G. Luca Chiovelli
Di qui l'esortazione alla sinistra a riconoscersi come parte, come terraferma da cui ripartire, come erede di una tradizione vecchia di trecento anni, dalle parole antiche e chiare:
Questo breve volume di Mario Tronti è cosi
largamente condivisibile che avevo pensato di farne un'antologia di passi a uso
del lettore e stampigliarli sopra un ‘Echt’, approvato, come faceva Ezra Pound
mentre leggeva in bozze i capitoli de La
terra desolata di Eliot.
Da esso, come vedremo, dissento per un solo
punto, pur essenziale.
Il libretto è costituito dall'esame di alcune
voci politiche capitali (autonomia, popolo, stato, partito, lavoro, crisi) e da
due saggi (del 1981 e del 2013), inerenti il destino e il ruolo della sinistra
nella storia internazionale.
L'asse portante dell'opera consiste nella
puntigliosa ripulitura dei concetti chiave del linguaggio politico, ormai
incrostati dal pettegolezzo quotidiano attorno a essi e, perciò,
irriconoscibili dai cittadini e inservibili per il discorso politico.
“Coltivare
il linguaggio, affinarlo, accudirlo, lavorare alla chiarezza del dire e dello
scrivere, senza rinunciare ad andare nel profondo, sfidare l'incomprensione ,
non per ermetismo, ma per antagonismo ... io penso che la parola sia una forma
di lotta ... L'etica del discorso diviene obbligazione politica. Il linguaggio
serve per dire pensiero. Se la parola, detta o scritta, non contiene un concetto,
non dà libertà, mai, dà oppressione, sempre”.
Tronti auspica un
linguaggio che si distingua per la nettezza e per l'immediata riconoscibilità
da parte del cittadino, in quanto parte di un patrimonio intellettuale comune,
elaborato democraticamente e in grado di sfidare il lessico dei demagoghi e
degli ingannatori (basti pensare ai nuovi ritornelli di moda: "agibilità
politica di Berlusconi", "coesione", "responsabilità"
per rendersene conto):
“La
semplificazione del messaggio mira a colpire la ragione umana. Si vuole fare
dell'essere razionale un animale istintuale. Quanto più lo stimolo e volgare
tanto piu facile viene la risposta immediata ... Tra intellettualità diffusa e
chiacchiera da bar non c'e quasi nessuna differenza ...”
Benissimo. Avevo già
affrontato il problema nel post su Carofiglio. Un linguaggio restituito alla
verginità, risonante della propria ricchezza, finalmente comunicativo. Non
posso che essere d'accordo.
Restaurare una parola disboscandola dalle
sterpaglie che la soffocano significa non solo comprenderla davvero per la
prima volta, ma anche ricreare quel mondo antico che le aveva donato senso e
che credevamo fantasmatico, irrecuperabile.
Mi si permetta una metafora contadina, che
Tronti potrebbe apprezzare.
Una volta dovetti ripulire un campo abbandonato
da decenni.
Lo occupava quasi interamente un roveto alto
quasi due metri, tenuto a bada solo da un ostinato boschetto di acacie che lo
abbracciava quasi del tutto.
Nel mezzo del viluppo si indovinava una sorta di
pietraia; decisi di applicare al decespugliatore delle lame, invece del filo,
nonostante il pericolo di danneggiarne il filo urtando qualche pietra nascosta
dall'intrico della macchia.
Il lavoro si prospettava duro. I rovi, tagliati
alla base, hanno la sfacciatezza di rimanere dove sono, poiché sorretti dai
compagni ad essi vicendevolmente avvinghiati. Occorre, quindi, non solo
recidere le parti attaccate al suolo, ma calare le lame dall'alto per
triturarli e ridurli definitivamente alla sconfitta, mentre vespe e calabroni,
che si annidano in quei recessi tiepidi, si fiondano come proiettili contro il
molestatore.
Dopo un'intera giornata, ammirai il risultato
dall'alto: quello che sembrava un selvaggio accozzo di malerbe, recuperava ora
le forme commoventi dettategli da un'azione umana secolare.
La terra, come la parola, non dimentica mai.
La pietraia si era rivelata il rudere di un
casolare, di quelli tirati su a secco per il ricovero degli attrezzi, per il
desinare sul campo, per un breve riposo durante le ore più calde. A ridosso
sorgeva una cisterna semicircolare in cui si raccoglieva l'acqua piovana dei
colatoi del tetto. Altri segni del passato erano ancora li, presenti, pronti a
riprendere vigore: i cammini calpesti dei minuscoli tratturi che si collegavano
agli altri campi e alla strada poderale, leggeri come le linee di Nazca; gli
ordinati e ampi gradini che, chissà quando, ospitavano i filari dei vigneti; i
pali di sostegno ricavati da vecchie traversine ferroviarie; le differenti
lavorazioni agricole che risaltavano, scontrandosi, lungo i confini. Un
sentiero, ora praticabile, conduceva a un anfratto da cui si dipartiva un
canale, ora in secca, scavato da un vecchio ruscelletto: una grotta dell'acqua,
insomma. E Grotta dell’Acqua era proprio il nome di quel territorio.
Le parole non dimenticano mai.
Fu sufficiente una giornata di lavoro per
ritrovare il senso del passato, di una comunità che sembrava perduta. E così le
parole della politica: questo era il significato di popolo, diremo, questo
quello di lavoro - ecco ciò che muoveva, che spingeva all'indignazione, che teneva
tutto nella dignità di una comprensione immediata.
Autonomia: “Il
contrario di autonomia è dipendenza, subalternità, sottomissione, servitù
volontaria a quella che chiamiamo opinione pubblica, cioè a quello che è il
punto di vista di chi comanda”.
Popolo: “Popolo non di sudditi, non di cittadini, ma
di lavoratori ... Popolo lavoratore come classe generale e possibile solo oggi,
nelle condizioni di lavoro esteso e parcellizzato, diffuso e frantumato ... che
va dalla fatica delle mani alla fatica del concetto, dall'occupazione che non
si ama all'occupazione che non si trova, un arcipelago di isole che fanno un
continente”.
Lavoro: “Non
è sbagliato coniugare lavoro e impresa. È sbagliato pensare e praticare il
rapporto con una utopia collaborativa, che non solo esclude, ma demonizza il
conflitto”.
Partito: “È [l']ossessione della maggioranza che fa
delle attuali democrazie i regimi più antipolitici che siano mai esistiti ...
il partito è un'arma nella battaglia delle idee, l'intellettuale collettivo che
produce cultura alternativa a quella dominante”.
Secondo Tronti
riguadagnare il senso delle parole permette altresì di costituire la terraferma
su cui riorganizzare l'azione di contrasto alla deriva del presente:
“C'è
stato il diluvio ... Il capitalismo è mare: elemento fluido, dinamico, in
continuo movimento ... Quando ha rotto l'ultima diga, costruito per contenerlo,
si e detto infatti che si era entrati in un tempo liquido”
Per questo c'e
bisogno di terreno solido, di ideologia.
Se il capitalismo è liquido come il dio Proteo,
l'antagonista, il lavoro, è solida terra, dominio di Anteo:
“Gli
operai sono stati contadini. I loro piedi hanno calcato i sentieri dei campi
prima di percorrere le strade della città. Le mani sono state sapienti
strumenti delle libere arti prima di diventare servili appendici delle macchine”
Di qui l'esortazione alla sinistra a riconoscersi come parte, come terraferma da cui ripartire, come erede di una tradizione vecchia di trecento anni, dalle parole antiche e chiare:
"Per
essere riconoscibile come parte, la sinistra dovrebbe dire una cosa
semplicissima: siamo gli eredi della lunga storia del movimento operaio. Lunga
storia, ho detto. Abusivamente ridotta a pochi decenni, quelli del socialismo
realizzato, mentre viene dalla rivoluzione industriale, si diversifica
nell'Ottocento grande laboratorio, affronta nel Novecento la sfida della
rivoluzione..."
La linea è giusta, ma, purtroppo, tutto questo
non avverrà. Manca la volontà, e, soprattutto, il tempo.
La sinistra immaginata da Tronti necessita di
elaborazioni, di concetti, di cautele.
La destra è immediatezza. Idee senza parole.
Il nodo gordiano del presente non aspetta di
essere pazientemente districato, ma reciso di netto, come fece Alessandro
Magno.
La sinistra non ha più il tempo di districare
alcunché. Manca di mezzi, di uomini, di concetti. Le sue parole, immerse da
troppo nel liquido della società nuova, sono ormai rugginose, inservibili. Non
agiscono più, non hanno risonanze.
Al fascismo della finanza risponderà il fascismo
classico, che sta tornando, inevitabilmente.
Il libro di Tronti è la vana e ammirevole
testimonianza di uno sconfitto.
Egli si professa realista in politica.
Ed è il realismo che, forse, lo spinge
all'azione accettando la situazione politica attuale (è senatore). Questi
ingredienti trovo e con questi cucino, sembra dire.
Ma con qualche avanzo scaduto non si può
approntare neanche un pastone.
D'altra parte è proprio il realismo a costringerlo
alla citazione del politologo Christopher Lasch:
“La
sinistra ha perso da parecchio tempo ogni interesse nei confronti delle classi
inferiori. È allergica a tutto ciò che assomiglia a una causa perduta …”
Non c'é redenzione.
Tornerà la terra, ma sarà quella del Blut und Boden, del sangue e del
disprezzo, del razzismo profondo. Come scrisse Montale: “Nella sera distesa appena, s’ode/un ululo di corni,uno sfacelo”.
L'autore di questa recensione parla giustamente del teorico della "rude razza pagana" (la classe operaia d'antan) come di uno "sconfitto". Se si aggiunge che negli ultimi tempi, per il suo saggio e la lettera aperta sull' "emergenza antropologica", Tronti è stato ribattezzato un marxista-ratzingeriano si può intuire la dimensione della sconfitta. P.S. : magari un'antologia di passi secondo metodologie poundiane!
RispondiEliminaC'è da aggiungere un argomento ad personam, abbastanza populista e un po' vile: perché un apocalittico e uno sconfitto come il ratzingeriano Tronti siede sullo scranno del Senato italiano responsabile in larga parte dell'apocalissi e della sconfitta?
EliminaForse perché è un apocalittico schmittiano.
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