Paola Splendore
Quanto mai opportuna un’antologia come questa a cura di Maria
Nadotti, per presentare – soprattutto ai più giovani – una figura
poliedrica di scrittore e intellettuale fra le più interessanti del
nostro tempo. Berger scrive con altrettanta acutezza di arte, politica,
letteratura e attualità; e lo fa con lo sguardo dell’artista, la parola
del narratore e l’impegno del testimone.
I materiali raccolti nel volume – soprattutto saggi ma anche stralci
da romanzi, poesie, lettere, diari, resoconti di inchieste, appelli
militanti ecc. – coprono un arco di sessant’anni, dal 1958 al 2012. Non
sono presentati in ordine cronologico né tematico, ma secondo un ordito
che rivela via via la straordinaria vivacità e tenuta di questo autore
che ancora oggi,
a quasi novant’anni, ha voglia di scrivere, viaggiare, testimoniare, inviarci i suoi messaggi dal mondo.
a quasi novant’anni, ha voglia di scrivere, viaggiare, testimoniare, inviarci i suoi messaggi dal mondo.
Quando nel 1972, dopo l’assegnazione del Booker Prize al romanzo G.,
Berger decise di trasferirsi in un villaggio di contadini dell’Alta
Savoia, dove vive tuttora, volle esprimere il rifiuto dell’establishment
letterario inglese, nei confronti del quale era stato comunque sempre
un outsider. A Quincy, Berger comincia a fare il contadino, a occuparsi
di fienagioni, di api e vitelli, ma continuando a scrivere, a disegnare,
a partecipare a suo modo alle vicende del mondo.
Stanno a testimoniarlo
le visite, in anni recenti, a due paesi difficili e quanto mai
emblematici dei conflitti nel mondo contemporaneo: nel 2003 si è recato
in Palestina, a Ramallah e nei territori occupati, dove ha tenuto –
insieme ad artisti palestinesi – un workshop sulla narrazione; e nel
2008, a ottantun anni, è andato in Chiapas a incontrare il subcomandante
Marcos, il mitico rivoluzionario messicano.
Il bel saggio Appunti su un ritratto nella selva riferisce di
questo incontro, ci offre questo ritratto: «Dietro il passamontagna,
sotto il grande naso, una bocca e una laringe che dall’abisso parlano di
speranza. Ho disegnato quello che ho potuto». E così Berger può anche
ricostruire con rapidi tratti il contesto sociale, culturale ed
economico dello zapatismo. In un altro saggio, Un luogo in lacrime,
si legge: «Gaza, la più grande prigione della terra, è trasformata in
mattatoio. La parola “striscia” è fradicia di sangue, come
sessantacinque anni fa successe alla parola “ghetto”».
Questa apertura al mondo, il coinvolgimento in prima persona,
coerentemente con i principi e gli ideali professati, da sempre
informano la scrittura di Berger. Instancabile nell’indagare e
tratteggiare la nuova topografia del male, nelle sue forme occulte come
nella fisionomia ingannevole dei nuovi tiranni di tutte le latitudini,
in abiti impeccabili e rassicuranti, impegnati a prendere decisioni pur
«senza sapere niente di niente sull’essenza delle cose».
La stessa sensibilità lo porta a occuparsi con grande anticipo di
temi oggi pervasivi come l’emigrazione, in un libro sui lavoratori
migranti in Europa del 1975, Il settimo uomo; oppure a riflettere
sull’uso spregiudicato da parte della stampa delle «fotografie
d’agonia» durante la guerra in Vietnam. Chiude il volume il testo del
discorso con cui Berger, in quel ’72 accettò sì il Booker Prize, ma
attaccando senza quartiere, nell’occasione, i Booker McConnell che
potevano farsi protettori delle arti coi proventi dello sfruttamento
della canna da zucchero nella Guyana britannica. Tutto da leggere.
Dal numero 32 di alfabeta2 in edicola, in libreria e in versione digitale
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