martedì 30 aprile 2019

Gruppo di lettura "Libri nuovi". "L'estate che sciolse ogni cosa"

Maria Vayola

L'estate che sciolse ogni cosa è il primo libro pubblicato da Tiffany McDaniel, ma non il primo da lei scritto, per molti anni (ha iniziato a scrivere a 18 anni) le casi editrici ne hanno rifiutato la pubblicazione come lei stessa dice in una intervista : "Per undici anni i miei scritti sono stati rifiutati dagli editori con la motivazione che li consideravano troppo cupi e comunque troppo rischiosi da pubblicare. L’industria editoriale americana, specialmente nel clima attuale, è molto cambiata focalizzandosi sul commerciale e sul non-fiction. La fiction letteraria, che è ciò che scrivo, è un genere considerato difficile per una carriera da “lanciare, dal momento che il pubblico che segue questo genere letterario è sempre più di nicchia, almeno negli Stati Uniti."
Spendo due parole a favore della finzione come caratteristica di quell'opera letteraria che per convenzione chiamiamo romanzo e che ultimamente è più espressione di esperienze personali che di costruzioni narrative. Con l'auto fiction o no fiction novel, senza volerne disconoscerne il valore, si viene a perdere tutto un mondo che l'autore costruisce per comunicare la sua opera a noi lettori, la trama, l'intreccio, i personaggi, le mille possibilità che ha di inserirci situazioni, emozioni, eccezioni, stramberie, magia, etc etc, la capacità di strutturarle per dare loro un senso compiuto o  per non dar loro alcun senso....per spaziare nelle possibilità umane dell'esistenza....spesso si dice "leggo per vivere vite che non potranno mai essere le mie" ma non per vivere la vita dell'autore che diventa personaggio, anzi, "il personaggio"....Sicuramente ci sono fenomeni sociologici che mi sfuggono, ma credo che la nuova comunicazione, tra cui quella dei social, abbia troppo incentivato l'esposizione di se stessi, il racconto di se' impoverendo la narrativa di elementi tipici della sua forma artistica.
Il libro della Mc Daniel, comprende tutte queste caratteristiche della narrazione di finzione che accomunate a uno stile a dir poco di notevole valenza estetica, si propone come un libro di rara bellezza.
All'interno del gruppo di lettura, non tutti concordano con questo mio giudizio, ad alcuni è sembrato un libro commerciale, banale e di poca consistenza contenutistica, macchiato di quella malizia autoriale atta ad abbindolare il lettore con costruzioni stilistiche e tematiche furbe, costruite ad arte per "acchiappare" attenzione e favori, altri, pur apprezzando il romanzo, lo hanno ritenuto troppo carico di metafore e simbolismi.
Quello che segue è naturalmente la mia opinione.

1984, in un paesino dell'Ohio, Breathed,  Autopsy Bliss, pubblico ministero convinto di poter essere "il setaccio di Dio" per operare la distinzione tra bene e male, invita, in un bizzarro articolo sul giornale locale,  il Diavolo a presentarsi per avere un dialogo con lui e verificare il proprio operato. Colui che arriva, dicendo di essere Lucifero, è Sal, (le prime due lettere Sa stanno per Satana, L per Lucifero) un ragazzino di pelle nera, mal vestito, magrissimo, che incontra Fielding il figlio di Autopsy e da lui viene portato a casa. Insieme a Sal arriva un caldo insolito, un "caldo che non scioglieva solo le cose tangibili, come i cubetti di ghiaccio, il cioccolato, i gelati. Ma anche l'intangibile. La paura, la fede, l'ira, e ogni collaudato modello di buon senso. Scioglieva l'esistenza della gente, gettandone il futuro in cima al mucchio di terra sulla spalla del becchino".

Da questo momento molte sono le cose che avvengono, con la inusuale feroce calura di inizio estate si disgrega il super io comunitario: del caldo e di tutti gli eventi negativi che accadono si cerca il capro espiatorio, la fonte delle disgrazie, e non può che essere il "negro" venuto da fuori e che dichiara di essere il Diavolo. Per lui “Diavolo” non è che uno dei tanti nomi dispregiativi con cui lo hanno sempre chiamato e si dichiara tale perché è disposto a tutto pur di essere accettato e ospitato. Sal ha però la grazia di chi è accogliente verso gli altri, di chi, rispetto alle diversità e alle difficoltà altrui, prova empatia e riesce a sciogliere i nodi mentali di alcune delle persone che incontra, persone incastrate nelle loro paure e nelle loro difficoltà di vivere. Elohim, altro personaggio importante (il significato base del suo nome è "dio", "divinità"), fa leva sulle fobie, la viltà e le debolezze delle singole persone del paese in modo tale che diventino una massa indistinta, portatrice di odio che cerca la vittima sacrificale ( tutto ciò rimanda all'attualità e non credo che sia un caso). Le parti si invertono, Sal, colui che porta il nome del Diavolo è colui che salva, è l'angelo perduto che con la sua caduta ha permesso a Dio di esistere essendo il suo opposto, conosce il dolore e lo capisce mentre Dio guarda come spettatore le debolezze e il dramma degli uomini dall'alto della sua potenza; Elohim, che porta il nome della divinità, è colui che fomenta il risentimento degli uomini guidandoli verso l'orrore umano.

martedì 23 aprile 2019

Gruppo "Al cinema con MVL": Green Book

Maria Vayola
La neve cade copiosa e pesante, invade le strade, il Natale è dentro le case, le famiglie sono riunite intorno all'Albero decorato, un angelo bianco mette le ali in paradiso, un angelo nero sfida se stesso e gli altri, le sue ali non lo faranno volare nel cielo ma camminare a testa alta su questa terra.
La vita è meravigliosa, ma è anche il luogo umano dove viene concepito il Green Book una guida di viaggio specifica per afroamericani nel sud degli USA, dove negli anni sessanta ancora erano in vigore, dopo cento anni dalla guerra civile americana, le leggi segregazioniste.

Come spero si intuisca, "La vita è meravigliosa" è il film di Frank Capra del 1946, "Green Book" di  Peter Farrelly, è il film di cui ha discusso il Gruppo "Al cinema con MVL". Ho fatto questo parallelo perché, secondo me, i due film, entrambi commedie, hanno in comune, oltre al genere, anche l'happy end, che nel primo caso è risolutivo, mentre nel secondo lascia comunque aperte tutte le problematiche toccate nella narrazione.

Peter Farrelly, autore insieme al fratello di molte commedie quali "Tutti pazzi per Mary" e "Scemo più scemo", non ha cambiato registro per questo suo film ma lo ha arricchito di una delle tematiche sociali più scottanti e contraddittorie della società americana: il razzismo, che sicuramente Capra era lontano dal porre nelle sue opere, anzi della donna nera che si vede nell'ultima scena del film si dice "anche la negra è venuta".

La storia del film - si svolge durante gli anni '6o - attinge a fatti e personaggi realmente esistiti: Don Shirley, pianista afro americano di musica classica di indiscusso talento, assume Frank Anthony Vallelonga (dettoTony Lip), buttafuori del locale Copacabana temporaneamente chiuso, come autista e guardia del corpo, per essere accompagnato in una tournèe nel sud segregazionista.

lunedì 1 aprile 2019

Dal laboratorio di traduzione: Joy Harjo, Come scrivere una poesia in tempo di guerra



Fiorenza Mormile

Dopo Questo è il mio cuoreQuando il mondo come lo conoscevamo finì e in particolare dopo Una mappa per il prossimo mondo questo ulteriore testo della poetessa nativa americana ben esemplifica il tratto dominante della sua scrittura: nella memoria i soprusi subiti dalla sua gente sono ferite ancora aperte e sanguinanti ma la disposizione verso il futuro è aperta e positiva. Il nonno che instilla nel cuore dei nipoti un canto salvifico sa credere in un lontano riscatto a venire e con la sua fede lo rende possibile, salvaguardando il valore e l’orgoglio delle proprie tradizioni. Purtroppo la guerra, sembra suggerire il titolo, non finisce mai veramente.


Joy Harjo 

Come scrivere una poesia in tempo di guerra


Non puoi cominciare da un punto qualunque. È un disastro.

                                                                          Schegge e l’occhio

di una casa, una fila di case. C’è un ratto che scappa

dalla luce con un brandello  di carne in bocca.  Un bimbo legato alla schiena della madre

tagliato via.                                          Soldati infestano le strade, 

il fiume, la città, il villaggio,

               la camera da letto, la nostra cucina.  Mangiano tutto.

O lo bruciano.

Uccidono quello che non possono prendere.  Stuprano.  Quello che non possono uccidere, prendono.

False voci cadono come pioggia.

                                       Come bombe.

Come lacrime di madri e padri ingoiate per una pace senza quiete.                                     

                 Come un tramonto che si inclina verso una mezzanotte senza luna.

Come un treno senza più destinazione.            Come un seme caduto dove

non c’è speranza di alberi          o di un luogo        dove possano vivere gli uccelli.


 No, comincia da qui.                   Cervi sbirciano dal limitare dei boschi.       

                                                                      Vedevamo picchi 

 grandi come il sole, cardinali rossi, e le cince ci accoglievano

                                                             con i canti del buongiorno.

Avevamo cominciato a cucinare all’aperto scivolando tra rugiada e risate, ah quelle dolci albe

piene di fumo. 

Provavamo a fingere che la guerra non ci sarebbe stata.

Anche se cominciavano a costruire le loro case intorno a noi e a pretendere di più. 

Cominciavano a insegnare ai nostri figli la storia del loro dio,                                     

                          una storia in cui saremmo sempre stati  schiavi.

No. Non qui.  

Non puoi cominciare da qui. 

È una memoria a brandelli perché è impossibile trattenerla con le parole, persino in poesia.   


Questi i ricordi lasciati qui con gli alberi:

la tasca strappata del vestito cucito a mano di tua figlia,

la fascia, il merletto.

Il mocassino ornato delicatamente di perline ancora infilato al piede del bambino,

il biglietto con la promessa di  un giovane alla sua amata —

                             No! Non è questo il punto migliore da cui cominciare.

Tutti dormivano, nonostante le bombe lontane.  Il terrore era diventato l’estraneo familiare.

Le nostre amate gemelle raggomitolate nelle loro camicie da notte, accanto al padre e a me.


Se cominciamo da qui, nessuno di noi arriverà alla fine 
                                                                                            della poesia.

Qualcuno deve uscirne vivo, cantava un nonno al nipote,

alla nipote, mentre soffiava nel cuore dei bambini il suo canto  più potente.

Lì sarebbe stato al riparo dai soldati,

che li avrebbero condotti  per miglia, fiumi, montagne lontano dal  cordone ombelicale

della storia delle origini.

Sapeva che un giorno, un giorno lontano, i nipoti sarebbero tornati, generazioni più tardi

su lucide  autostrade                       costruite sopra vecchi sentieri

attraverso muri di leggi fatte per ostacolare o distruggere,  sulle biblioteche

degli antenati nel vento, nate sulle pietre. 

Il suo canto ci porta alla sua casa natia tra queste colline fumose.

Comincia da qui.