mercoledì 16 ottobre 2013

16 ottobre 2013, la piaga aperta del razzismo


Questo pomeriggio davanti al portone di piazza Rosolino Pilo 17, presso le "Pietre d'Inciampo"Ettore Terracina leggerà l'intervento che trovate qui sotto: lo ha scritto suo nonno Piero, uno dei tanti ragazzi ebrei che durante la guerra furono prelevati da casa con i loro cari e deportati a Auschwitz. All'incontro di oggi, che ricorda i settant'anni dal rastrellamento degli ebrei romani, partecipano Cristina Maltese (presidente del Municipio XII), Alessia Salmoni (presidente del Consiglio del Municipio XII),   Giacomo Moscati (vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma), Ada Chiara Zevi (responsabile del progetto "Pietre d'Inciampo"). Letture di Roberto Attias.


Piero Terracina
Mi spiace di non poter essere presente alla celebrazione che avete organizzato per la ricorrenza della deportazione degli ebrei di Roma e vi ringrazio davvero molto per la vostra iniziativa. Sono partito stamane per la Germania dove sono stato invitato per presenziare all’apertura di una mostra che ha per tema i lager nazisti e per partecipare al relativo convegno. Mio nipote Ettore mi rappresenta e vi legge queste poche parole che riassumono la mia triste vicenda, con la speranza che ne facciate memoria. E’ importante la memoria di questi fatti terribili che hanno segnato indelebilmente il secolo scorso affinché non debbano e non possano mai più ripetersi.
Il 16 ottobre di settant’anni fa, all’alba, le SS tedesche coadiuvate da fascisti italiani, italiani come noi, che parlavano la nostra stessa lingua, circondarono quello che era stato il Ghetto di Roma e portarono via tutti. Poi i veicoli della razzia andarono in altri quartieri della città e arrestarono 1022 cittadini romani, romani da sempre, colpevoli solo di professare la religione ebraica.
Alla sera divennero 1023 perché una giovane donna dette alla luce un bambino. Il 18 ottobre furono portati alla stazione Tiburtina, stipati su 18 carri bestiame ed arrivarono nel Lager di Auschwitz il 23 ottobre. La gran parte di essi, compreso quel bambino ancora senza nome, la sera stessa erano stati assassinati per gas e ridotti in fumo e cenere nei forni crematori. Alla fine della guerra di questo gruppo fecero ritorno alle loro case 15 uomini, una sola donna, nessun bambino.
Per me e per la mia famiglia l’ora della tragedia arrivò più tardi: il 7 aprile 1944. Vedete qui in terra sette sampietrini ricoperti di metallo con i nomi di tutti i miei famigliari che furono deportati insieme a me e che furono barbaramente assassinati dalle SS nei lager nazisti. Di tutta la mia famiglia soltanto io tornai da quell’inferno e all’età di 17 anni mi ritrovai solo e disperato. Queste “Pietre d’inciampo” così le chiamò l’artista tedesco che le ideò per tramandare la Memoria di coloro che non sono tornati, per me hanno una importanza particolare: non ho tombe e lapidi dei miei cari, non ho un luogo dove possa portare un fiore o recitare una preghiera, ho solo queste pietre. Dei miei cari non è rimasto niente.
Vedete questo portone. Da li uscimmo in otto quella sera quando sei uomini, quattro SS e due fascisti italiani che li avevano accompagnati fin sulla porta della casa dove eravamo rifugiati, tutti armati come se andassero a una azione di guerra che venivano ad arrestare la più pacifica delle famiglie la cui unica arma che potevamo avere poteva essere un coltello in cucina che non saremmo stati neppure capaci di adoperare. Fummo caricati su una autoambulanza e portati nel carcere di Regina Coeli e, insieme a me – il più piccolo della famiglia che avevo da poco compiuto 15 anni – e agli altri famigliari c’era anche mio nonno che aveva 84 anni. Poi dal carcere fummo trasferiti nel campo di transito italiano di Fossoli e da li con un viaggio allucinante di sette giorni e sette notti, compressi in carri bestiame, in 64 persone in un carro, con la fame, la sete che faceva perdere la ragione, in mezzo alle nostre lordure, un viaggio all’ingiù, verso il fondo, verso l’abisso, arrivammo all’inferno. Si, perché Auschwitz Birkenau dove eravamo arrivati era l’inferno. Una fila interminabile di uomini, donne, bambini veniva avviata verso quegli orrendi stabilimenti costruiti con perfezione scientifica da uomini colti, intelligenti, preparati, persone apparentemente normali come siamo tutti noi, soltanto per dare la morte e ridurre in fumo e cenere migliaia di esseri umani ogni giorno.
Tutto questo che mio nipote vi sta leggendo richiederebbe molto tempo per essere raccontato e spero che possa esserci un’altra occasione d’incontro e più tempo a disposizione.
Concludo rivolgendomi in particolare ai giovani. Se oggi possiamo parlare da uomini liberi, se nel nostro Paese la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza garantisce la libertà e i diritti dei cittadini, è perché nel 1945 con la vittoria degli alleati, delle truppe sovietiche che furono i primi a liberare i lager compreso Auschwitz e il contributo determinante delle forze partigiane, è nata una nuova Italia libera e democratica. Ma fate sempre attenzione perché la libertà non è per sempre. Deve essere sempre difesa e sorvegliata in ogni momento della nostra vita perché i nemici della Libertà sono tanti e sempre in agguato. Basta guardare i muri delle nostre case imbrattati da scritte inneggianti al nazismo e al fascismo e ai loro simboli di morte.
Dobbiamo combattere il razzismo che è una piaga ancora aperta. Auschwitz è stata la più aberrante manifestazione di razzismo. Dobbiamo anche ricordare sempre , dobbiamo capire a far capire che ogni essere umano, qualsiasi sia l’etnia, la religione, la cultura, il colore della pelle, tutti abbiamo diritto al rispetto, alla dignità alla solidarietà e alla libertà. Soltanto con l’impegno di tutti sarà possibile preservare questi valori.
Ragazzi, impegnatevi. Fatelo per voi e per gli altri, fatelo per i vostri figli che verranno.

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