martedì 5 novembre 2013

Destini della letteratura (e delle arti). Un'intervista ad Alfonso Maria Nebuli

Abbiamo oggi il vivo piacere e il privilegio di pubblicare l'esclusiva intervista rilasciata dal grande scrittore Alfonso Maria Nebuli alla nostra Gaia Elettra Lucignani, in contemporanea con l'uscita sul numero di novembre del magazine digitale E-Lite, della Keiretsu Wordcom Press (edizione USIAN).

(Translated by G.Luca Chiovelli)


Roma (settore 2/enclave EuroForce), 4 ottobre 2031 (anno 11 post EW)



Alfonso Maria Nebuli tiene alla puntualità. "È una dote che risale sin dalla mia infanzia. Sia cronometrica" mi ha laconicamente e recisamente raccomandato durante la brevissima cam-com criptata. Ed è lui stesso, in persona, ad accogliermi sulla soglia del palazzo di Monteverde, lui, il new artist, l'iniziatore indiscusso dell'astoricismo, la nuova corrente letteraria dominante, e fashionist maître de goût a tempo perso, ma sempre con successo incontrastato.

"Voglia scusare il disordine e una certa agitazione fra il personale. Sono in partenza per Ibiza dove terrò un ciclo di conferenze".

Capisco da subito che la laconicità blasé per cui egli è noto nasconde solo un'estrema semplicità di modi. E una certa timidezza, laddove le rudezze dell'ardore artistico si stemperano con un'innata modestia. Un’attitudine che s'indovina subito dall'undestatement cromatico del look: il volto, ricoperto da una barba curatissima è altresì sopraffatto da un occhiale avvolgente dalla montatura in essenza di bambù thai; il pantalone grigio, canvas washed, entra in perfetto pendant con la t-shirt scura in jersey, vezzosamente asimmetrica; leggeri mocassini in camoscio con cristalli di Caledonia fasciano elegantemente i piedi. Il tutto in ossequio al suo dogma ‘Mai prendersi troppo sul serio, ma prendere tutto seriamente’, etica casual allo stesso tempo singolare e vivace, in grado di conquistare un pubblico raffinato e intellettuale che sa apprezzare la semplicità dell'eleganza.

Ci accomodiamo su due poltroncine in pelle, in una piccola dependance d'una più ampia sala.

Capisco, da come Nebuli scruta di sottecchi la meridiana digitale Givenchy da polso, che ho poco tempo a disposizione, ma, lo ammetto, l'emozione, dapprima dissolta dall'accoglienza amichevole, mi sopraffa nuovamente. Fremo. Questo non è un luogo qualsiasi, è il suo studio, l'autentica fucina della creazione, la spelonca del mago. Riconosco l’inimitabile bric-à-brac intuìto nell'edizione americana di Vogue 2.0, una squisita summa di tutte le tendenze più vive dell'arte contemporanea: la scrivania Biedermeier clonata in piuma di noce la cui superficie, scura e lucidissima, è appena increspata dal lucore dell'ultimissimo Ipad Tepes a plasma biosenziente; le tende di velluto autogenerato verde scuro, ricamate a mano da Benjamin Cemoli, in accordo delizioso col tappeto a polimeri cangianti; e riconosco, infine, con una certa trepidazione, una delle primissime creazioni del designer Jussi Litmanen, l'ormai introvabile Scomodino 2018, con il suo tettino a guglia magnetizzato e la cassettiera invertita.
La parete alle nostre spalle è quasi interamente occupata da un aerografo con dedica di Hector Servabo, il profeta dell'Altruismo, la nuova corrente visuale secondo i cui precetti sono gli stessi fruitori d'arte a contribuire alla stesura della composizione: un'intuizione geniale che annulla, dopo secoli di sopraffazione estetica, la desueta spaccatura fra compratore e autore. "L'arte non deve essere questione legata agli accademici", afferma Servabo "e l'autore, in essere solo per le vili spettanze del copyright, deve inchinarsi al gusto statistico rifiutando qualsiasi anelito d'originalità".
Alla nostra destra, su una grigia e bassa colonnetta a tortiglione, riposa un raro capolavoro, l'acclamato scandalo della Biennale 2020, il mucchio di pietre scheggiate 77/c, pezzo unico della scultrice nichilista Elsa von Klemperer.
"Una mia amica", prorompe subito Nebuli notando la mia ammirazione. "Elsa me ne ha fatto dono tre anni fa, dietro un giuramento imprescrittibile. Nessuno dovrà mai sapere cosa rappresentava l'oggetto pristino, dapprima amorevolmente scolpito e poi rifiutato e distrutto in un accesso di furia creatrice. D'esso restano solo queste tragiche spoglie, che, miracolosamente, si son disposte nel numero esatto di trentatré, cifra simbolicamente ominosa ..."
"Siamo tutti reduci dall'ultimo vernissage tenuto nel Bunker Queen Maxima a New Amsterdam" esclamo lievemente eccitata, "dove abbiamo venerato in silenzio la nuova collezione di Elsa: Trentatré mandala per una nuova alba. Si sussurra che i frantumi provengano da altrettanti gessi di membri maschili, calchi dai suoi numerosi amanti, quand'ella, colla foga della neofita, militava nella corrente, ora abiurata, del pornotradizionalismo. Trentatré! numero fatidico che torna! Una mirabile sintesi di maledettismo antiaccademico, rinuncia Zen e intemperanza femminista ..."
Nebuli sembra approvare dietro l'impenetrabile fissità delle lenti.
"Ora veniamo a lei. Confesso di non sapere dove cominciare ..."
"Dall'inizio, è preferibile", annota sornione.
"Accetto l'invito. La sua prima opera, Cronache da un'illuminazione confusa risente ancora del peso della tradizione letteraria. In esso, secondo recenti calcoli, vi sono più di centodue pagine scritte da lei personalmente, di suo pugno, ricorrendo a locuzioni originali ..."
"Ohimè, la giovinezza, l'ingenuità! Chi ne è esente? Vagheggiavo ancora la creazione autonoma, ricercavo con tenacia l'ispirazione. Addirittura materiale biografico! La supponenza mi spingeva folle dietro alla chimera dell'originalità. Ancora non avevo contezza della maledizione del post-postmoderno: tutto è già scritto e ogni periodo o giro di frase reca la colpa della citazione. È vero che le altre cento pagine della Cronaca sono copiate integralmente da altri autori, ma quelle centodue arroganti facciate in cui mi sforzo di sembrare nuovo e sorgivo perseguitano ancora i miei sogni".
"Il successivo racconto, però, è già indizio del suo stile più maturo. Esso mise in subbuglio l'intera intelligencija del blocco EuroComm ..."
"Zanna bianca, certo … un esperimento ancora acerbo, lo concedo, ma in cui le tematiche della mia arte già rifulgevano con nettezza".
"Ci fu chi parlò, piuttosto incautamente, di plagio ..."
"L'invidia è un mostro dagli occhi verdi, mia cara. La novità era troppo dirompente per i tempi. I critici, o, meglio, quel che ne restava, erano abituati, in malafede, ad elogiare la finta originalità. Come detto, tutto è già noto, non rimane che servirsi del prodotto e riadattarlo al mercato del gusto che è il solo padrone. Che dire? È l'inevitabile step della democrazia totale in cui siamo immersi. Come diceva Eliot: i poeti immaturi copiano, quelli maturi rubano. Ovviamente il mio scritto, benché quasi identico a quello, illeggibile, di London, è infinitamente più ricco e profondo ..."
"Si spieghi meglio, maestro ..."
"Parliamoci chiaro. Chi legge più tali cose? Quei periodi involuti, puerilmente moralisti ... quello stolido raccontino ... ebbene, io l'ho preso e gli ho ridonato la vita. Ricorderà la presentazione sontuosa a Dubai, la pubblica lettura dopo la sfilata, la cartoonization Pixney, i lanci mirati su Twigle, le lacrime della principessa Kate alla prima in Inghilterra quando Zanna, corgie reale, dopo aver salvato il proprio padrone dai perfidi terroristi ceceni, sopravvive alle ferite e riconosce i cuccioli della compagna Collie ... La mia stessa personalità ha operato la metamorfosi: da debole storiella animalista a universale apologo fruibile per le nuove generazioni ..."
"Zanna Bianca fu, quindi, il primo seme della sua poetica, il menardismo discreto ..."
"In un certo senso. Preferirei, per quell'opera, parlare tuttavia di menardismo galvanico. La letteratura del passato, abolita dal presente, è ormai un tessuto morto: siamo noi, pochi, felici e arditi, a ridonargli, in tal modo, vigore e attrattiva. Operai in tal senso anche nel mio secondo romanzo, Jacob and Lucy. Il materiale di base, dovuto a un autore milanese di due secoli fa, era praticamente inservibile fuori del contesto incui era stato ideato. Nelle mie mani divenne, con accorte varianti topiche, assolutamente elettrico. Come scrisse il compianto Umberto Eco, una delle mie anime ispiratrici: un luogo comune irrita, cento commuovono".
"È la storia, vogliamo ricordarlo, di una coppia bianca di Miami impedita nel proprio sogno d'amore dal villain Rodrigo McKay, collaborazionista del governo centrale ispanico dopo l'invasione messicana degli Stati del Sud ... Ancora una volta non mancarono le polemiche, specie per la realistica descrizione dello stupro di Lucy a opera dell'ambiguo Lord Unnamable o per la strage finale di chicanos nel Central Park. La critica del NYT, Jennifer Haizer, defini il romanzo ‘crocevia ultraista a mezzo tra Philip Roth e Tarantino’; Helveg Somerset preconizzò una nuova, lunga epoca di riedizioni galvaniche, Martine Rosenbaum si spinse a parlare di definitiva perla nera del modernismo-post-pop del consumo di massa ..."
"Un successo inevitabile. In realtà le resistenze alla mia estetica, pur deboli, vennero  solo da sparuti ambienti di retroguardia, nostalgici di un'era definitivamente defunta ... Come se qualcuno leggesse ancora Milton e Tolstoj! La Storia è ciò che s'impone nel tempo; assecondarla è nostro compito. Ma è bene accettare con serenità anche le critiche più biliose: giusto così. Io aspiro alla vera arte e la vera arte rimane urtante e divisiva. Approfitto dell'occasione (spero, benignamente, che mi conceda questo inciso) per pagare ulteriormente il mio debito di gratitudine al decano dei critici italiani, Antonio D'Orrico, l'unico a riconoscere subito la novità dirompente del romanzo. Egli vergò, in tempi difficili, parole profetiche: "Alfonso Maria Nebuli è un genio. Il Mar Rosso del conformismo estetico si è finalmente aperto. Nebuli è un genio, lo ripeto. E ha solo ventotto anni ..."
"Ma lei non si fermò qui ..."
"Non ero soddisfatto. Volevo di più. Vede", prosegue pacato, "il menardismo galvanico è costretto dalle ritenutezze di una singola opera. Mi dissi: perché non ambire alla totalità? Fu allora ch'ebbi l'intuizione di sublimarlo in sincretismo astorico; nell’astoricismo l'oggetto dell'elaborazione è l'intera letteratura universale. Tutto ciò che è stato scritto è un guardaroba di cui servirsi. In tal senso mi arrogo il merito di aver forgiato l'etica definitiva dell'ultimo autore possibile: l'autore democratico, figlio di twigle e della disfatta critica, il cui compito consiste nel riesumare ed elettrizzare, appunto, tramite la propria inesausta personalità creatrice, ciò che langue nella dimenticanza: la letteratura scolastica, ponderosa, illeggibile, non più goduta a causa della propria straniante rugginosità: Omero, Shakespeare, Boccaccio, le Brontë, puri nomi oramai. Eventi mondani, happenings, situazionismo pubblicitario, provocazioni, interviste, sinergie cine-pc, sondaggi pre-pubblicazione, edizioni online on demand: arte, desiderio delle masse e pubblicità formano un circolo serpentino dove l’inizio e la fine coincidono e si confondono. Quel pallido precursore, McLuhan, peccava di esitazioni: il mezzo è tutto, senza messaggio. Il mio capolavoro, Il sangue di Amleto, parte da tutte queste riflessioni ..."
"L'apporto originale si riduce a neanche duecento pagine, su un totale di milleottocento, oltre ai geniali e doverosi riadattamenti al gusto contemporaneo. Un tour de force magistrale. Ricordiamo la trama: Master Anthony, al fine di annettere l'impero economico dei rivali della Elsinore Corporation, in combutta con Gertrud, detentrice della maggioranza del pacchetto azionario, stermina l'intero consiglio d'amministrazione nordico. L'AD Amleto, sopravvissuto alla strage, nonostante la delazione di Polonio, sembra sottomettersi all'usurpatore, ma, in combutta con lo spietato Johann Buddenbrook, console di Lubecca e vicepresidente del Parlamento Europeo, esige la propria vendetta. Alla testa di un manipolo di truppe mercenarie d’assalto della Blackwater invade il Feudo di Sicilia e Nord Africa e assedia Acitrezza. In un duello epico uccide il rampollo di master Anthony, Laerte Malavoglia, e ne strazia il cadavere sotto le mura della città facendolo trascinare dal proprio Hummer. Poi, dopo la conquista della corporation meridionale, devastato dall'amore per Nedda, si lascia uccidere da Achille di Nortumbria, ma riesce, quale ultima volontà, a trasmettere la corona della holding al giovanissimo Hanno Buddenbrook, suo confidente fedele e anima affine ...
"In realtà ho già dimenticato quella mia fatica, il successo, i riconoscimenti, le trasposizioni cam-web-cinema ... La ricompensa, in my modest opinion, si cela nel lavoro indefesso, da svolgere contro tutti i misoneismi ... Ora, poi, sono concentrato sul mio nuovo romanzo-poesia-confessione ... la mia magnum opus, un'elaborazione certosina, che mi assorbe tiranna da quattro, lunghi anni ..."
"Davvero? Può darcene, per sommi capi, s'intende, una piccola anticipazione? Per i nostri lettori ... una scheggia ... un semplice spunto ..."
Nebuli esita, si passa un dito sulle labbra in una smorfia che tradisce un breve fastidio. Poi cede. È la svolta: avremo l'anticipazione del new novel da duecento milioni di copie, in contemporanea uscita web-cine-pc-cam nei centonove paesi del blocco USIAN-EUROCOMM!
"Tratta di un grande amore. Di una passione inestinguibile. Oltre la vita e la morte. Vi ho trasfuso tutto me stesso, la mia esistenza, le mie aspirazioni, la mia anima. È una summa definitiva, dolorosa e pietosa, forse un addio al secolo ... Il protagonista dovrà calarsi agli inferi dannati del proprio Io per poi lentamente ascendere alla purificazione celeste e rendersi degno in tal modo della propria amata, divina creatura ..."
Si ferma quasi trasognato. Riprende il controllo, capisce di aver detto troppo.
"Maestro", esclamo incredula e definitivamente rapita dall'eccitazione , "non vorrà dire ..."
"Basta!", s'infiamma subito. "Ora basta. Mi comprenda. È una parte della mia vita. Forse la vita stessa. L'opera totale. Non posso aggiungere altro. Mi scusi per la breve intemperanza". Si alza seccamente. Mi dà le spalle. Un congedo inappellabile.
Capisco. Sono stata importuna. Farfuglio delle scuse, giustifico il mio assillo con l'avida richiesta del pubblico.
In fretta vengo accompagnata fuori dalla governante Maria Teresa.
Intravedo, ultima immagine, il Maestro già seduto al tavolo di lavoro, il viso intelligente illuminato dallo schermo dell'Ipad Tepes, l'indice pensoso puntato alla tempia sinistra, assorto nelle gravezze estenuanti dei preparativi, dalle incombenze d'una vita sospesa tra il ruolo di socialite intellettuale e pioniere dell'ultra-avanguardia.
Non una parola di commiato.
Passo la soglia, presidiata dai levrieri afgani della casa, Gabbo e Diavolo.
Fuori è già sera. Conservo in me, tesoro prezioso, le immagini di un pomeriggio memorabile.

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