sabato 20 febbraio 2010

Madri e figlie / 1 - L'eccedenza

Il pensiero bianco
Sarò felice di star zitta, mamma, e di ascoltarti,
m'hai fatto parlar troppo e i miei pensieri non son forti.
Me li terrò per me, e quando sarò grande
splenderanno come splende
un verme bianco sotto un macigno verde.

Stevie Smith (traduzione di Gilberto Sacerdoti)

Medusa
Là da quel promontorio di sassi tappabocca,
occhi-palla da bianche mazze giocati,
orecchi tesi alle incoerenze del mare,
tu alberghi la tua snervante attesa - globo oculare
di Dio, lente di compassioni,

e i tuoi accoliti fanno
lavorare le loro pazze cellule all'ombra
della mia chiglia, pulsanti come cuori,
rosse stigmate proprio al centro,
correndo il risucchio al più vicino punto di partenza,

tirando i loro capelli alla Gesù.
L'ho scampata? mi domando.
La mia mente volge a te
vecchio ombelico incrostato, cavo atlantico,
che si conserva, sembra, in un miracoloso buonostato.

Sei sempre là, in ogni caso,
tremulo fiato al limite della mia linea,
curva d'acqua sprizzante
alla mia verga di rabdomante, radiosa e grata,
che tocca e succhia.

Non t'ho chiamata.
Non ti ho chiamata proprio.
Eppure, eppure
via mare a me sei arrivata,
grassa e rossa, placenta

che paralizza i riottosi amanti.
Luce di cobra
che alle sanguigne campane della fucsia
spreme il fiato. Non potevo prender fiato,
morta e senza un quattrino,

sovraesposta, come un raggio X.
Chi credi mai di essere?
Ostia da comunione? Madonna addolorata?
Non prenderò un boccone del tuo corpo,
bottiglia nella quale

io vivo, Vaticano spettrale.
Questo sale bollente mi nausea da morire.
Verdi eunuchi, le tue brame
fischiano ai miei peccati.
Vade retro, anguilloso tentacolo!

Non c'è niente fra di noi.

Sylvia Plath (traduzione di Giovanni Giudici)

Donna imponente
Donna imponente, non grassa
veramente, non alta, ma imponente.
S'impone a me con l'aria del mattino,
chiamata dalle ombre quando la luce
è forte, risiede sempre fresca di pensiero,
a lei do il mio pensiero per nutrirla
così pesante sovranità che a me
toglie le forze, non so che cosa sia
potrei chiamarla forse mammità.

Patrizia Cavalli

Di te non scriverò (a mia madre)
Di te non scriverò,
io sono tutta scritta di te.
Non c'è al di là del mio margine ombroso
pagina chiara che ti possa accogliere.

Elena Clementelli

mercoledì 10 febbraio 2010

Targhe "poetiche"

perch'io, che nella notte abito solo,
anch'io, di notte, strusciando un cerino
sul muro, accendo una candela
bianca nella mia mente - apro una vela
timida nella tenebra, e il pennino
strusciando che mi scricchiola, anch'io scrivo
e riscrivo in silenzio e a lungo il pianto
che mi bagna la mente....

I primi quattro versi di questa poesia di Giorgio Caproni, che introduce Il seme del piangere, da venerdì 5 febbraio appaiono in una targa sul muro di una casa popolare nel cuore di Monteverde, al numero 17 di via Oreste Regnoli dove il poeta ha vissuto per circa vent'anni.
Una breve cerimonia, simpatica e informale, per una piccola folla che ha voluto così salutare il poeta e il Maestro. C'erano Silvana e Mauro Attilio Caproni, il critico Paolo Mauri, il poeta Luciano Luisi, il presidente del Municipio Fabio Bellini, insegnanti, studenti, passanti e negozianti stupiti.
Poche parole per ricordare il poeta e poi la lettura di poesie.
Agli alunni della scuola elementare F. Crispi il difficile compito di leggere i versi del Congedo del viaggiatore cerimonioso da cima a fondo.
Per favore, da oggi, se passate da via Regnoli, al numero 17, alzate lo sguardo e toglietevi il cappello

(di concerto con Stella Sofri)

lunedì 1 febbraio 2010

a proposito di corpi, e di Corporea

volevo regalare una sorta di haiku (un haiku scorretto) sul tema

La pietra (osteoporosi)

Se torno terra
per esser pronta
mi polverizzo piano