Lunedì 11 novembre alle 18 da Plautilla biblio-libreria gratuita (via Colautti 28-30) una conversazione con Antonio Pascale, di cui è da poco uscito per Einaudi il (non) romanzo Le attenuanti sentimentali. Una pagina dal primo capitolo:
Antonio Pascale
Ho
esordito poco prima del nuovo millennio con un libro strano: La città
distratta. Il protagonista non c’era. Cioè, il protagonista era la
città, la città di Caserta con tutte le sue appendici.
Le appendici parlavano, si raccontavano.
Ero
un perfetto sconosciuto, molto timido quando si trattava di
affrontare il pubblico, con problemi di dislessia e disgrafia e varie
altre complicazioni, sbagliavo le concordanze, mi perdevo in
digressioni, parlavo sottovoce.
Nel
2003 arrivò La manutenzione degli affetti. Tutti a dirmi: che bel
titolo. Firmai uno spropositato numero di dediche personalizzate
(genere in cui mi accorsi di eccellere) e tutte finivano con: «alla
manutenzione dei tuoi sogni futuri, questo libro è dedicato».
Cominciai
a essere invitato in televisione. La mia prima domanda televisiva fu:
«La manutenzione degli affetti, in che senso?» Non ebbi modo di
spiegarmi perché il presentatore
intervenne per dirmi: «È dunque un libro di consigli pratici?»
«No, – risposi, – tutt’altro», e l’intervista finí lí
perché il tempo era scaduto.
Ma
mi sentivo forte, parlavo ormai con agilità alle conferenze,
frequentavo un sacco di cene dove almeno metà dei commensali mi
diceva: La manutenzione degli affetti non l’ho letto, però che bel
titolo. I critici scrissero: tre racconti su sette sono davvero
riusciti (e non erano mai gli stessi), però ora aspettiamo Pascale
alla prova del romanzo.
Nell’attesa,
mi ammalai. Un giorno mi svegliai trasformato in un essere pieno di
bolle. Un’orticaria. È lo stress, cosí mi dissero all’IDI.
Antistaminico e passa. Alla terza pillola le bolle andarono via del
tutto. Sono forte, pensai. Due giorni dopo arrivò una dermatite
devastante. È lo stress.
– Cioè?
– chiesi al dermatologo dell’IDI.
– E
che ne so io: si guardi dentro.
Che
se ci pensate solo un attimo è un concetto estremamente pernicioso,
guardarsi dentro, e poi dove? Comunque, cominciai a guardarmi dentro.
Risultato: mi ammalai ancora
di piú.
– Omeopatia,
– mi consigliò una scrittrice napoletana, mentre mi serviva una
cena macrobiotica, a casa sua, a Napoli.
– Intossicazione,
– mi disse il medico, al pronto soccorso, dopo qualche ora. –
Cozze?
– Macrobiotico.
– Macrobiotico?
A Napoli? Ma lei vuole sfidare la sorte.
Peggiorai.
Ingurgitavo cortisone. Finché incontrai Luigi. Che di professione fa
il libertino, oltre che il pittore.
Uno
che cammina con la spalla destra leggermente calata, cosí fa
scivolare meglio la vita, appunto da sinistra a destra, uno che ha
sempre un’espressione scocciata, finché non appare qualcuna e
allora basta un attimo, lui la guarda, lei è sorpresa (sorpresa
dell’interesse di uno organicamente scocciato), lui lascia tutto e
parla solo con lei, sorride e si rianima, e insomma Luigi mi disse:
– Cioè,
ti stai guardando dentro?
– Sí,
dice che è lo stress. Ho una colpa che mi tormenta e mi brucia il
corpo.
– E
tu ti stai guardando dentro?
– Sí.
Ho la colpa...
– Sei
impazzito? Vuoi soffrire? Non si va mai dal meccanico per un
check-up. Si scoprono cose terribili e che soprattutto non puoi piú
aggiustare, che ci pensi a fare? Lascia perdere. Finché ti regge la
pompa, dico...
Accettai
il consiglio, ricominciai a godermela.
Guarii
e scrissi il romanzo.
molto spiritoso e autoironico
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