R. Magritte, La reproduction interdite |
Il quadro di René Magritte a lato può indurre qualcuno di voi, il più pigro, a credere che la pubblicazione dell'incipit del Mattia Pascal sia istigata da considerazioni di indole metafisica e psicologica. Invece la scelta letteraria ha, oggi, origini finanziarie.
Come il Pascal muore due volte e altrettante rinasce, con diverso nome, ma eguale personalità, così avviene per le imposte o tasse italiane: uccise a chiacchiere nei comizi televisivi, rinascono con acronimi nuovi di zecca e rinnovato vigore.
La più famigerata di tutte, anzi, è morta e rinata tre volte (ISI, ICI, IMU, TRISE), in competizione vincente con Mattia Pascal/Adriano Meis.
Pirandello, la cui vita fu segnata dal memorabile tracollo della solfatara di famiglia (nel 1903, centodieci anni fa) che lo costrinse a sbarcare il lunario umiliandosi con ripetizioni private, approverebbe di sicuro la nostra divagazione, a mezzo tra personale omaggio letterario e scienza delle finanze.
Una
delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi
chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei
amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il senno fino al punto di venire
da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle,
socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:
-
Io mi chiamo Mattia Pascal.
-
Grazie, caro. Questo lo so.
-
E ti par poco?
Non
pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa
volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè,
come prima, all'occorrenza:
-
Io mi chiamo Mattia Pascal.
Qualcuno
vorrà bene compiangermi (costa così poco), immaginando l'atroce cordoglio d'un
disgraziato, al quale avvenga di scoprire tutt'a un tratto che... sì, niente,
insomma: né padre, né madre, né come fu o come non fu; e vorrà pur bene
indignarsi (costa anche meno) della corruzione dei costumi, e de' vizii, e
della tristezza dei tempi, che di tanto male possono esser cagione a un povero
innocente.
Ebbene,
si accomodi. Ma è mio dovere avvertirlo che non si tratta propriamente di
questo. Potrei qui esporre, di fatti, in un albero genealogico, l'origine e la
discendenza della mia famiglia e dimostrare come qualmente non solo ho
conosciuto mio padre e mia madre, ma e gli antenati miei e le loro azioni, in
un lungo decorso di tempo, non tutte veramente lodevoli.
E
allora?
Ecco:
il mio caso è assai più strano e diverso; tanto diverso e strano che mi faccio
a narrarlo.
Fui,
per circa due anni, non so se più cacciatore di topi che guardiano di libri
nella biblioteca che un monsignor Boccamazza, nel 1803, volle lasciar morendo
al nostro Comune. E' ben chiaro che questo Monsignore dovette conoscer poco
l'indole e le abitudini de' suoi concittadini; o forse sperò che il suo lascito
dovesse col tempo e con la comodità accendere nel loro animo l'amore per lo
studio. Finora, ne posso rendere testimonianza, non si è acceso: e questo dico
in lode de' miei concittadini: Del dono anzi il Comune si dimostrò così poco
grato al Boccamazza, che non volle neppure erigergli un mezzo busto pur che
fosse, e i libri lasciò per molti e molti anni accatastati in un vasto e umido
magazzino, donde poi li trasse, pensate voi in quale stato, per allogarli nella
chiesetta fuori mano di Santa Maria Liberale, non so per qual ragione
sconsacrata. Qua li affidò, senz'alcun discernimento, a titolo di beneficio, e
come sinecura, a qualche sfaccendato ben protetto il quale, per due lire al
giorno, stando a guardarli, o anche senza guardarli affatto, ne avesse
sopportato per alcune ore il tanfo della muffa e del vecchiume.
Tal
sorte toccò anche a me; e fin dal primo giorno io concepii così misera stima
dei libri, sieno essi a stampa o manoscritti (come alcuni antichissimi della
nostra biblioteca), che ora non mi sarei mai e poi mai messo a scrivere, se,
come ho detto, non stimassi davvero strano il mio caso e tale da poter servire
d'ammaestramento a qualche curioso lettore, che per avventura, riducendosi
finalmente a effetto l'antica speranza della buon'anima di monsignor
Boccamazza, capitasse in questa biblioteca, a cui io lascio questo mio
manoscritto, con l'obbligo però che nessuno possa aprirlo se non cinquant'anni
dopo la mia terza, ultima e definitiva morte.
Giacché, per il momento
(e Dio sa quanto me ne duole), io sono morto, sì, già due volte, ma la prima
per errore, e la seconda... sentirete.
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