mercoledì 22 gennaio 2014

Anticipazione del nuovo Montalbano: La tana del coniglio

Anticipiamo brevi parti dell'incipit del nuovo romanzo che vede per protagonista il popolare Salvo Montalbano, La tana del coniglio.

Di una sola cosa aviva cirtizza, lo scanto infinito e terribili.
Correva e correva a perdifiato, non sapeva manco lui da quanto.
Aviva passato sterrati, sentieri, pascoli, orti, senza un'ummira d'omo, e campi deserti e sicchi che non ci crisciva manco un arbolo.
Doveva assolutaminti arrivari. Dovi, non lo sapiva.
Abbisognava curriri, e sempre cchiù forte.
Ma pirchì?
D'un tratto s'accorse d'una rumorata alle so’ spalli. Era quello che lo scantava? E cos'era, ‘na truniata luntana, ‘na mareggiata, la voce di dio che annonciava l’apocalissi?
E pirchì curriva accussì malo? A zampettoni, sartannu di continuo?
“E come perché, Montalbano”, gli fici una voci precisa 'ntifica a quella del quistori. “Perchè un coniglio sei. Sei sempre scappato. Scappa anche ora! Salvati!”
Ed era vero! Un cunigghio era, bianco e nero, che curriva verso la so' tana.

….

“Sbrigati Montalbano, sbrigati che i cani non aspettano!” fici ancora la voci mallitta.
I cani! Altro che l’apocalissi! Cani da caccia erano, e sulle sue tracce.
“Forza Montalbano, forza” riprendeva il quistori trattenendo a stento na risateddra sinistra. E Montalbano zampettava, zampettava ma si vidiva subbito che non era cosa.
Quanto avrebbe potuto resistere accussì?
Il primo cani, granne come ‘na montagna, gli si era ormai addosso.
“Aiuto” gridò Montalbano, ma potiva gridare un cuniglieddro? Al massimo movere il naso e le orecchie.
“Aiutò” gridò di nuovo. Madunnuzza, com’era patetico!
“Forza, Montalbano, forza!” e stavolta alla risateddra se ne aggiunsero altre vasce e ghignanti.
Infine vidì la tana. Un buco stretto aperto nella crita del campo. Vicina! Era vicina!
“Forza Montalbano. Ancora un poco, un poco!”
La sarvizza, a portata di zampa, un buco dove arripararsi. Ma quanno si stava priparando all'ultimo balzo sentì, pesante come chiummo, l’ugna del segugio. “Aiuto!” cercò di squittire ancora il commissario.
“Ah ah ah” ridiva il quistore, alto come un angilu dell’inferno. "Salvati, Salvo ..."

……

Ed ecco che la scena cangiava: lui che bubboliava tutto, come il cunigghio pupo del sugno, al centro della piazza di Vigata, accucciato su du’ pedi darré, co le mani davanti alla vucca, che piagnucolava: intorno … tutto il paisi: e Fazio, Pasquano, Lattes, quel fitenti di Arquà, il quistori (granne e vistuto di rosso come un parrino del diavolo), Augello, Ingrid (la traditrice!) e Livia (putiva mancare lei?) se la ridivano bella di lui. Pirsino Catarella, Catarella!, allongava i vrazzi babbiandolo per joco  … e lui, il Montalbano-cunigghio, che faciva? Si giustificava trimante, "Non è vero, non è vero”, frignava.

……

Si arrisbigliò di colpo, sudatizzo, malgrado la corrente fridda che arrivava dalla finestra, aperta di colpo da una ventata umida che trasiva direttamente dal mare scuro e furibondo.
"Giornata tinta è" disse, ma lo disse ancora spaisato, prioccupato, quasi che il sugno malanimo ancora lo tenesse stretto.
Il vento fini di spalancare i vetri e uno spruzzo gilatizzo finì di arrisbigliarlo del tutto. Si susì di scatto e chiuse con fracasso le imposte vincenno la forza del vento. Addrumò tutte le luci della casa come a scacciare lo spirito malo della notte.
Annò in cucina, accese il foco sotto la caffettiera, poi si fici una doccia gilata. S'asciugò e indossò ancora il linzolo bianco che s'era portato appresso. Come un sinatore dell’antica Roma passò sullunne dal bagno alla cucina. Prese la caffittiera e si inchì un cicarone intero di caffè e se lo vippì tutto. Poi fece il bis.
Si rilassò un poco. Il vento fora s'era squetato. S'addrumò con calma ‘na sicaretta e cominciò a pinsari.
Ma quel sugno, alla fine, che viniva a significare? Un cuniglieddro, lui!
Un eroe non ci teneva a esserlo e non lo era mai stato, ma del piricolo mai aveva avuto davvero paura, anche quando era stato firito e aviva viduto la morti in faccia.
"Di che ti maravigli, Montalbà? Invecchi, chistu è sicuro. E come tutti i vecchi temi il futuro, le sorprese. E la vicchiaglia, poi! Le malattie, la memoria vacante, la vista che se ne va. Il pannolone.  Non te lo dice sempre anche Livia, in quel suo interminabile priari da parrino nordista?”
“O macari è colpa del quintalazzo di sarde a beccafico che m’ha lasciato Adelina in frigo” tintò di ridersela subito dopo. “Pannolone un corno!”. Ma nun era cosa. Quarchi cosa lo tormentava nel profunno del cori. Un tarlo che lo rodiva di dentro.
Il ciriveddro mallitto lo rimandò alla scena della piazza in cui tutti lo babbiavano come un pupo e ricominciò a strinciri i denti per l’amarezza e l’ingiustizia della situazione.
“Ma che minchia mi sta succedendo stamattina?”

…….

“Nun e cchiù cosa pi mia, 'sta vita” pensò amaro. Vuliva spegnere la sicaretta, ma il tilifono squillò improvviso come ‘na tromma del giudizio e gli fici mancare il bersaglio e centrare il tavulino con la brace cavuda. Montalbano fu preso da una raggia violenta, improvvisa. S'arzò dalla sedia, ancora col linzolo addosso, cogli occhi sbarracati come un congiurato fanatico pronto a liberari la ripubblica di Roma dal tiranno. Prisi la cornetta come un pugnale e, invece d'affondarlo nel corpo di Cesare, ci urlò dintra. Gli venne una specie di latrato da lupo mannaro, orribili, come se il gargarozzo non fusse più adatto per fari voci d’omo, ma solo versi d'armalo furioso.
"Madunnuzza bedda, che fu" spiò scantata la voce dall'altra parte del filo che nun era altri che il poviro Catarella.
“Cassaahrrr” ruggì Montalbano, che vuliva forse significare: “Cosa c'è, con chi ho l’onore di parlare, di grazia, caro interlocutore”, ma gli venne ancora quel gridari di gola.
“Dottori, ah, dottori Augello ... Ah Madonnuzza biniditta ... ah Signuri mio … ‘na vestia … ‘na tigri firoce ... l'ammaza … ah dottori … accorresse …”.
"Iiiioooooo …" aggravò la convirsazione Montalbano che, stavolta, voleva forse dire "Son io, benedett'uomo, null'altri”, ma ormai, per ristare in tema, il dado era tratto. Dall'altra parte della linea vinivano ora rumorate tirribbili, e voci, ammuttuni, allarmi, strepiti, richiami, ordini alla sanfasò. Un mutuperio da fine de’ tempi.

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