martedì 30 ottobre 2018

Dal Laboratorio di Traduzione: Joy Harjo, Una mappa per il prossimo mondo

Fiorenza Mormile

Ecco una seconda poesia di Joy Harjo. Se la poesia precedente,
Photo Credit: Karen Kuehn
Quando il mondo come lo conoscevamo finìsegnava con il crollo delle Torri la fine del mondo come lo conoscevamo, questa, dedicata alla nipotina Desiray, è tutta proiettata nel mondo successivo. 
Per Harjo i nativi che vorranno abitarvi non potranno prescindere dalla consapevolezza delle proprie radici tribali e dalla necessità di superare tanto i torti subiti che gli errori compiuti. 
Prendendo forza dagli astri la piccola Desiray dovrà costruirsi da sola la propria mappa, senza farsi deviare dalle lusinghe consumistiche intorno a sé, per riconnettersi alla storia della sua gente e rinsaldare il legame tra le generazioni. 


JOY HARJO

Una mappa per il prossimo mondo
                                           per Desiray Kierra Chee

Negli ultimi giorni del quarto mondo ho voluto tracciare una mappa per chi si sarebbe arrampicato attraverso il buco nel cielo.

I miei soli strumenti erano i desideri degli umani via via che emergevano da campi di morte, camere da letto e cucine.

Perché l’anima è una vagabonda con tante mani e piedi.

La mappa deve essere di sabbia e non si legge con una luce qualunque.
Deve portare il fuoco alla città tribale vicina, per rinnovare lo spirito.

Nella legenda ci sono istruzioni sulla lingua della nostra terra, come fu che dimenticammo di riconoscere il dono, come non lo abitassimo o non ne facessimo parte.

Attenzione al moltiplicarsi di supermercati e centri commerciali,
altari del denaro. Il segno più evidente dell'allontanamento dalla grazia.

Tieni nota degli errori della nostra smemoratezza; la nebbia ci ruba i figli mentre dormiamo.

Fiori di rabbia spuntano dalla depressione. Ne nascono mostri di furia nucleare.

Alberi di cenere dicono addio all'addio e la mappa sembra scomparire.

Non conosciamo più i nomi degli uccelli, né come parlare
loro chiamandoli per nome.

Un tempo sapevamo tutto in questa lussureggiante promessa.

Ciò che ti dico è vero ed è stampato in un avviso
sulla mappa. La nostra smemoratezza ci insegue, percorre la terra dietro di noi, lasciando una scia di pannolini, siringhe e sangue sprecato.

Dovremo accontentarci di una mappa imperfetta, piccola mia.

Si entra dal mare del sangue di tua madre, dalla piccola morte di tuo padre che non vede l'ora di riconoscersi in qualcun altro.

Non c’è uscita.

La mappa si può interpretare attraverso la parete dell’intestino – una spirale sulla via della conoscenza.

Viaggerai attraverso la membrana della morte, sentirai odore di cucina dall’accampamento dove i nostri parenti banchettano con carne fresca di cervo e zuppa di mais, nella Via Lattea.

Non ci hanno mai lasciato, li abbiamo abbandonati noi in nome della scienza.

E al tuo prossimo respiro mentre entriamo nel quinto mondo
non ci sarà nessuna X, nessuna guida con parole da portare con te.

Dovrai navigare seguendo la voce di tua madre, rinnovare la canzone che sta cantando.

Dai pianeti balugina nuovo coraggio.

E illumina la mappa impressa col sangue della storia, una mappa che riuscirai a conoscere, se lo vorrai, dalla lingua dei soli.

Quando emergerai rintraccia le orme degli sterminatori di mostri, là dove sono entrati nelle città di luce artificiale e hanno ucciso ciò che ci stava uccidendo.

Vedrai dirupi rossi. Sono il cuore, contengono la scala.

Un cervo bianco ti accoglierà quando l’ultimo umano si isserà dalle rovine.

Ricorda il buco della vergogna che segna l’atto dell'abbandono dei nostri territori tribali.

Non siamo mai stati perfetti.

Eppure, il viaggio che facciamo insieme è perfetto su questa terra, che un tempo era una stella e ha fatto gli stessi errori degli umani.

Li potremmo rifare, ha detto lei.

Cruciale per trovare la strada è questo: non c’è inizio né fine.

Devi farti da sola la tua mappa.


(Traduzione di Maria Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore, Jane Wilkinson).


 JOY HARJO

A Map to the Next World
                              for Desiray Kierra Chee

In the last days of the fourth world I wished to make a map for
those who would climb through the hole in the sky.

My only tools were the desires of humans as they emerged
from the killing fields, from the bedrooms and the kitchens.

For the soul is a wanderer with many hands and feet.

The map must be of sand and can’t be read by ordinary light. It
must carry fire to the next tribal town, for renewal of spirit.

In the legend are instructions on the language of the land, how it was we forgot to acknowledge the gift, as if we were not in it or of it.

Take note of the proliferation of supermarkets and malls, the
altars of money. They best describe the detour from grace.

Keep track of the errors of our forgetfulness; the fog steals our
children while we sleep.

Flowers of rage spring up in the depression. Monsters are born
there of nuclear anger.

Trees of ashes wave good-bye to good-bye and the map appears to disappear.

We no longer know the names of the birds here, how to speak to them by their personal names.

Once we knew everything in this lush promise.

What I am telling you is real and is printed in a warning on the
map. Our forgetfulness stalks us, walks the earth behind us,
leaving a trail of paper diapers, needles, and wasted blood.

An imperfect map will have to do, little one.

The place of entry is the sea of your mother’s blood, your father’s small death as he longs to know himself in another.

There is no exit.

The map can be interpreted through the wall of the intestine — a spiral on the road of knowledge.

You will travel through the membrane of death, smell cooking
from the encampment where our relatives make a feast of fresh deer meat and corn soup, in the Milky Way.

They have never left us; we abandoned them for science.

And when you take your next breath as we enter the fifth world
there will be no X, no guidebook with words you can carry.

You will have to navigate by your mother’s voice, renew the song she is singing.

Fresh courage glimmers from planets.

And lights the map printed with the blood of history, a map you
will have to know by your intention, by the language of suns.

When you emerge note the tracks of the monster slayers where they entered the cities of artificial light and killed what was killing us.

You will see red cliffs. They are the heart, contain the ladder.

A white deer will greet you when the last human climbs from the destruction.

Remember the hole of shame marking the act of abandoning our tribal grounds.

We were never perfect.

Yet, the journey we make together is perfect on this earth who was once a star and made the same mistakes as humans.

We might make them again, she said.

Crucial to finding the way is this: there is no beginning or end.

You must make your own map.


(from How We Became Human: New and Selected Poems:1975-2001 by Joy Harjo. Copyright © 2002 by Joy Harjo)

Si ringrazia l’autrice per avere autorizzato la riproduzione del testo originale.

mercoledì 10 ottobre 2018

Dal laboratorio di traduzione: Sinéad Morrissey in programma per il 2018/2019. La prima traduzione di Joy Harjo dall'attività 2017/2018.

Fiorenza Mormile

Il Laboratorio di Traduzione di poesia, al suo settimo anno di attività, riprende martedì 16 ottobre dalle 16:45 alle 19, con cadenza quindicinale. 


L’autrice scelta per cominciare è la nordirlandese Sinéad Morrissey, (si pronuncia Mòrissi), nata nel 1972 e cresciuta a Belfast, dove insegna Scrittura creativa allo Seamus Heaney Centre for Poetry della Queen’s University. L’ultima delle sue sei raccolte di poesia, On Balance, (Carcanet, 2017) è risultata finalista al Costa Prize. La penultima, Parallax (Carcanet, 2013), ha vinto il T.S. Eliot Prize di quell'anno. Con un dettato lineare, ma non privo di complessità, Morrissey oscilla tra una quotidianità molto personale (l’amore, la maternità, il trauma di un aborto) e problematiche sociali contemporanee, dalla censura del regime sovietico alla gestione della crisi greca da parte dell’euroburocrazia. 
Il titolo Parallax rimanda alla deformazione che i fatti subiscono se si cambia la prospettiva, il punto di osservazione del problema, come avviene al teschio nel quadro Gli ambasciatori di Holbein. Lo sguardo e l’inquadratura con il loro portato di soggettività, considerati fondamento di ogni creazione artistica, sono il fulcro anche della raccolta precedente: Through The Square Window (Carcanet, 2009). E forse, venendo dall'Ulster, in Parallax Morrissey allude alla lateralità del proprio sguardo sul mondo britannico.
Una lateralità che rimanda a quella esplorata, nello scorso anno di attività, nella poesia delle due native americane Joy Harjo e Natalie Diaz, di cui iniziamo a darvi documentazione a partire da oggi.


Della prima, Harjo, rimandandovi alla relativa scheda introduttiva  presentata a novembre scorso, postiamo qui Quando il mondo come lo conoscevamo finì / When the World as We Knew It Ended dalla raccolta How We Became Human: New and Selected Poems: 1975-2001.
In questo testo la violenta cesura inflitta alla storia occidentale dall’11 settembre viene filtrata nell’ottica dei nativi americani: separati, marginali, ma forse più attrezzati a cominciare un nuovo corso nel segno della musica e della poesia  perché ammaestrati dalle traversie e fortemente legati alla natura e ai valori fondamentali della vita. 

Joy Harjo

Quando il mondo come lo conoscevamo finì 

Sognavamo su un’isola occupata al limite estremo
di una nazione vacillante quando  venne giù.

Due torri s’innalzavano dall’isola del commercio a est fino a toccare il cielo. Gli uomini camminavano sulla luna.
Il petrolio era stato tutto succhiato da due fratelli. Poi il mondo venne giù. Inghiottito da un drago di fuoco, dal petrolio e  dalla paura.
Tutto intero.

Stava arrivando.

Aspettavamo già da prima dei missionari con le loro
vesti lunghe e solenni di vedere cosa sarebbe successo.

Lo vedemmo
dalla finestra della cucina sul lavello
mentre facevamo il caffè, cucinavamo riso
e patate, da sfamare un esercito.

Vedemmo tutto, mentre cambiavamo pannolini e davamo da mangiare ai bambini. Lo vedemmo,
attraverso i rami
dell’albero della conoscenza
attraverso  gli squarci delle stelle, attraverso
il sole e le tempeste dalle ginocchia
mentre facevamo il bagno e lavavamo
i pavimenti.

L’assemblea degli uccelli ci avvertì, mentre volavano sopra
i caccia torpedinieri nel porto, ancorati là dalla prima presa di potere.
Fu dal loro canto e parlottio che capimmo quando alzarci
quando guardare dalla finestra
al sommovimento in corso - il campo magnetico scaturito dal dolore.

Lo sentimmo.
Il frastuono in ogni angolo del mondo. Mentre
la fame di guerra cresceva in chi avrebbe rubato per diventare presidente re o imperatore, possedere gli alberi, le pietre, e tutto quello che si muoveva sulla terra, dentro la terra
e sopra.

Capimmo che stava arrivando, assaporavamo i venti che raccoglievano conoscenze
da ogni foglia e fiore, da ogni montagna, mare
e deserto, da ogni canto e preghiera da questo minuscolo universo che fluttua nei cieli dell’essere
infinito.

E poi finì, questo mondo che avevamo imparato ad amare
per le sue dolci distese d’erba, per i cavalli e per i pesci
multicolori, per le possibilità scintillanti
dei sogni.

Ma poi c’erano i semi da piantare e i bambini
che avevano bisogno di latte e  di essere consolati, e qualcuno
raccolse una chitarra o un ukulele dalle macerie
e cominciò a cantare del battito leggero
del calcio sotto la pelle della terra
che sentivamo là, sotto di noi

un animale caldo
un canto che nasceva tra le sue gambe
una poesia.

(Traduzione a cura di Maria Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore, Jane Wilkinson)

Joy Harjo

When the World as We Knew It Ended

We were dreaming on an occupied island at the farthest edge
of a trembling nation when it went down.

Two towers rose up from the east island of commerce and touched the sky. Men walked on the moon. Oil was sucked dry
by two brothers. Then it went down. Swallowed
by a fire dragon, by oil and fear.
Eaten whole.

It was coming.

We had been watching since the eve of the missionaries in their
long and solemn clothes, to see what would happen.

We saw it
from the kitchen window over the sink
as we made coffee, cooked rice and
potatoes, enough for an army.

We saw it all, as we changed diapers and fed
the babies. We saw it,
through the branches
of the knowledgeable tree
through the snags of stars, through
the sun and storms from our knees
as we bathed and washed
the floors.

The conference of the birds warned us, as they flew over
destroyers in the harbor, parked there since the first takeover.
It was by their song and talk we knew when to rise
when to look out the window
to the commotion going on—
the magnetic field thrown off by grief.

We heard it.
The racket in every corner of the world. As
the hunger for war rose up in those who would steal to be president to be king or emperor, to own the trees, stones, and everything else that moved about the earth, inside the earth
and above it.

We knew it was coming, tasted the winds who gathered intelligence from each leaf and flower, from every mountain, sea and desert, from every prayer and song all over this tiny universe floating in the skies of infinite being.

And then it was over, this world we had grown to love
for its sweet grasses, for the many-colored horses
and fishes, for the shimmering possibilities
while dreaming.

But then there were the seeds to plant and the babies
who needed milk and comforting, and someone
picked up a guitar or ukulele from the rubble
and began to sing about the light flutter
the kick beneath the skin of the earth
we felt there, beneath us

a warm animal
a song being born between the legs of her;
a poem.

from How We Became Human: New and Selected Poems:1975-2001 by Joy Harjo. Copyright © 2002 by Joy Harjo. Used by permission of W.W. Norton & Company, Inc., www.wwnorton.com.

Si ringrazia l’autrice per l’autorizzazione a riprodurre il testo originale.

venerdì 5 ottobre 2018

Gruppi di lettura da Plautilla

Dal 6 ottobre riprendono le attività di MVL - Plautilla.
Per celebrare il decimo compleanno dell'associazione, nata nell'autunno 2008, la prossima stagione porta una grande novità: il gruppo di lettura raddoppia e propone ai partecipanti due diverse opzioni.

Riprende il 6 ottobre alle ore 11  il classico Gruppo di lettura del sabato mattina, che articola i suoi incontri mensili intorno a un tema-guida. Quest'anno ritorna al filo conduttore del primo ciclo del gruppo, ovvero il tema dell'Altro  ma da una prospettiva differente, alla ricerca di libri che pongono l'accento sull'idea di altro come avversario, sia esso esterno o interiore. Il primo libro scelto è Un pallido orizzonte di colline di Kazuo Ishiguro ed. Einaudi; il libro è fuori commercio ma si trova facilmente nelle librerie on line. Chi lo desidera può inoltre leggere un breve saggio di Jean-Luc Nancy  L'intruso (Cronopio).

Nasce inoltre un secondo gruppo, intitolato Libri nuovi e dedicato alla produzione più recente, che si terrà il giovedì pomeriggio. Questo gruppo di lettura ha scelto Il sale di Jean Bapstiste Del Amo (NEO) e l'incontro si terrà giovedì 18 ottobre alle ore 18,00 sempre da Plautilla.