domenica 17 novembre 2013

L'incipit della domenica - Il piacere della lettura

Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 - Parigi, 18 novembre 1922) scrisse il saggio Sur la lecture nel 1905; l’anno seguente lo utilizzò, in parte, come prefazione alla traduzione di Sésame et lys, di John Ruskin.
L'argomento del breve incipit è, ovviamente, la memoria.
La memoria sovverte subito le gerarchie infantili. Afferma lo scrittore: proprio quei giorni, consumati in interminabili letture, e che allora sembravano vuoti, erano, in realtà, i più intensi e vissuti; e gli ostacoli a tale piacere divino, la lettura, allora vissuti con fastidio, sono oggi i segnalibri di un'età perduta, insieme struggente (nella rievocazione resa possibile dell'arte) e malinconica (nella certezza della perdita definitiva).
Anche la poesia di Arthur Rimbaud, Orazione della sera, tratta della memoria. Fra il giovanissimo Rimbaud (1871) e Sur la lecture (1905) passano trentaquattro anni. Gli anni di Proust, nato proprio nel 1871.
Arthur Rimbaud usa un linguaggio tecnico, oltraggioso e aspro: in lui i ricordi fan dolci bruciature, come merde di piccionaia; e il cuore triste trasuda cupe linfe che ne lordano il giovane, innocente oro; i trasudamenti del ricordo proustiano sono, invece, colature dorate, lente e vischiose, d’un miele dolcissimo e morboso che si oggettiva in una prosa altrettanto vischiosa, densa di subordinate, incisi, rivoli logici, doppi fondi.
Quelle di Proust, tuttavia, sono pagine che ripagano sicure del non facile compito richiesto; come nell’eccezionale brano finale in cui i rintocchi della pendola e il crepitio del focolare conversano fra loro senza turbare la quiete profonda e ovattata delle letture più decisive, quelle dell’infanzia .


Marcel Proust
Forse non vi sono giorni della nostra infanzia vissuti tanto intensamente quanto quelli creduti di trascorrere senza averli vissuti: i giorni passati in compagnia di un libro a noi caro. Le vicende che li riempivano agli occhi degli altri, noi le evitavamo come un povero ostacolo a un piacere divino: il gioco che un amico veniva a proporci proprio nel punto più interessante, l'ape o il raggio di sole, fastidiosi, che ci obbligavano ad alzare lo sguardo dalle pagine o a cambiar posto, la merenda che ci avevano fatto portar dietro e che tenevamo, senza toccare, sul sedile li accanto, mentre il sole, in alto, mano a mano perdeva forza nel cielo azzurro, la cena che aveva costretti al rientro, durante la quale non si pensava ad altro che a tornar di sopra per riprendere il capitolo interrotto; di tutto questo la lettura non avrebbe dovuto che farci percepire altro che l'inopportunità e invece imprimeva in noi un ricordo così dolce (e ora ancor più prezioso, secondo il nostro giudizio, di ciò che allora leggevamo con tanto amore) che, ancor oggi, se ci accade d'aver fra le mani i libri d'un tempo, li sfogliamo come fossero gli unici calendari rimasti di giorni perduti, aspettandoci di trovare, riflessi sulle loro pagine, le case e gli stagni che non esistono più.




Chi non ricorda le letture delle vacanze che si andava a nascondere nelle ore della giornata più tranquille e inviolabili in modo da assicurarle un asilo sicuro?

La mattina, rientrando a casa dal parco, quando tutti erano fuori per una passeggiata, scivolavo nella sala da pranzo dove, fino all'ora, ancor lontana, del desinare, non sarebbe entrato nessuno (tranne la vecchia Felicie, relativamente silenziosa) e dove i miei unici, rispettosi compagni di lettura, sarebbero stati piatti decorati appesi al muro, il calendario, a cui era stato appena strappato il foglio del giorno prima, e la pendola e il fuoco che parlano senza aspettarsi una risposta e le cui dolci parole prive di senso non hanno la pretesa di sostituire, come quelle degli uomini, le parole che si vanno leggendo.

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