giovedì 31 ottobre 2013

Ricordando Sylvia Plath. Una poesia

G. Luca Chiovelli


Sylvia Plath (27 ottobre 1932 - 11 febbraio 1963)

Il significato dell'opera di Sylvia Plath è tradizionalmente soffocato dall'ingombrante biografia; eppure, proprio le vicende della vita svolgono al meglio la funzione di commento alle sue creazioni poetiche.
Sylvia nacque a Boston, in un ambiente culturale d’ascendenza europea: il padre, Otto Plath, tedesco, divenne uno stimato entomologo; la madre, Aurelia Schober, figlia di immigrati austriaci, insegnò letteratura; poetessa precoce e studentessa modello, la vita della Plath fu segnata, all'età di otto anni, dalla morte del padre, la figura genitoriale con cui intratterrà un ambiguo rapporto postumo e che tornerà ossessivo in tutta la sua produzione in versi.
La depressione, le cure con l'elettroshock, il difficile rapporto col marito fedifrago, Ted Hughes, curatore sleale delle memorie della moglie (arrivò a distruggere i suoi ultimi diari che, forse, lo mettevano in cattiva luce), e il suicidio, a poco più di trent'anni, contribuirono alla nascita della leggenda Plath che, nell'immaginario pubblicitario, sostituisce con successo la poetessa Sylvia Plath.


Di un'artista così controversa e fraintesa riesce arduo riassumere l'universo di simboli e visioni. Per nostra fortuna la bostoniana era una donna molto intelligente. Attraverso ogni poesia, pertanto, si entra in una camera piena di echi e di specchi che rimandano i simboli portanti della sua arte.
Ho scelto una composizione minore, del 1957, Sul declino degli oracoli, (On the decline of the oracles) ispirata a un olio del 1909, L'enigma dell'oracolo di Giorgio De Chirico.
L'enigma dell'oracolo
L’enigma dell’oracolo ha una storia figurativa complessa. Esso s’ispira, in maniera patente, all'olio Odisseo e Calipso (1882), di Arnold Böcklin, maestro simbolista di De Chirico e artista in cui l'elemento mitologico e marino assume enorme importanza.
Odisseo e Calipso richiama, nella figura che dà le spalle all’osservatore, alcuni quadri di paesaggio di Caspar David Friedrich in cui l’uomo, minuscolo e senza volto, rimane attonito di fronte alla manifestazione sublime della Natura: un cielo smisurato, un panorama marino, la luna, le scogliere.
L'opera più famosa di Böcklin, peraltro, è L’isola dei morti, un quadro dipinto in cinque versioni, che affascinò, fra gli altri, Heinrich Mann, Dürrenmatt e Hitler.
L'isola dei morti
Friedrich, Böcklin e, in parte, il primo De Chirico partecipano di una fascinazione profonda tipica dell'area germanica. La Plath, il cui sangue sentiva oscuramente tale lascito, ereditò sicuramente il genio di tale sensibilità - una sensibilità che trae nutrimento da uno stato d'animo particolare, da una suggestione, da una atmosfera crepuscolare e romantica gravida di presagi e visioni in cui, sospese le leggi di natura, si rivela il mistero. Proprio De Chirico, richiamandosi ad alcuni luoghi della filosofia di Nietzsche, parlerà di Stimmung e la porrà alle basi della propria opera metafisica, quella, insomma, de L'enigma degli oracoli che tanto impressionò la poetessa.
Ed ecco la poesia (traduzione di Anna Ravano):

Mio padre teneva una conchiglia ricurva
Presso due bronzei reggilibri a forma di veliero,
E io sentivo fremere nei suoi denti freddi
Le voci di quell'ambiguo mare anelato
Di Böcklin, quando, vecchio, reggeva una conchiglia
All'orecchio per udire il mare che non poteva udire.
Quel che la conchiglia diceva al suo orecchio interiore
Lui lo sapeva, ma i villani non lo sanno.

Mio padre mori e alla sua morte
Lascio agli eredi i suoi libri e la conchiglia.
I libri se li prese il fuoco, la conchiglia il mare,
Ma io, io conservo le voci che lui
Mi mise nell'orecchio, e nell'occhio
La vista di quelle onde azzurre non vedute
Che lo spirito di Böcklin ancora piange.
Banchettano e si moltiplicano i villani.

Non vedo, a eclissare il bue allo spiedo,
Ne cigno d'ottone ne stella ardente
Segni araldici di un’età più essenziale,
Bensì tre uomini che entrano nel cortile,
Tre uomini che salgono le scale.
Senza frutto, le loro immagini ciarliere
Invadono l'occhio claustrale come pagine
Di un fumetto grossolano, e verso

L'accadere di questo evento
La terra ora si volge. Tra mezz'ora
Scenderò la scala malandata e incontrerò
Quei tre che salgono. Vale
Meno del presente, del passato, questo futuro.
Senza valore questa visione per occhi offuscati
Che un tempo videro cadere le torri di Troia,
Videro il male prorompere dal Nord.

La poesia è dominata dalla figura del padre perduto in tenera età.
Come il pittore Böcklin che, prossimo alla fine, ancora tendeva l'orecchio alla conchiglia per udire quelle deità che popolavano i suoi quadri, così il padre è portatore di una sapienza (i libri) in grado di riscattare la volgarità del tempo presente (i villani, il bue allo spiedo).
Quel sapere, insieme simbolo di protezione e di nostalgia del mondo dell'infanzia, ora tace. La statua del padre-dio è silente (“i tuoi denti freddi”), le sue parole incomprensibili, la sua eredità dileguata, le sue orecchie sorde alle evocazioni.
La versione lunga della poesia, pubblicata su Poetry nel settembre 1959, reca in epigrafe una frase di Giorgio De Chirico: "Dentro un tempio in rovina la statua mutilata di un dio parlò in una lingua misteriosa".
La poetessa cerca di restaurare il filo che la lega al mondo caldo dell'infanzia dove il genitore accudisce e insegna, ma, nel farlo, si rende conto che il passato più non parla, ed è perduto per sempre.
In un'altra composizione, Il Colosso, la Plath si esprimerà con accenti ancora più aspri e netti sulla figura svanita del dio-padre, impossibile da restituire all'innocente integrità dei primi anni:

Non riuscirò mai a ricomporti interamente,
Con tutti i pezzi ben congiunti e incollati
Ragli, grugniti e osceni schiamazzi
Escono dalle tue vaste labbra
...
Tu forse ti consideri un oracolo,
Portavoce dei morti e di chissà quale dio
Sono trent'anni ormai che mi affatico
Per cavarti la melma dalla gola
E ne so quanto prima.

La comunicazione passato-presente è interrotta; il futuro, non più guidato dalla mano del genitore, si risolve in una fenomenologia quotidiana meschina e impoetica (l'incontro con i tre uomini sulla scala malandata, “pagine di un fumetto grossolano”).
Le ultime righe, oltre a ribadire lo scacco della rievocazione e lo svilimento della propria vita attuale (“vale meno del presente, del passato, questo futuro”), riescono a sublimare il nudo dato biografico in una metafora universale sulla poesia stessa.
Il canto attuale (un resoconto di “immagini ciarliere”, “una visione per occhi offuscati”) viene contrapposto a quello mitico del passato (“la caduta delle torri di Troia”); cosi come il padre, dio marino, musa e dispensatore di sapienza e poesia, viene meno, così nel mondo viene meno l'altezza del canto poetico.
Come notavamo a proposito di Baudelaire, la poesia nel mondo moderno è, di fatto, impossibile. In quel luogo abbiamo assimilato la morte della poesia a quella di Pan, annunciata dal nocchiero Tamo in un celeberrimo passo plutarcheo:

“… non un soffio di vento, non un’onda. Allora Tamo, sulla poppa, guardò verso terra e gridò: ‘Il grande Pan è morto!’. Non aveva quasi finito di dirlo, che subito si levò un gran gemito, non di una persona sola, ma di tante, pieno di stupore”

E la morte di Pan, la morte della poesia, era contenuta nello scritto di Plutarco De defectu oraculorum. Sul tramonto degli oracoli, ovvero On the decline of the oracles.
Germania, Grecia, De Chirico, il simbolismo pittorico europeo, il padre. Sylvia Plath è un’artista complessa, come gli specchi che amava. Sylvia Plath è un labirinto a cui è giusto sacrificare del tempo nella speranza non di trovare l’uscita, ma di conoscere il Minotauro messo a guardia d’esso. On the decline of the oracles è una porta d’accesso che possiamo aprire.

(1) Sylvia Plath dedicò anche una seconda composizione all'opera di De Chirico, The disquieting Muses, Le Muse inquietanti. Le teste lisce, impersonali e lunari degli inquietanti manichini di De Chirico torneranno in altri luoghi dell'opera della Plath, “forse come ricordo trasfigurato delle infermiere che la sottoposero all'elettroterapia … [figure che lei vide], in preda al terrore e squassata dalle scariche, come figure bianche e scosse da un movimento ritmico".

Le Muse inquietanti

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