G. Luca Chiovelli
Emily Jane Brontë (Thornton, 30 luglio 1818 – Haworth, 19 dicembre 1848).
Emily Jane Brontë (Thornton, 30 luglio 1818 – Haworth, 19 dicembre 1848).
Ci sono oceani, mari, mari interni, mari aperti
all'oceano, mari quieti, burrascosi, e torrenti, laghi, laghi alpestri,
vulcanici, paludosi; Emily Brontë è un piccolo lago, circoscritto, quieto e profondo,
che, spesso, qualcuno confonde con altri laghetti simili. Una falsa
impressione. Sono quegli altri che assomigliano a lei. Perché Emily Brontë è un
paradigma, un modello dell'artista moderno. Una prefigurazione accecante,
completa. E la conferma di ciò che abbiamo detto a proposito di Baudelaire,
Dickinson o Kavafis.
Doppia
conferma.
La
prima. Chi scrive, da almeno cinque secoli, lo fa da una posizione sempre più
secondaria, nascosta, irrilevante; eccentrica rispetto al fragore della
corrente vitale dell'umanità. Lo scrittore (l'artista in genere) è un
decadente; da quando, cioè, la poesia divenne l'ancella sempre meno tollerata
della vita vera. Non c'era bisogno delle mattane di Oscar Wilde o dei teppismi
di D'Annunzio per persuaderci. Emily fu una decadente. La sua opera consiste in
un romanzo e in duecento poesie, scritte su quadernetti, in sotterfugio,
lontano dai clamori del secolo; lei chiamava la sua produzione 'l'opera',
perché non tollerava qualsiasi riferimento biografico che potesse rivelare la
propria personalità. Emily Brontë, se avesse potuto, sarebbe scomparsa
addirittura, l'intera esistenza assorbita da un romanzo e da duecento poesie.
Vita e arte coincidono, disse il maestro del Decadentismo, e cosi è. Niente
allori, né monumenti più duraturi del bronzo per Emily, solo i rari frutti di
un'esistenza minuscola, ignorata da un mondo troppo preso dalle cure
quotidiane.
La
seconda. Per creare poesia occorre crearsi una potente predisposizione
dell'animo, una lente particolare traverso cui trasfigurare tutto ciò che si
vede. Come si arriva a tale predisposizione? Per innata inclinazione
spirituale, forse. Oppure per caso, grazie alle sorti biografiche. Chissà
quante Emily sono nate nel mondo, con lo stesso genio, la stessa sensibilità e non
hanno scritto nulla. Perché non erano abbastanza istruite, o avevano altri
padri e madri, oppure non soffrirono certi lutti e non vissero affacciate sulla
brughiera, oppure, incredibile, perché il padre non regalò soldatini al proprio
fratello.
I
soldatini. Questa è da spiegare.
Nel
1820 nasce Anne, sesta e ultima nata della famiglia Brontë; il papà è il
reverendo Patrick Brontë, la mamma si chiama Maria Branwell. Nel 1820 Emily
Jane ha due anni; gli altri quattro fratelli sono Maria, di sei anni,
Elizabeth, di cinque, Charlotte, di quattro, e Branwell, unico maschio, di tre.
Nello
stesso anno il reverendo Patrick Branwell ottiene la curatela della chiesa di
San Michele e tutti gli Angeli (Saint Michael and All Angels) a Haworth, nello
Yorkshire. Nella primavera del 1820, quindi, gli otto componenti della famiglia
si trasferiscono in una bella costruzione alla fine della strada principale
della cittadina, al limitare della stessa: se il fronte della canonica guarda verso
Haworth da una prospettiva privilegiata, eccentrica e quasi aristocratica, il
retro si apre all'infinita e suggestiva desolazione della brughiera: un luogo,
questo, che diverrà la meta di lunghe passeggiate e costituirà lo sfondo
interiore su cui far risaltare le proprie creazioni letterarie.
L'anno
successivo, 1821, muore la mamma. Di tisi.
Nel
1825 la seguiranno le sorelle maggiori di Emily, Maria e Elizabeth. Ancora
tisi.
A
sette anni l'orizzonte del paesaggio inglese, che sfinisce dolcemente l'occhio
con la propria immutabilità, rotta solo dal timido fiorire delle eriche, e i
lutti dolorosissimi, hanno già macerato psicologicamente l'animo di Emily Brontë
e delle sorelle. È così. Emily, Anne e Charlotte sono già pronte per la poesia
e la letteratura. Perché riescano a sfruttare questa predisposizione potente
occorre un casuale motivo scatenante. L'occasione. Che, nel nostro caso, è
futile e commovente insieme.
Il
5 giugno 1826 papà Patrick, al ritorno da un viaggio a Leeds, reca un bel
regalo a Branwell: una scatola di soldatini; i quattro fratelli li ribattezzano
prontamente Young men, giovanotti. Ogni fratello ne sceglie uno, con cura, e
gli assegna un nome di fantasia: Branwell, dagli aneliti gloriosi e faciloni,
chiama il proprio Bonaparte; Charlotte, Duca di Wellington; la piccola Anne,
Waiting Boy; Emily lo chiamerà Gravey, per il tono accigliato e pensoso, quindi
William Edward Perry, ricordandosi delle imprese dell'omonimo esploratore
artico.
I
quattro fratelli non si fermano qui. I soldatini si caricano delle proiezioni
delle immaginazioni particolari, correlativi oggettivi di fantasie sfrenate; i Brontë
ammantano le ignare statuine di piombo di personalità ricchissime, immaginano
avventure, saghe fantastiche, improvvisano rumorose messe in scena; coinvolgono
Gravey e compagni in cicli narrativi complessi: i grandi, Branwell e Charlotte,
creano il ciclo di Glasstown, città di vetro, e di Angria; le piccole, Emily e
Anne, quello di Gondal e Gaaldine.
Nel
1934 Emily e Anne, sedici e quattordici anni, scrivono la loro prima pagina di
diario in comune: "I Gondals esplorano la parte interna di Galdine". A
quel tempo Emily forse già scrive delle poesie; tre anni dopo, seconda pagina:
"Gli imperatori e le imperatrici di Gondal e Gaaldine si preparano a
partire si preparano a partire da Gaaldine per Gondal per assistere
all'incoronazione che vi avrà luogo il 12 luglio". Gondal, immaginaria
isola del Pacifico divisa in regni concorrenti, diviene luogo di scontri
dinastici, amori, vendette.
Di
tale mondo, medioevale, onirico, eroico, non abbiamo una traccia in prosa:
peccato; in caso contrario avremmo avuto, forse, il primo fantasy moderno;
sappiamo solo che i protagonisti (Julius de Brenzaida, Augusta Almeda, Fernando
de Samara) compaiono in parte delle duecento poesie di Emily (le poesie del
ciclo di Gondal); e sappiamo che tali fantasie tracimarono anche in Cime tempestose: in fondo cos'è
l'Heathcliffe adulto se non un principe di Gondal?
Nel
1846 escono i Poems by Currer, Ellis and
Acton Bell (ovvero Charlotte, Emily e Anne Brontë). Il libretto vende due
copie.
Ma
il dado è tratto. L'anno seguente vede la pubblicazione di Cime tempestose (quanti splendidi soldatini in esso) e Agnes Grey (di Anne); Charlotte, che ha
rifiutato di pubblicare a pagamento The
professor, sta, invece, incubando una nuova creazione: Jane Eyre.
Morte,
solitudine, soldatini, quali animi hanno forgiato! Fuori del mondo, contro di
esso, avendo come sola filosofia i propri limitati mondi di ventenni solitarie.
Come già notammo a proposito di Yeats, non importa quale logica sia sottesa
alla propria poetica, purché sia coerente e pura e senza compromessi.
Il padre sopravviverà a tutti i suoi figli: Branwell si spegnerà nel settembre del
1848, distrutto dall'alcool, dalle delusioni, dalla malattia; Emily lo seguirà
in dicembre; Anne l'anno successivo. Charlotte resisterà alla maledizione della
tubercolosi sino al 1855, alle soglie dei quarant'anni. Visse per pubblicare
parte delle poesie della sorella minore Emily e donarle un breve epitaffio di
parole. Eccone uno stralcio:
"Mia
sorella Emily non aveva un carattere espansivo; neppure quanti le erano più
cari e più vicini potevano impunemente ... entrare nel segreto della sua mente
e dei suoi sentimenti ... sotto un aspetto modesto, una cultura priva di
raffinatezza e gusti spontanei, si celavano una forza, un fuoco segreto che
avrebbero potuto modellare la mente e infiammare le vene di un eroe ... non
aveva alcuna saggezza mondana; non era adatta alla concretezza della vita ...
tra lei e il mondo sarebbe sempre stato necessario un interprete ... Mia
sorella Emily amava la brughiera. Ai suoi occhi splendevano fiori piu luminosi
della rosa tra le più cupe distese d'erica; da un piatto avvallamento sul
livido fianco di una collina la sua mente traeva un paradiso terrestre. La
desolata solitudine nascondeva per lei molte amate gioie; prima fra tutte, e
più amata, la libertà".
Ed
ecco quattro brevi poesie di Emily.
Traduzione di Giovanni Anchiseo.
I
Sogno,
dove sei ora?
Tanto
tempo è trascorso
Da
quando la luce svanì
Dalla
tua fronte d'angelo
Ohimè,
ohimè
Eri
così lucente e bello!
Non
avrei mai creduto che
Il
ricordo tuo portasse solo dolore!
La
tempesta e i raggi del sole
Il
divino crepuscolo estivo
La
notte, immobile in un silenzio solenne,
La
luna, piena e scintillante e senza nubi,
Una
volta tutto si legava a te,
E ora solo una pena indicibile.
Visione
perduta! Basta ...
Non
puoi più splendere ormai (1)
II
Cadete,
foglie, cadete; e voi, fiori, svanite ...
Allungati
notte, giorno sii breve;
Ogni
foglia mi parla di felicità
Volando
via dall'albero d'autunno.
E
sorriderò quando fiocchi di neve
Sbocceranno
dov'era la rosa;
Canterò quando il declino della notte
Annuncerà
un giorno ancor più buio (2)
III
Verrò
quando sarai più triste
E
solo giaci in una camera buia
Quando
la pazza allegria del giorno sarà svanita
E
il sorriso della gioia bandito
Dalla
malinconia gelida della notte.
Verrò
quando la verità del cuore
Avrà
signoria piena, equanime,
E
il mio influsso su di te stendendosi
Ti
porterà via l'anima
Acuendo
la pena, congelando la gioia
Ascolta,
giunto è il tempo
L'ora
terribile
Non
senti nell'anima scorrere
Un
fiume di strane sensazioni
Che
- miei araldi - annunciano
Un
potere più aspro? (3)
IV
O
sera, perche è cosi triste la tua luce?
Perche
l'ultimo raggio di sole così gelido?
Silenzio
... Il nostro sorriso è allegro, come sempre,
Ma
il tuo cuore invecchia (4)
(1)
O dream, where art thou now?
Long years have passed away
Since cast from off thine angel brow
I saw the light decay.
Alas! alas for me!
Thou wert so bright and fair,
I could not think thy memory
Would yield me nought but care!
The moonbeam and the storm,
The summer eve divine,
The silent night of solemn calm,
The full moon's cloudless shine,
Were once entwined with thee,
But now with weary pain.
Lost vision! 'tis enough for me
Thou canst not shine again.
(2)
Fall, leaves, fall; die, flowers,
away;
Lengthen night and shorten day;
Every leaf speaks bliss to me
Fluttering from the autumn tree.
I shall smile when wreaths of snow
Blossom where the rose should grow;
I shall sing when night’s decay
Ushers in a drearier day.
(3)
I'll come when thou art saddest,
Bring light to the darkened room,
When the rude day's mirth has
vanished,
And the smile of joy is banished
From evening's chilly gloom.
I'll come when the heart's worst
feeling
Has entire, unbiassed sway,
And my influence o'er thee stealing,
Grief deepening, joy congealing,
Shall bear thy soul away.
Listen! 'tis just the hour,
The awful time for thee.
Dost thou not feel upon thy soul
A flood of strange sensations roll,
Forerunners of a sterner power,
Heralds of me?
(4)
O evening, why is thy light so sad?
Why is the sun's last ray so cold?
Hush; our smile is as ever glad,
But thy heart is growing old.
Nessun commento:
Posta un commento