Ti
racconto un libro
Letizia Paolozzi, Prenditi cura, et
al.
pp. 80, euro 9
Daniela Lasorsa
Il saggio di Letizia Paolozzi parte da un testo, La cura del vivere del Gruppo del mercoledì, pubblicato su “Leggendaria”, n. 89, settembre 2011, che viene riportato alla fine. Il libro fa un resoconto ragionato e selezionato degli incontri, a volte di sole donne, altre volte misti, sul tema della cura. Cura che non è dipendenza, né subordinazione, tutti i rapporti umani sono di interdipendenza. Citando Hannah Arendt: “il senso di libertà non equivale all’indipendenza da tutto e da tutti”. O anche: “La troppa libertà, senza legami, senza relazioni ti consegna alla solitudine”
Il saggio di Letizia Paolozzi parte da un testo, La cura del vivere del Gruppo del mercoledì, pubblicato su “Leggendaria”, n. 89, settembre 2011, che viene riportato alla fine. Il libro fa un resoconto ragionato e selezionato degli incontri, a volte di sole donne, altre volte misti, sul tema della cura. Cura che non è dipendenza, né subordinazione, tutti i rapporti umani sono di interdipendenza. Citando Hannah Arendt: “il senso di libertà non equivale all’indipendenza da tutto e da tutti”. O anche: “La troppa libertà, senza legami, senza relazioni ti consegna alla solitudine”
Gli incontri che
vengono riportati sono diversi, diversi i linguaggi e diverse le
parti d’Italia in cui si svolgono. Il luogo dell’incontro
spesso viene descritto in modo poetico e dà sapore e vivacità al
tema. A Torreglia. si arriva
attraverso una campagna distesa e i colli euganei luminosi alla Casa
delle Suore Salesie, dove l’incontro è organizzato dal gruppo
Identità e Differenza. A Reggio Emilia, è il
gruppo “6donna”a riunire i partecipanti in un ambiente umido e
poco accogliente. A Correggio, la serata
è calda, si vive il senso della comunità dove “non solo è
permesso, ma è addirittura richiesto essere persona”.
A Milano, l’incontro
è voluto da Unione femminile, Libera Università delle Donne,
Libreria delle Donne di Milano, gruppo romano delle Femministe del
mercoledì in vecchio quartiere residenziale Moscova-Garibaldi, e,
dal padiglione al pianterreno, si vede l’acciottolato del cortile e
il verde degli alberi. Vengono citati due film, Quasi amici e A simple life dove la cura viene praticata da uomini. Ci si
chiede “Che significa cura nella vita politica?”. Pare che a
Milano si pratichi un Maternage da parte di varie compagne a
favore di Pisapia! Da parte sua, Roma viene introdotta
con le piazze vicino al Parlamento, animate, incazzate,
rottamazione. Incontro sulla Cura del Vivere alla Casa Internazionale
delle Donne. Cura non a scapito della relazione, “condomini di
solidarietà”, dispositivi di aiuto reciproco. A
Livorno l’incontro è al Centro Donne. Ma anche incontri allegri si
svolgono in spiaggia, picnic… Si pratica la cura dei Beni Comuni. La sede dell’incontro
a Napoli è il Protomonastero delle Clarisse Cappuccine, luogo di
clausura. Interviene la madre superiora dicendo che, pur in
clausura, il fuori è entrato. Cura dell’umanità, cura dei luoghi
e della loro bellezza.
Molte le domande che
si pongono. La cura è solo o
prevalentemente femminile? Debbono le donne
accettare questa delega? La cura dei Beni
Comuni non rischia di ampliare troppo il campo di azione, vanificando
gli interventi e le proposte?
Interessanti e molto
diversi tra loro i linguaggi.
Nella cura c’è un
resto che non è quantificabile o monetizzabile: Liliana
Rampello, a Milano, ammette che in lei, nella cura, “questo resto in
qualche modo è l’amore. Semplice ma ostico nella sua declinazione
politica….Come trovo forza politica perché la pratica quotidiana
del mio amore abbia efficacia? Lo so che cambia la mia vita. E’ un
pezzo della mia buona vita. Non voglio rinunciarci. Quel resto
che non voglio perdere o cedere, che non è quotabile, non lo voglio
cedere perché così la mia quotidianità viene sottratta alla
routine e io non voglio perdere quella dimensione”.
A Torreglia, Anna
Sbrogiò ricorda “A quattro anni sono andata ad abitare con i nonni
materni ………e da loro sono stata allevata. Ho imparato ad amare
la loro fragilità fisica, ma anche i loro sentimenti. Infatti perché
non si sentissero umiliati, dato che avevano bisogno di una ragazzina
di dieci, dodici anni, parlavo con loro, li interrogavo, mi facevo
raccontare scorci della loro vita…”
Dal documento La
cura del vivere: "C’è un resto, a
cui attribuiamo il nome di cura, che né il welfare statale, né il
mercato possono dare”.
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