Difficile
capire perché alcuni di noi continuino a setacciare decine di torrenti, e a
gridare per la minima pagliuzza d'oro, quando possono godere di numerose pepite
a portata di mano.
L'Antologia
Palatina è una scelta di epigrammi poetici. Antologia significa raccolta di fiori,
corona: da cui il nostro termine ‘florilegio’. La Palatina assomma, in quindici
libri, di diversa natura, 3.700 epigrammi di oltre trecento autori (dall'età
classica all'epoca bizantina); l'epigramma è una composizione agile, breve e
molto duttile – tanto duttile da piegarsi con facilità ai temi più svariati.
Il
manoscritto dell'Antologia fu scoperta nel 1606 da Claude de Saumaise presso la
biblioteca dell'elettore palatino di Heidelberg. Essa riproduce, in larga
parte, la raccolta dell'erudito Costantino Cefala (compilata fra l'880 e il
900); quest'ultima, a sua volta, si sostanziava di altre tre antologie: la
Corona di Meleagro di Gadara (I secolo a.C.) detta Stéphanos; la Corona di
Filippo di Tessalonica (I secolo d.C.); il Ciclo di Agazia Scolastico (536 -582
d.C.).
I
motivi dei quindici libri oscillano straordinariamente: si ritrovano epigrammi
burleschi, conviviali, tombali, cristiani, descrittivi, scientifici,
filosofici, enigmistici, votivi. I più celebrati sono, però, quelli amorosi,
molto vari per l'intensità del sentimento (dolente, ribaldo, elegiaco o
platealmente erotico) e della sua declinazione (eterosessuale, omofila o
pederotica).
Uno
dei maggiori poeti della raccolta è Paolo Silenziario (Παῦλος Σιλεντιάριος , 520? - 580?),
alto dignitario della corte bizantina (il silenziario era responsabile
dell'ordine nella corte) e amico del già citato compilatore Agazia.
Gli
epigrammi scelti derivano tutti dal V libro.
La
traduzione è di Guido Paduano
V, 241
Una delle più belle poesie di sempre sull’angoscia della separazione.
'Addio', stavo per dirti, ma poi torno indietro
E ritiro la mia parola e ti resto accanto.
Temo non meno la lontananza angosciosa
Da te che la notte amara dell'Acheronte.
La tua luce è come quella del giorno, ma il giorno è muto
E tu invece mi rechi una parola più dolce
Del canto delle Sirene; ad essa sono sospese
Tutte quante le speranze della mia anima.
V, 250
Composizione eccezionale in cui, con tocchi delicati, si delineano plasticamente le psicologie e gli atteggiamenti degli amanti.
Quant'è soave, amici miei, il sorriso di Laide, quanto sono soavi
Le lacrime che versa nel dolce moto degli occhi.
Ieri piangeva senza motivo, appoggiando
Sulla mia spalla a lungo la testa china.
Piangeva, ed io la baciai, e come da una sorgente
Fresca le lacrime si riversavano sulle bocche accostate.
Perché piangi le chiesi, e lei così mi rispose:
'Temo che tu mi abbandoni. Siete tutti spergiuri'
V,
259
Lo
struggimento dell'innamorato, sospeso fra gelosia e desiderio. Ti doni ad altri
(che, fra le tue braccia, sono simili a dei), dice il poeta, ma se un amore
ardente ti brucia voglio che sia per me. Tra Saffo e Paolo Silenziario corre
più di un millennio, ma non sembra. L'incedere è schietto, luminoso, definito,
profondo e umano: quando si dice il genio d'un popolo.
I
tuoi occhi sono pesanti, Cariclo, esalano amore,
Come
se fossi appena alzata dal letto.
I
capelli sono scomposti, il raggio delle guance rosate
E
adesso pallore livido, il corpo e afflosciato.
Sono
questi i segni della battaglia notturna?
Vola
al di sopra di ogni gioia umana quell'uomo
Che
ti tiene tra le sue braccia; ma se ti strugge
Un
amore ardente, vorrei che per me ti struggesse.
V,
301
Meroe fu
città dell'Etiopia, allora ritenuta uno dei confini del mondo.
Se anche
fuggissi agli estremi della terra occidentale, o verso l'oriente lontano, io ti
seguirò; e se un dono da Venere Marina ti arriverà, accettalo: è segno del mio
amore e della sconfitta della dea, che cede alla tua bellezza.
Se
anche porti il tuo passo più lontano di Meroe, amore alato
Mi
porterà da te con l'alato pensiero
Se
anche arrivi all'oriente, all'Aurora che ha il tuo stesso colore,
Ti
seguirò a piedi per innumerevoli miglia.
Se
ti mando un dono dal fondo del mare, gradiscilo, cara:
È
Afrodite Marina che te lo manda; sconfitta
Dalla
bellezza del tuo corpo desiderabile, ha perso
L'antica
fiducia che riponeva nel suo splendore.
V,
255
L’amante
femminile è paragonata a Febe la splendente, figlia di Urano e Gaia, la Terra.
Il maschile ad Achille quando, bambino, la madre Teti lo fece riparare, in
abiti femminili, per sfuggire alla guerra di Troia, presso la reggia di
Licomede re di Sciro; lì visse assieme alla figlia del re, Deidamia, di cui s’innamorò
e da cui ebbe un figlio, Neottolemo. L'epigramma, insolitamente esteso,
richiama, inoltre, un celeberrimo passo del quinto libro di Lucrezio, dedicato
alla passione amorosa.
Ho
visto gli amanti: le labbra confitte nelle labbra dell'altro
Con
frenesia smisurata, non erano sazi
Del
generoso amore, ma desiderando, fin che è possibile,
Penetrare
nel cuore l'uno dell'altro,
Placavano
appena la stretta del loro bisogno
Vestendo
le morbide vesti l'uno dell'altro.
Lui
era simile in tutto ad Achille, com'era l'eroe,
Nel
palazzo di Licomede, ma la ragazza,
Con
il chitone che le arrivava fino al bianco ginocchio,
Sembrava
Febe. E ancora di nuovo le labbra
Si
univano, perché era in loro la fame della passione
Che
non dà tregua, che distrugge le membra.
È
più facile sciogliere l'intreccio dei rami di vite,
Cresciuti
insieme nel lungo corso del tempo,
Che
per gli amanti sciogliere i loro corpi intrecciati
Nel
reciproco abbraccio, stretto e morbido insieme.
Tre
volte felice, mia cara, chi è avvolto da queste catene,
Tre
volte felice, mentre noi bruciamo lontani.
V,
252
Persino una
veste leggera che si frappone tra i due amanti è sentita come un inciampo molesto
alla foga: addirittura come le mura di Babilonia fatte erigere dalla grande
regina Semiramide. Oltre non vi sia che il silenzio.
Gettiamo
amore mio, le vesti ed accostiamoci,
Il
mio corpo nudo e il tuo corpo nudo intrecciati,
E
niente sia in mezzo; la tua veste leggera
Mi
sembra come le mura di Semiramide.
Avviciniamo
l'uno all'altro il petto e le labbra;
Sul
resto silenzio: non mi piace il parlare indecente
V,
272
Le due
opposte pulsioni, la ragione, Atena, e l’amore, Afrodite, controllano gli estri
della bella amante: e il poeta rischia la consunzione.
Si
fa baciare in bocca, offre il seno alle mani
che
vogliose lo prendono e fra carezze e baci
io
con furia le mordo quel suo collo bianchissimo,
ma
ancora non l'ho avuta: perché lei si è donata
per
metà ad Afrodite e per metà ad Atena.
E
intanto io fra quelle due metà mi consumo
V,
219
Inclinazione
catulliana. Il mondo esclusivo della coppia amorosa ridefinisce gli altri quale
folla importuna e pettegola.
Rubiamoli
i baci, Rodope, e l'opera amabile
E
rischiosa insieme della dea dell'amore.
È
dolce nascondersi, sfuggire all'occhio vigile dei sorveglianti:
Più
di quelli esposti sono piacevoli i letti segreti.
V,
266
L'amore come malattia e
ossessione
Si
dice che chi viene morso da un cane rabbioso
Vede
nell'acqua l'immagine della belva feroce.
Amore
ha piantato rabbiosamente in me i suoi denti terribili,
E
ha fatto preda delle sue smanie il mio cuore.
La
tua adorabile immagine io la vedo nel mare,
Nell'acqua
dei fiumi, nella coppa in cui si versa il vino.
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