Giovedì 7 novembre alle 18 nel Tempio  Beth 
 Michael, Viale di Villa Pamphilj, 
71c verrà presentato il volume La catacomba ebraica di Monteverde: vecchi dati e nuove scoperte, edito dalla Presidenza del Consiglio Provinciale di Roma 
e dal Municipio Roma XII. Proponiamo uno stralcio dall'introduzione di Daniela Rossi, curatrice del volume insieme a Marzia Di Mento.
Daniela Rossi
Roma fu  una delle più antiche sedi occidentali dell’antica comunità ebraica.  L’Urbe cosmopolita e aperta a molteplici traffici economici e interessi  materiali, offriva ai forestieri moltissimi vantaggi e garanzia di libertà  religiosa. Condizioni favorevoli che motivarono un insediamento stabile  profondamente partecipe della realtà romana dell’epoca ma mai un’integrazione  totale, in quanto la comunità ha sempre conservato riti e tradizioni  culturali che l’hanno resa ben identificabile, come si desume anche  da questa nuova ricerca. In  particolare, l’area compresa fra la riva destra del Tevere, il Trastevere  e la collina di Monteverde e la zona intorno a Porta Portese ebbero  precoce frequentazione ebraica sin dal I secolo a.C.,  sebbene notizie di Iudaei in Roma sono testimoniate già dal II secolo a.C.  E molti se ne aggiunsero dopo il I secolo d.C. deportati dalla loro  patria a seguito della ribellione della Giudea contro Roma.
Il Transtiberim era in origine sede di gente semplice, piccoli trafficanti e marinai  che gravitavano sugli approdi del fiume; solo più tardi vi si insediarono  i ricchi giardini dei Cesari. Peraltro  la continuità insediamentale sull’area sembra non sia mai venuta  meno grazie, probabilmente, anche alla buona disposizione delle autorità.  Del resto fu Cesare a concedere grandi privilegi ai Giudei romani a  fronte di favori politici nella contesa contro Pompeo. 
Tale circostanza mette in luce il peso che doveva avere la comunità sulla vita politica e sociale romana in età imperiale quando alcuni studiosi ritengono che la popolazione ebraica entro la città si attestasse sui circa ottomila individui nel 4 a.C. e circa quattromila uomini in età militare nel 19 a.C.
Tale circostanza mette in luce il peso che doveva avere la comunità sulla vita politica e sociale romana in età imperiale quando alcuni studiosi ritengono che la popolazione ebraica entro la città si attestasse sui circa ottomila individui nel 4 a.C. e circa quattromila uomini in età militare nel 19 a.C.
 Le sinagoghe, in particolare dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme  nel  70 d.C., diventarono luoghi di aggregazione culturale e punti di riferimento  organizzativo delle comunità.
Assai scarse  sono le testimonianze archeologiche legate alla vita dei primi Ebrei  in Trastevere, quasi tutte le informazioni sono state dedotte dall’analisi  delle iscrizioni sepolcrali rinvenute negli anni in scavi assolutamente  non scientifici e, quindi, privi quasi sempre di informazioni topografiche  se non del tutto generiche. I luoghi di sepoltura erano determinati  soprattutto dalle condizioni geomorfologiche dei terreni e, dagli inizi  del III secolo si diffuse l’uso, del tutto simile, tra cristiani ed  ebrei, di scavare all’uopo complesse planimetrie di gallerie e ambienti  cimiteriali nelle profonde viscere della terra. A differenza dalle catacombe  cristiane, all’interno di quelle ebraiche era vietata la celebrazione  liturgica a suffragio dei morti, vista dalla religione come una sorta  di contatto fisico con i defunti e quindi considerata pratica impura. 
Nella  catacomba ebraica gli accessi, le gallerie, i cubicoli sono da ritenersi  funzionali esclusivamente ai riti di sepoltura.  La peculiarità  delle catacombe ebraiche si rivela nella presenza di simboli ebraici  nelle pitture e nelle incisioni che decorano gli ambienti.
La catacomba  di Monteverde venne realizzata proprio negli strati più teneri  della stratigrafia collinare e fu, in seguito, anche la prima delle  sei note in Roma a venire alla luce, nel 1602, ad opera di Antonio Bosio  e, poi, più volte dimenticata fino al completo oblio. Già a quel tempo si parlò di gallerie crollate a testimonianza  della fragilità dell’impianto e della contemporanea attività estrattiva. 
Del  resto la collina di Monteverde pare abbia preso il nome dal caratteristico  colore della vena tufacea che fu lavorata da età romana in poi  per estrarne pietra da costruzione. Le gallerie estrattive si collocavano ad un livello inferiore  rispetto a quelle catacombali destabilizzandole e determinandone, quindi,  spesso il crollo. L’edificazione moderna successiva le ha definitivamente  inglobate e cancellate senza alcun riconoscimento o rispetto. 
La storia urbanistica  del quartiere si intreccia, infatti, con quella della perdita definitiva  della testimonianza antica. Al momento della sua unificazione al Regno  d'Italia, Roma non aveva affatto le sembianze ambientali di una  moderna capitale europea e Monteverde si presentava ancora come un ridente  colle ricco di molti terreni agricoli, vigne, frutteti, oliveti con  ville, casali e chiesette di campagna disseminate lungo sentieri e stradine  di terra battuta.
Il  dibattito sullo sviluppo urbanistico tramite il quale la Città  avrebbe potuto affrontare le nuove funzioni burocratiche fu, purtroppo  il presupposto del cambio repentino di destinazione d’uso di quelle  tenute. 
 Il primo Piano  Regolatore di Roma, approvato il 28 novembre 1871, non prevedeva l’espansione  oltre la riva destra del Tevere che si aggiunse, invece, dal 1873 nel  “Piano Regolatore di Roma moderna” nel quale era previsto anche  "un piccolo quartiere signorile alle pendici del Gianicolo"  mentre in quello del 1883 era compresa la costruzione di una stazione  ferroviaria della linea Roma Viterbo presso l'attuale piazza Ippolito  Nievo. Stazione che venne poi spostata nell'attuale sede tra il 1906  e il 1911 con un intervento di grande impatto urbanistico che stabilì  l’assetto definitivo degli assi ferroviari e stradali di tutta la  zona.
L’elezione  a sindaco di Ernesto Nathan nel 1907 segnò un cambio di rotta nella  speculazione selvaggia e un tentativo di regolamentazione edilizia  attraverso l’adozione di un nuovo piano regolatore, approvato nel  1909, e la cui realizzazione fu affidata ad Edmondo Sanjust di Teulada,  ingegnere del Genio Civile di Milano. 
Per le zone di Monteverde  Vecchio e di Via Portuense vi era in progetto la realizzazione di un  nucleo edilizio residenziale mentre tutto il terreno da san Pietro all'attuale  Circonvallazione Gianicolense restava destinato a 'giardini'. E, se  in particolare Monteverde Vecchio avrebbe dovuto essere destinato soltanto  ad abitazioni circondate dal verde , nella realtà dei fatti, come in  altre zone, lo sviluppo edilizio puntò  anche ad una prima costruzione  di palazzine che permettevano maggiori vantaggi economici e speculativi
Le case, al principio degli anni Venti, si distribuirono lungo le direttrici che vanno da Via Berchet a Via Lorenzo Valla e da Via Fratelli Bandiera a Via Felice Cavallotti mentre l'asse Nord-Sud era segnato da Via Alessandro Poerio.
Gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale determinarono per tutta Roma un’accelerazione urbanistica che non risparmiò nemmeno la collina di Monteverde.
Le case, al principio degli anni Venti, si distribuirono lungo le direttrici che vanno da Via Berchet a Via Lorenzo Valla e da Via Fratelli Bandiera a Via Felice Cavallotti mentre l'asse Nord-Sud era segnato da Via Alessandro Poerio.
Gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale determinarono per tutta Roma un’accelerazione urbanistica che non risparmiò nemmeno la collina di Monteverde.
Così,  con il piano regolatore del 1931, votato alla massima resa edilizia  dei terreni, a fianco dei graziosi "villini", presero posto  nuove "palazzine" e "fabbricati". L'INCIS costruì  nuove case destinate agli impiegati dello Stato in Via Oreste Regnoli,  Via Francesco Saverio Sprovieri e Via Raffaello Giovagnoli, mentre la  nuova direttrice di Via Giacinto Carini attraversava piazza Rosolino  Pilo e sfociava in Via Barrili. Successivamente,  nel 1937, l’Istituto Autonomo Case Popolari costruì in Piazza Donna  Olimpia, allora separata da una vallata dal quartiere residenziale di  Monteverde, grandi palazzoni intensivi destinati ad ospitare le  persone provenienti dalle abitazione coinvolte negli sventramenti del  centro storico. Nel 1939 a piazza Rosolino Pilo furono edificati palazzoni  di otto piani che ne stravolsero le caratteristiche di piazza-giardino.  Si costruirono anche le nuove chiese: Nostra Signora de la Salette e  la nuova chiesa di S. Maria Regina Pacis. Ciò nonostante,  al confronto con altri quartieri romani, ancora all'inizio degli anni  Cinquanta, Monteverde Vecchio si poteva definire un’oasi tranquilla  ed isolata. Durante la guerra  le zone rimaste libere dall’edificazione furono sfruttate ancora come  orti per poi dare spazio a costruzioni negli anni 50 e 60.  Allora diversi villini vennero demoliti e sostituiti con palazzi di  molti piani e le aree verdi man mano scomparvero.Intanto, in tutto  questo fervore edificatorio, si sono perse completamente le tracce visibili  dell’antica catacomba, condannando questo importante monumento ad  un progressivo e sempre più pericoloso oblio. Proprio questa  consapevolezza, allora, ci ha spinti ad immaginare un progetto che potesse  divenire un "ponte di conoscenza" fra l'attuale quartiere  e i suoi abitanti, e le memorie storiche che esso ancora cela nel suo  sottosuolo. L'auspicio è che, anche attraverso questo nostro volume,  i Monteverdini e gli abitanti del Municipio XVI in genere possano tornare  ad interessarsi e ad attivarsi nella ricerca, tutela e valorizzazione  di ciò che di più prezioso il proprio territorio da secoli conserva:  le testimonianze della nostra storia comune.
 

 
 
La storia urbanistica dei quartieri di Roma è interessante, ma avrei voluto sapere di più sulle catacombe ebraiche, che danno il titolo all'articolo.
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