domenica 27 ottobre 2013

L'incipit della domenica - Kubla Khan

Dopo il frammento Chi devo scegliere per mio giudice, anche l'incipit della domenica rende omaggio a Samuel Taylor Coleridge, pochi giorni dopo il suo anniversario (il poeta nacque infatti il 21 ottobre del 1772).

Una sera dell’autunno del 1797, Coleridge  si corica presto. È indisposto, forse sotto l’effetto dell’oppio. Si addormenta quasi subito, non prima di aver letto alcune frasi tratte dai Pellegrinaggi del reverendo Samuel Purchas (1575-1626) ricavate da Il Milione di Marco Polo: “Quando l'uomo è partito di questa cittade e cavalca 3 giornate, sí si truova una cittade ch'è chiamata Giandu, la quale fee fare lo Grande Kane che regna, Coblai Kane. E àe fatto fare in questa città uno palagio di marmo e d'altre ricche pietre; le sale e le camere sono tutte dorate e è molto bellissimo marivigliosamente. E atorno a questo palagio è uno muro ch'è grande 15 miglia, e quivi àe fiumi e fontane e prati assai”.
Il sonno di Coleridge durò circa tre ore; in quel limbo egli immaginò, come riferì in seguito egli stesso, circa trecento versi. Destatosi, cercò subito di oggettivarli sulla pagina, ma, dopo averne vergati appena cinquantaquattro, fu interrotto da un visitatore, per motivi di affari. Ritornato alla scrivania si rese conto che tutta la memoria del sogno, sottile come una ragnatela, era strappata: d’essa non rimanevano che immagini sfocate e inservibili.
Kubla Khan rimase un’opera incompiuta, l’incipit d’un possibile poema.

I cinquantaquattro versi che Coleridge riuscì a salvare dall’oblio sono il residuo di uno stimolo letterario (Il Milione) filtrato dalla suggestione di uno stato di coscienza vago e dilatato, il sonno; in realtà la somma di due suggestioni, poiché anche il resoconto, pur veritiero, di Marco Polo non è, agli occhi di un moderno, che una favola onirica dove i panorami, i palazzi, gli uomini, i fiumi, gli animali appaiono con le fattezze simboliche e fantastiche di un codice medioevale.
All’epoca di Marco Polo, come spiegato, la poesia era ancora possibile perché grande era la terra incognita e, perciò, il meraviglioso e lo stupore, essenza della vera poesia.
Coleridge (un decadente, come tutti i grandi moderni) ha il merito di farci ritrovare questo senso del meraviglioso; Kubla Khan incede senza una trama precisa, vaga per immagini staccate, sfuma i contorni, accende paesaggi grandiosi quanto indefiniti, celebra il poeta vate e la dolcezza delle apparizioni femminili. La sua è una lingua leopardiana, petrarchesca, ma intrisa d’una nostalgia unica e terribile: quella per un sogno svanito, metafora, allo stesso tempo, d’un paradiso irraggiungibile e della poesia stessa, perduta in un mondo che più non la permette.

Samuel Taylor Coleridge
Kubla Khan decretò che, in Xanadu,
Un palazzo di delizie sorgesse,
Dove l’Alph, fiume sacro,
Giù, verso un mare senza sole, fluisce
Entro caverne per l’uomo smisurate.
Circondò egli con torri e mura
cinque e cinque miglia di fertile suolo;
E là eran giardini belli, con ruscelli sinuosi,
E alberi da incenso in fioritura;
Boschi antichi, come le colline,
Celavano assolate macchie di verzura.
Oh, quel profondo, romantico abisso che traverso
Un folto di cedri tagliava il verde colle!
Luogo selvaggio! Luogo santo e incantato
Quale mai fu visitato, sotto a calante luna,
Da una donna in sospiri per il suo demone d’amore!
E dall’abisso, fremente per un continuo bollore,
Quasi che la terra respirasse con palpiti profondi,
Una possente fontana eruppe improvvisa:
E tra gli scrosci semintermittenti
Smisurati frammenti, come di grandine, balzavano,
Come la pula che salta per la sferza del battitore:
E frammezzo alla danza di pietre
Il fiume sacro improvviso nasceva.
Per cinque miglia fluiva serpentino
Il fiume sacro, fra boschi e piccole valli,
Giù, entro caverne per l’uomo smisurate,
Poi fragoroso sfociava, a un oceano senza vita:
E frammezzo il fragore Kubla udì voci lontane -
I suo avi che la guerra profetavano!
L’ombra del palazzo di delizie
Fluttuava sulle onde a mezzo via,
Ove i ritmi della fontana e delle caverne
l’uno all’altro si miscelavano.
Miracolo di rara maestria:
un palazzo solare con caverne ghiacciate!
Una fanciulla con salterio
Vidi in sogno una volta:
Una giovane Abissina era,
E sonando sul salterio
Del Monte Abora cantava.
Se in me resuscitare potessi
Quel suo canto e quella melodia,
Ne avrei una delizia così profonda
Da poter costruire anch’io
Quell’aereo palazzo
Quel palazzo di sole! Quelle caverne ghiacciate!
E chiunque ascoltasse li vedrebbe,
E tutti griderebbero: Attenti! Attenti!
I suoi occhi lampeggianti, la sua chioma fluente!
Tracciate un triplice cerchio attorno a lui,
E gli occhi serrate con sacro terrore,
Poiché con rugiada di miele fu nutrito
E ha bevuto il latte del paradiso.

In Xanadu did Kubla Khan
A stately pleasure-dome decree:
Where Alph, the sacred river, ran
Through caverns measureless to man
Down to a sunless sea.
So twice five miles of fertile ground
With walls and towers were girdled round:
And there were gardens bright with sinuous rills,
Where blossomed many an incense-bearing tree;
And here were forests ancient as the hills,
Enfolding sunny spots of greenery.
But oh! that deep romantic chasm which slanted
Down the green hill athwart a cedarn cover!
A savage place! as holy and enchanted
As e’er beneath a waning moon was haunted
By woman wailing for her demon-lover!
And from this chasm, with ceaseless turmoil seething,
As if this earth in fast thick pants were breathing,
A mighty fountain momently was forced:
Amid whose swift half-intermitted burst
Huge fragments vaulted like rebounding hail,
Or chaffy grain beneath the thresher’s flail:
And ‘mid these dancing rocks at once and ever
It flung up momently the sacred river.
Five miles meandering with a mazy motion
Through wood and dale the sacred river ran,
Then reached the caverns measureless to man,
And sank in tumult to a lifeless ocean:
And ‘mid this tumult Kubla heard from far
Ancestral voices prophesying war!
The shadow of the dome of pleasure
Floated midway on the waves;
Where was heard the mingled measure
From the fountain and the caves.
It was a miracle of rare device,
A sunny pleasure-dome with caves of ice!
A damsel with a dulcimer
In a vision once I saw:
It was an Abyssinian maid,
And on her dulcimer she played,
Singing of Mount Abora.
Could I revive within me
Her symphony and song,
To such a deep delight ‘twould win me
That with music loud and long
I would build that dome in air,
That sunny dome! those caves of ice!
And all who heard should see them there,
And all should cry, Beware! Beware!
His flashing eyes, his floating hair!
Weave a circle round him thrice,
And close your eyes with holy dread,
For he on honey-dew hath fed
And drunk the milk of Paradise.

1 commento:

  1. Davvero un'ottima introduzione, molto acuta e originale. In effetti la ricerca del 'sogno impossibile', o meglio il tentativo di per sé destinato al fallimento di riportare un mondo sempre più 'oggettivo' ad uno stato precedente di mistero e quindi anche di 'poesia' era insito in quasi tutti i poeti dell'Ottocento, Coleridge compreso. Da lì le droghe, i 'paradisi artificiali' ecc., ma anche la stessa poesia come esperienza 'straniante' e conflittuale nei confronti della realtà. Molto bella la descrizione dell'antefatto - il sogno di Coleridge - e quella della struttura di questo breve poema che rimane a mio parere uno dei più affascinanti e indecifrabili della poesia moderna. Un saluto! :)

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