadrà mai di fare paragoni tra di loro. Non ho una attiva antipatia per i cani, più di quanta io l’abbia per le scimmie, gli esseri umani, i commercianti, le vacche, le pecore o i pterodattili: ma per il gatto ho provato un rispetto particolare e affetto sin dai primi giorni della mia infanzia. Nella sua perfetta grazia e superiore autosufficienza ho visto un simbolo della perfetta bellezza e della spassionata impersonalità dell’universo stesso, oggettivamente considerato, e nella sua aria di silenzioso mistero risiedono per me tutta la meraviglia e il fascino dell’ignoto. Il cane fa appello a banali e facili emozioni; il gatto alle più profonde fonti d’immaginazione e di cosmica percezione nella mente umana. Non è un caso che i contemplativi egiziani, assieme a successivi spiriti poetici come Poe, Gautier, Baudelaire e Swinburne, erano tutti sinceri adoratori dell’agile gatto.

Il cane mi sembra essere favorito dalle persone superficiali, sentimentali e emotive – persone che sentono più che pensare, che danno importanza all'uomo e alle emozioni popolari convenzionali del semplice, e che trovano la più grande consolazione negli affetti servili e dipendenti di una società gregaria. Questa gente vive in un mondo d’immaginazione circoscritto … gli appassionati dei cani fondano tutta la loro causa su … comuni, servili e plebee qualità, e ironicamente giudicano l’intelligenza di un animale domestico dalla sua capacità di conformarsi ai loro desideri personali. Gli amatori dei gatti sfuggono a questa illusione, rifiutano l’idea che la servile sudditanza e la timorosa amicizia per l’uomo siano meriti supremi e restano liberi di adorare l’aristocratica indipendenza, i rispetto per se stessi e la personalità individuale unite all'estrema grazia e alla bellezza rappresentate dal freddo, flessuoso, cinico, e mai sottomesso signore dei tetti … il cane piace a quelle anime primitive emozionali che richiedono soprattutto all'universo un affetto insignificante, una compagnia senza scopo, un’adulante attenzione … mentre il gatto regna tra quegli spiriti più contemplativi e immaginativi che chiedono ... solo l’opinione oggettiva della penetrante e eterea bellezza e l’animata rappresentazione simbolica del dolce, inflessibile, riposante, calmo e impersonale ordine della Natura e della sua sufficienza. Il cane , ma il gatto è”.

Traduzione di V. D'Arena

domenica 28 giugno 2015

Le poesie della domenica - Cinque poesie giapponesi sull'estate

Hokusai, Il cuculo e l'arcobaleno
Si è già accennato, nel post su Ono no Komachi, alla raccolta imperiale di poesia waka chiamata Kokin Waka shū (o Kokinshū). Essa raccoglie più di mille componimenti, divisi per libri e temi (amore, viaggi, elegie, nomi di cose, autunno, inverno et cetera).
Le cinque liriche appartengono al libro sull’estate. Gran parte delle poesie sono dedicate al cuculo, annunciatore gioioso della bella stagione (e suo simbolo, assieme alla pianta di mandarino). Non manca una riflessione del grande Henjō, figlio dell’imperatore Kanmu, ritiratosi dalla vita di corte per farsi monaco buddista: perché se il fiore del loto emerge con intatta purezza dal fango dell’acqua (ammonendoci a una vita non influenzata dalle leggi prosaiche del mondo) poi ci confonde assomigliando le sue gocce di rugiada a gemme e gioielli?
Henjō, assieme a Ono no Komachi, è uno dei sei geni poetici dell’antologia (i cosiddetti Rokkasen).
Preme dire che l’intera collezione del Kokin Waka shū è stata, per quanto possa sembrare incredibile, tradotta in italiano. Una bellissima edizione della casa editrice Ariele (2000, poi 2002), con testo originale a fronte (anche traslitterato), e commento della professoressa Ikuko Sagiyama (docente di Lingue e Letteratura giapponese presso l’Università di Firenze).
La presente traduzione è, invece, effettuata a partire dal testo inglese di Thomas McAuley. Come al solito si è cercato di riconquistare il ritmo del waka (sillabe 5-7-5-7-7) alternando settenari e novenari: con poco costrutto, ma, come affermava Petrarca, mi piace molto sperimentare (glc).

Anonimo (KSS 141)

Alfin questa mattina
giungesti, o cuculo canoro.
Ma vagabondo ancor sei:
questi fiori di mandarino
come nuova dimora io t’offro.

Mibu no Tadamine (KSS 157)

Credevi fosse il tramonto?
Quando l’alba fiorire vedrai
della notte d’estate
non sazio del canto, canterai
ancora, cuculo dei monti?

Henjō (KSS165)

Nell’acqua del fango scura
le foglie del loto serbano
casta l’anima loro
eppur le gocce di rugiada
scambiamo poi come gioielli.

Kiyohara no Fukayabu (KSS 166)

Le notti dell’estate:
appena il tramonto si chiude
subito ecco l’aurora.
Ma dov’è la luna? Trovò
fra le nuvole il suo rifugio?

Ōshikōshi no Mitsune (KSS 168)

Nei sentieri celesti
s’incrocia il cammino d’estate
e dell’autunno che ora giunge.
Da lì una fresca brezza spira,
la sento, non è meraviglia.

sabato 27 giugno 2015

La poesia della domenica - Rudyard Kipling, Se


Se riesci a non perdere la testa quando tutti
intorno a te la perdono, dandone la colpa a te.
Se riesci ad avere fiducia in te stesso, quando tutti dubitano di te,
ma anche a tenere nel giusto conto il loro dubitare.
Se riesci ad aspettare senza stancarti dell'attesa,
o essendo calunniato, a non rispondere con calunnie,
o essendo odiato, a non abbandonarti all'odio
pur non mostrandoti troppo buono, né parlando troppo da saggio.

Se riesci a sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni,
se riesci a pensare, senza fare dei pensieri il tuo fine;
se riesci, incontrando il Trionfo e la Sconfitta
a trattare questi due impostori allo stesso modo.
Se riesci a sopportare il sentire le verità che hai detto
travisate da furfanti che ne fanno trappole per sciocchi,
o vedere le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
e chinarti e ricostruirle con i tuoi strumenti logori.

Se riesci a fare un cumulo di tutte le tue vincite
e a rischiarlo tutto in un solo colpo a testa o croce,
e perdere, e ricominciare dall'inizio
senza dire mai una parola su ciò che hai perso.
Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi tendini
a sorreggerti anche dopo molto tempo che non te li senti più
e di conseguenza resistere quando in te non c'è niente
tranne la tua Volontà che dice loro: "Resistete!"

Se riesci a parlare con le folle mantenendo la tua virtù
o a passeggiare con i re senza perdere il senso comune,
se né nemici, né affettuosi amici possono ferirti;
se tutti gli uomini per te contano, ma nessuno troppo,
se riesci a riempire l'inesorabile minuto
con un momento del valore di sessanta secondi,
tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
e, quel che più conta, sarai un Uomo, figlio mio!

lunedì 22 giugno 2015

Eleanor Wilner, Meditazione su alcuni versi del sonetto 73 di Shakespeare



Meditazione su alcuni versi del sonetto 73 di Shakespeare

Quando foglie gialle, poche o nessuna, resistono
come sono preziose le poche foglie rimaste
se precedute dall’assenza di tutte le altre.

Chiaro, come il meno rende caro, e come i giambi
cadono come foglie, separati, come le virgole battono
il tempo, e incardinano il ritmo dei suoni.

Ma più di tutto, amo questo verso perché
sento col cuore quando quel “resistono”
risuona a fine verso, la nota più profonda,

tempo passato, puro  rintocco lirico: nudi cori in
rovina dove dolci cantavano un tempo gli uccelli. E allora
penso a Wordsworth (che non amo),

ai suoi “Versi”  sull’abbazia in rovina aperta
al cielo, i cui monaci un tempo facevano risuonare
quei cori , piccoli uccelli di Dio, perduti se non

per il dolce verso del bardo- un incanto che,
come un argine, si oppone alla marea
montante del tempo reale: là, dove curva il fiume,

e sulle sue rive, la città di Hay-on-Wye,
casa dopo casa, stanza dopo stanza di vecchi
libri imputriditi, perfino i fienili ricolmi,

libri che sanno di muffa e degrado, di cuoio 
marcito nell’umido. E là trovai un libro
che ti mandai (amavi Wordsworth con vero

abbandono), tu, così intransigente–
un libro in cui un tipo strambo si era messo
a criticare i canti degli uccelli: per ognuno

aveva steso un rigo di note, poi, come
fosse un critico musicale in una sala da concerto,
ci spiegava esattamente il valore
dei canti,  e alcuni li lodava, ma i più
li liquidava, descrivendone con sicumera,  
le pecche. Così, fu a te, critica spietata

delle melodie fallite della mediocrità,
al vaglio del tuo orecchio assoluto–
che mandai quel libretto come una sorta di tacito

gioco tra noi che avresti capito. Tu, che ti muovi
ora solo nella memoria, e in quelle
tue poesie, dove dolci cantavano un tempo gli uccelli

Meditation on Lines from Shakespeare Sonnet 73
     
               For Julia Randall, 1923-2005

When yellow leaves, or none, or few, do hang...
How precious are the few remaining leaves
when prefaced by the absence of them all.

Clear, how less makes dear, and how the iambs
fall like leaves, discrete, how commas keep
the beat, like hinges swing the sounds.

But most of all, I love this line because
I hear by heart, when that "do hang"
rings at line's end, the deeper sound,

past tense, pure lyric knell: bare ruined choirs
where late the sweet birds sang. And then
I think of Wordsworth (whom I do not love),

his "Lines" above the ruined abbey open
to the sky, whose monks once made those
choirs sing, the little birds of God, gone but for

the bard's sweet line –a loveliness that,
like levee, stands against the rising
tide of real time: there, where the river bends,

and, on its banks, the town of Hay-on-Wye,
house after house, room after room of old
and musty books, even the barns piled high,

books smelling of mildew and decay, of leather
rotting in the damp. And there I found a book
I sent to you (who loved Wordsworth with

a true abandonment), uncompromising you–
a book in which some addled man had thought
to act as critic of the songs of birds: for each,

he set a little line of notes, and then, as if
he were a music critic at a concert hall,
he let us know exactly what the songs were

worth, and some he praised, but most of them
dismissed, and told, in no uncertain terms,
their flaws. So, it was to you, fierce critic

of the failed melodies of mediocrity,
winnower with your own pitch perfect ear–
I sent that little book as a kind of inside

joke you'd understand. You, who move
now in memory alone, and in those poems
of yours, where late the sweet birds sang.


* * * * * 

William Shakespeare, Sonetto 73

Contempla in me quell’epoca dell’anno
Quando foglie ingiallite, poche o nessuna, pendono
Da quei rami tremanti contro il freddo,
nudi cori in rovina, ove dolci cantarono gli uccelli.

Tu vedi in me il crepuscolo di un giorno,
Quale dopo il tramonto svanisce all’occidente,
Subito avvolto dalla notte nera,
gemella della morte, che tutto sigilla nel riposo.

Tu vedi in me il languire di quel fuoco,
che aleggia sulle ceneri della propria giovinezza,
come sul letto di morte su cui dovrà spirare,
Consunto da ciò che già fu suo alimento.

Questo tu vedi, che fa il tuo amore più forte,
a degnamente amare chi presto ti verrà meno.

(Traduzione di Alberto Rossi e Giorgio Melchiori)

That time of year thou mayst in me behold
when yellow leaves, or none, or few, do hang
upon those boughs which shake against the cold,
bare ruined choirs, where late the sweet birds sang.

In me thou see’st the twilight of such day
as after sunset fadeth in the west;
which by and by black night doth take away,
Death’s second self, that seals up all in rest.

In me thou see’st the glowing of such fire,
that on the ashes of his youth doth lie,
ts the deathbed whereon it must expire,
consumed with that which it was nourished by.

This thou perceiv'st, which makes thy love more strong,
to love that well which thou must leave ere long.

domenica 21 giugno 2015

La poesia della domenica - Popolo Algonkin Blackfeet, La canzone dell'ascia

Scrive un filosofo con la barba: "Nell'alienazione dell'oggetto del lavoro si riassume solo l'alienazione, l'espropriazione, dell'attività stessa del lavoro. In cosa consiste ora l'espropriazione del lavoro? In primo luogo in questo: che il lavoro resta esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e che l'operaio quindi non si afferma nel suo lavoro, bensì si nega, non si sente appagato, ma infelice, non svolge alcuna libera energia fisica e spirituale, ma mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito ... il suo lavoro non è volontario, ma forzato, è lavoro costrittivo. Il lavoro non è quindi la soddisfazione di un bisogno, ma è solo un mezzo per soddisfare dei bisogni esterni ad esso. La sua estraneità risalta nel fatto che, appena cessa di esistere una costrizione fisica o d'altro genere, il lavoro è fuggito come una peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si espropria, è un lavoro-sacrificio, un lavoro mortificazione. In fine l'esteriorità del lavoro al lavoratore si palesa in questo: che il lavoro non è cosa sua ma di un altro; che non gli appartiene, e che in esso egli non appartiene a sé, ma ad un altro".
Ragionamento ammirevole, ma di seconda mano. 
Tutti i concetti filosofici principali, basici, sono già conosciuti intimamente dai popoli. Marx non ha inventato nulla; nel sangue di un poeta degli Algonchini Piedi Neri (tribù situate fra il Canada e il Nord degli Stati Uniti) già viveva, infatti, la felicità di un lavoro ben fatto, la gioia della creazione che si tramanda di padre in figlio, l'identificazione mistica fra oggetto e artefice.

Non è forse bella
questa mia ascia,
la taglio, la incido,
ne splendo.
Quest'ascia è contenta di esistere.
Io sono l'ascia,
io sto fabbricando me stesso.
Noi due siamo una cosa.

giovedì 18 giugno 2015

Alla Crispi nasce la Biblioteca Giorgio Caproni

Enza Bertoni
La scuola elementare Francesco Crispi, ha dato per volontà di alcuni insegnanti e genitori, oltre che del capo d'istituto, un segnale tangibile all'interno del territorio. Grazie al loro lavoro infatti,  all'interno della scuola è stato immaginato e avviato uno spazio importante, una biblioteca: la biblioteca intestata a "Giorgio Caproni" insegnante elementare e grande poeta, che ha lavorato tra gli anni '50 e '70 proprio in questo vecchio edificio di Monteverde Vecchio. Il 5 giugno, taglio di nastro e grande partecipazione da parte di bambini, insegnanti, genitori e rappresentante del XII Municipio all'insegna del libro e della biblioteca come risorsa indivfduale e colletiva.
Moltiplicare i luoghi di lettura è questo ciò che hanno fatto le insegnanti, spostare dalla classe il momento della lettura verso altro luogo: un luogo che senz'altro avrà più visibilità all'interno dell'Istituto e del territorio.
Con l'aggiunta della fantasia, dell'immaginazione,  della curiosità, dell'allegria, della semplicità, i bambini hanno completato l'operato delle insegnanti, dei genitori e di volontari dell'associazione culturale Monteverdelegge, convinti che sia necessario (anche) partire dal basso e partecipare a iniziative piccole e coraggiose  come questa.
In questo spazio i giovani allievi si liberano dall'adulto e scelgono cambiando il rapporto con il libro stesso. Evviva i Lettori in movimento! Evviva la biblioteca "Giorgio Caproni", ambiente attrezzato per far leggere, desiderare, immaginare!

Errante con stile

La presentazione del libro, JCU
Fiorenza Mormile

Maria Adelaide Basile, Viaggi, Campanotto editore, 2014

La vita è un viaggio, secondo una metafora abusata. Per alcuni tuttavia lo è in modo più pieno, caratterizzante, e Adelaide Basile è senz'altro  tra questi. Il suo esordio poetico Viaggi, edito alla fine dello scorso anno da Campanotto  è solo in minima parte il reportage di vari     spostamenti da Roma (la Puglia, Parigi, Venezia) e di protratti trasferimenti (un anno in Guinea Conakry, dieci negli States), che a differenza del viaggio breve imprimono segni più profondi e irreversibili: "c'è  il colore così  intenso più  intenso/ dei frutti e le stoffe ti rimane negli /occhi ma nel corpo anche/ l'averlo incontrato ". Nella sorvegliatissima architettura Viaggi  è  più  un romanzo di formazione in versi, o, potremmo azzardare,  di scomposizione. Soprattutto è un libro in corsa, se non in fuga, che con un incessante movimento rimuove       l'idea dell'ineluttabile stasi. Nell'exergo troviamo "atleti che corrono nel buio/e non sanno né dove sono/ gli altri         dove gli altri sono sconosciuti concorrenti, quindi potenziali avversari, immersi in un buio ossessivamente ricorrente nei testi.
Lo confermano i treni in corsa di notte della poesia d'apertura che "corrono a mete sconosciute"; "lasciarsi trasportare/ non importa dove/ lontano/ si può  trascorrere la vita. Sono i ripetuti trasferimenti estivi della Basile bambina al mare dell'originaria Puglia a schiudere  la linea di senso di un relazionarsi problematico (le " case illuminate" intraviste e distanziate nello spazio subliminale di un battito di ciglia) ribadito dalla poesia successiva dove "anime inquiete  gli uccelli/ non si fermano/ (...) che per frazioni di secondo (...) gli uc  celli migratori poi/ sono sempre sull'ala di partenza/  mentre gli altri (...) vivono così  vicini   che si potrebbe fare amicizia/ ma volano via . " Lontano" è  parola chiave, a indicare       una condizione non solo spaziale ma del cuore, che per troppa vulnerabile sensibilità  erige  barriere protettive e come nella scrittura, scarnificata all' osso, opera per sottrazione.   

martedì 16 giugno 2015

In uscita le poesie di Li Qingzhao per MVL Cartoni


In uscita, nelle edizioni di Monteverdelegge Cartoni, le poesie di Li Qingzhao, la più celebrata lirica cinese della dinastia Song; i libri sono disponibili in edizione numerata di 30 esemplari (65 pagine), tradotti, impaginati, cuciti a mano e assemblati a cura del laboratorio di microeditoria di MVL Cartoni.
Ricordiamo che ogni libro numerato costituisce un pezzo unico: ognuno d'essi, infatti, vanta una propria specifica copertina e lavorazione; ogni opera, inoltre, è assemblata esclusivamente con materiale da riciclo: vecchi cartoni, stoffe usate, vecchi bottoni e ritagli, carta ecologica etc

Ma chi è Li Qingzhao?
Leggiamo dall'introduzione:
"Li Qingzhao (1084-1155) nasce a Jinan (provincia di Shandong), in un ambiente di studiosi e funzionari imperiali. Il padre, Li Gefei, è professore presso l'Accademia Imperiale, nonché prosatore di vaglia; la madre vanta un rilievo di scrittrice e poetessa. 
Stimolata dall'ambiente, sin da piccola, Li inizia una propria produzione poetica in cui già traspaiono il candore, la naturale eleganza e l'amore per le bellezze naturali dei paesaggi nativi, che ama visitare in lunghe escursioni.
A diciotto anni sposa Zhao Mingcheng, studente proprio presso l'Accademia Imperiale, a lei affine per temperamento e gusti (ama la poesia e l'epigrafia).

Nel 1127 i Qin (Tartari) espugnano la capitale Kaifeng, provocando il crollo dell'Impero Song del Nord: nella fuga verso sud, oltre il fiume Yangtze (Fiume Azzurro), i due perdono parecchi libri, carte e oggetti d'arte che avevano collezionato con cura e gusto negli anni precedenti. Nel 1129 Zhao Mingcheng muore di tifo: Li Qingzhao è costretta a condurre una vita errabonda e disordinata, di cui si sa poco; in tali vagabondaggi vanno smarriti parecchi suoi manoscritti. Infine si stabilisce presso Hangzhou, capitale dell'Impero meridionale. Un buon numero di studiosi concorda sulla sua data di morte, a settantun anni".

[cliccare per allargare] Sopra la poesia 19 di Li Qingzhao dedicata alla mimosa:

I tuoi petali son gocce di morbido oro, a migliaia,
le foglie strati e strati di cristalli di giada intagliata,
leggiadra all'occhio,
nobile e luminoso è il tuo spirito.
Meriti davvero d'apparire
nell'opera di quell'antico dotto, Yan Fu.

Al tuo cospetto com'è volgare il prugno,
colla sua profusione di petali;
e quanto rozzo il lillà
con l'intrico suo innumerevole dei rami.
Ma il tuo profumo inebriante,
o fiore senza cuore!
ridesta un sogno di dolore,
migliaia di miglia a me lontano.


Ma quale il motivo del canto di questa poetessa, semplice e profondo?

"[ella canta] ... gli eleganti quadretti naturali, le eulogie dei fiori; e, all'opposto, i lamenti dell'esule, costretta a disordinati vagabondaggi, il compianto vedovile, la nostalgie per i luoghi nativi e gli antichi svaghi, la volontà di dimenticare la mediocrità del presente ... Il mondo di Li Qingzhao è un hortus conclusus di grazia cristallina: nel cerchio della sua coscienza cadono alcuni oggetti poetici ricorrenti, che, man mano che approfondiamo la conoscenza dell'opera, ci divengono assolutamente familiari. Abbiamo quindi il fermacapelli, l'incensiere, il bricco del tè; tende, cortine, giacigli; cipria, belletto, rossetto; quindi, per la natura: mimose, crisantemi, peonie, fiori di prugno, salici, meli; e poi le notazioni d'ambiente: nebbia, pioggia, nuvole, neve, vento, monti; il tutto inscritto, in una sequenza ciclica quasi mistica, nelle vaste categorie temporali dell'autunno e della primavera - stagioni colte nel loro rigoglio e nelle sottili sfumature della nascita e del declino ... [in lei convivono] la consapevolezza dell'effimero, propria del buddismo, con la sua curvatura melanconica, ma anche l’influsso taoista col suo amore per la natura e la solitudine, quale rifiuto delle responsabilità civili".


Notevolissime anche le liriche dedicate alla rievocazione degli anni felici vissuti durante la giovinezza, descrizioni spesso incastonate in un contesto naturale delicato e nostalgico. Ecco la lirica 24, in cui ella ricorda un momento lieto vissuto accanto al marito Zhao Mingcheng:


Un giorno spesso ricordo
con nostalgia, e caro amore.
Si era al Padiglione del Ruscello;
infiammati dal vino
a stento riuscivamo a staccarci
dalla magnifica vista del tramonto.
Goduta a pieno una tale gioia
tornando in barca  - era tardi -
smarrimmo la via, vagando
dove i fiori del loto eran più fitti.
Spingemmo e battemmo coi remi
come meglio si poteva,
ancora e ancora:
lungo le rive gli aironi sonnolenti, e i gabbiani,
impauriti, si levarono presto in volo,
a frotte.

Chi volesse una copia delle poesie può mandare una mail a Monteverdelegge (monteverdelegge@gmail.com) o a uno dei responsabili oppure recarsi personalmente presso la sede di Via Colautti 30 (lunedì, 15-19; martedì-giovedì-venerdì 17-19).

Altri libri curati da MVL possono rintracciarsi presso il sito cartonlibri.blogspot.com.

sabato 13 giugno 2015

MVL Cinema - Walter Veltroni, Quando c'era Berlinguer

Quando c'era Berlinguer (Italia 2014)
Regia: Walter Veltroni
Interpreti: comunisti che non ci sono più

G. Luca Chiovelli

Quando c'era Berlinguer tali film non sarebbero mai stati girati.
Ma che dico girati? Concepiti.
Concepiti con tale stile melassodiarroico, intendo.
Tutto bello il passato di Veltroni. Alla faccia del politicamente corretto! Qui siamo nel regno delle fatine.
Al politicamente corretto piace la lectio facilior. E invece l'arte e, più modestamente, un lavoro ben fatto, esige sempre la lectio difficilior. Lectio difficilior, in filologia, è: "criterio in base al quale, nell’edizione critica di un’opera, tra due o più lezioni attestate, aventi pari autorità documentaria, è da preferire quella che presenta una sua intrinseca maggiore difficoltà o rarità dal punto di vista morfologico, lessicale, semantico, essendo più probabile che, nell’atto di copiare, l’espressione più ovvia (lectio facilior, 'lezione più facile') si sostituisca a quella più difficile che non l’inverso".
Con l'ultimo film pare che Veltroni abbia addirittura superato le vette saccariniche dei precedenti capolavori letterari.
Con i prossimi cinque film (sì, pare siano già in cantiere) la carie estetica attaccherà direttamente la polpa dentaria. Quale memoria o stato della coscienza verranno molestati? L'amore, Che Guevara, Nilde Jotti, Kennedy, Malcolm X?
Occorre dirlo preventivamente: nessuno è al sicuro.
I bambini se li è già fumati.
Anche Pasolini corre un bel rischio. Un bel film di Veltroni su Pasolini. Garantito che Pasolini si rivolterà nella tomba e, come disse Groucho Marx, ci toccherà rimboccargli la lapide. Pasolini, il profeta del postmoderno. L'unico che aveva compreso come la bontà indotta per legge (politically correct), unita al merchandising dell'anima, avrebbe schiantato qualsiasi discorso critico, qualsiasi gerarchia, ogni tentativo di discriminare la bellezza.
E l'unico che aveva intuito la nullità di Veltroni già in fasce. Guardate l'immagine sottostante per credere; l'espressione interrogativa non lascia dubbi (era un Veltroni minorenne). Anche l'espressione di Veltroni, purtroppo, non lascia dubbi.


Ma andiamo avanti così.
Di tutto questo (Veltroni, i film e i libri di Veltroni, la faccia di Veltroni) per fortuna non resterà nulla.
Nulla di nulla.
Come non resterà nulla dei telefilm americani, dei manga, dei supereroi, dei saggisti alle vongole, dei poeti della domenica e di altro ciarpame che infesta le librerie.
Come disse Travis Bickle in Taxi driver: "Grazie al cielo è venuta la pioggia, è servita a ripulire un po' le strade dalla immondizia che si era ammonticchiata ... un giorno o l'altro verrà un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre".
Ai critici italiani, agli scrittori, ai mezzani, ai prostituti, ai giornalisti, sempre lì con le dita impiastricciate dalle tartine, che un tizio come Veltroni faccia un film e trovi pure chi glielo distribuisce - tutto questo pare normale. D'altronde a loro piace giocare. Articoli, salamelecchi, leccate. Dell'arte non gliene frega proprio niente. La cultura è, ormai, un gioco di società. Adesso stanno giocando allo Strega. 
Giocate ...  giocate ... continuate a giocare, e vedrete che diluvio.

PS
Ecco il lato comico della vicenda. Quando c'era Berlinguer i maggiori intellettuali italiani boicottavano gli eventi più istituzionali e paludati: Venezia, la prima alla Scala, Cannes et cetera. Ora se metti in discussione qualche riunione degli attuali intellettualpezzenti (esempio: lo Strega) ti danno sulla voce di brutto. "Come come si permette!". "Non è possibile!" e così via. E sapete chi sono i coribanti e le bassaridi più infervorati in tale lavorio di restaurazione: quelli che piagnucolano mentre vedono Quando c'era Berlinguer.
PPS
Ma voi avete forse letto una stroncatura del film di Veltroni? Una importante, al di là del goffo circuito di chi, per dovere, è costretto a stroncare la pellicoletta (Il Giornale, Libero e pattume consimile)? 
PPPS
A sinistra di Pasolini e Veltroni, nella foto, vi è un'altra nullità. Non ne ricordo il nome, però.

sabato 6 giugno 2015

I Bibliosonetti di MVL Cartoni al TG2



E così l'ultima creazione di MVL Cartoni, i Bibliosonetti di Paul Verlaine, approda al TG2.
Nella rubrica 'Costume e Società' del 28 maggio scorso, in un servizio su Officine Creative, negozio specializzato in prodotti artigianali, appare proprio il bel libretto da poco uscito in edizione fuori commercio presso la nostra casa editrice (ricordiamo: composto al 100% da prodotti riciclati, cartone, carta, stoffe, ritagli et cetera).
Il servizio inizia al minuto 9'45'' circa; la fatale apparizione al minuto 11 ... ecco il link:


Officine Creative è sito in Via del Falco 12, a Borgo Pio, a pochi passi dalla Basilica di San Pietro; Officine "è un'associazione culturale nata con l'intento di favorire l'espressione creativa dei piccoli artigiani. Al suo interno una ricca selezione di prodotti artigianali: borse, bigiotteria, accessori di abbigliamento, cappelli, vestiti, foto, bijoux e oggetti di design, con materiali nuovi e riciclati: tante idee per grandi e piccoli regali, tutto all'insegna della creatività".
La signora nel video è Gioia Spizzichino, una delle fondatrici dell'associazione.
Per chi volesse sapere di più sui Bibliosonetti (inediti in italiano) può leggere il post relativo:

http://mvl-monteverdelegge.blogspot.it/2015/05/in-uscita-i-bibliosonetti-di-paul.html

Chi volesse richiederne una copia può scrivere presso Monteverdelegge, o presso uno dei soci.

venerdì 5 giugno 2015

Monteverdelegge e la scuola elementare Crispi

Dopo la Maratona Rodari al Teatro Vascello, le letture continuano a scuola - per esempio alla Crispi, dove sono ospitate nella nuova biblioteca
 
Enza Bertoni
Ore 11, entro in biblioteca al 3° piano accompagnata dall'insegnante di quarta elementare Antonini.
Sento dopo poco dei passi e del vociare piacevole che proviene dal corridoio.
Sono i bambini  di terza e di quarta che, felici di entrare in questo nuovo spazio, che è la biblioteca della scuola, ascolteranno delle storie di Rodari lette da me.
L'iniziativa presa dall'insegnante Barberini e da altre insegnanti è meritevole.
L'importanza di questo luogo è notevole e i bimbi ne sono consapevoli, ascoltano e ricambiano con la loro attenzione e partecipazione.
Si divertono sentendomi dire che anche io, alla mia età avanzata, leggo apertamente fiabe e filastrocche senza vergognarmi di sembrare infantile e di apprezzare letteratura per l'infanzia e letteratura per adulti.
Noi di Monteverdelegge sappiamo bene che la lettura di generi diversi è fondamentale e che esistono varie strade, modi, azioni per "ripulire" e lasciare che emerga spontaneamente la creatività di ognuno di noi.
Questo lasciarsi andare alla lettura, questo organizzare uno spazio diventa sempre più difficile, ma consideriamo i risultati, e i risultati stamane sono stati più che positivi.