Maria Cristina Reggio
Valter Malosti mette in scena al
Vascello il poemetto di Shakespeare Lo stupro di
Lucrezia, pubblicato nel 1594, nel quale il poeta
drammaturgo narrava in versi la violenza e il dolore di un abuso, antico e
tragico come la storia dellʼumanità: una giovane e bella nobildonna dellʼantica
Roma, Lucrezia, moglie di tal Collatino, viene fatta oggetto di uno stupro,
compiuto da SestoTarquinio, figlio del re Tarquinio detto il Superbo, dopo che il di lei marito, nei discorsi
dopo una cena, ne ha elogiato la
bellezza e la castità. In un
palcoscenico pressoché buio, tre personaggi sono illuminati con poche
improvvise luci di taglio che ne immobilizzano le pose. Uno è il
lettore-narratore (lo stesso attore e regista Valter Malosti), che resta per
tutto il tempo seduto davanti a una scrivania, mentre gli altri due, una donna
(la brava Alice Spisa, appena diplomata alla scuola per attori tenuta dallo
stesso Malosti al Teatro Stabile di Torino) e un giovane (lʼatletico Jacopo
Squizzato, con lo stesso percorso di studi) si muovono nello spazio del
palcoscenico, compiendo una cruda, anzi crudissima e cruenta azione teatrale:
dopo pochi minuti dallʼinizio dello spettacolo, infatti, i due corpi nudi degli
attori inscenano uno stupro che, nella reale nudità della loro carne esposta,
imprime nello sguardo dello spettatore, pur avvezzo (o avvezza) alle nudità
esibite attraverso molteplici media, una muta vergogna, un imbarazzo di voyeur,
protetto dal buio della platea. Già, perché il nudo a teatro è ben altra cosa
rispetto al cinema o alla tv, e soprattutto in un teatro come il Vascello, dove
la platea non è innalzata sul palco mediante alcun dislivello.
Qui non cʼè distanza tra attore e spettatore,
e questʼultimo ha una visione dallʼalto, perspicua e molto ravvicinata. Di solito, inoltre, nel teatro
contemporaneo, la nudità non si associa allʼatto sessuale, ma, piuttosto, viene
mostrata con un intento di "avanguardia", nel senso di andare oltre,
oltrepassare la stessa nudità e lʼerotismo evocato. Diventa un atto, una rappresentazione
nella rappresentazione, paradosso del mostrarsi senza abiti, senza protezioni,
nudi senza identità sociale. Invece qui i due corpi si offrono allo sguardo discreto
dello spettatore e, soprattutto, si direbbe, delle spettatrici, proprio per
mostrar loro, apparentemente senza finzioni, lʼatto primario, i movimenti del
coito che al cinema siamo abituati a vedere spesso con una musica di
sottofondo. In effetti il risultato è
scabroso e molto realistico, ma vien da chiedersi quanto il teatro abbia
bisogno di realtà pura e cruda, e quanto, piuttosto, non sarebbe preferibile un
teatro che accolga e casomai ripensi il proprio statuto finzionale,
declinandone le infinite possibilità. Ciò
che resta impresso nella memoria di questa trasposizione teatrale del poemetto
shakespeariano, è lʼimmobilizzazione dei gesti, la resa "statuaria"
quanto improvvisa della dinamica dei movimenti, ripetuti sempre uguali, e in
taluni casi con un vero esercizio (che non vorrei chiamare effetto) di ralenti,
con cui il bellissimo corpo di madreperla della giovane donna sfugge e viene
agguantato dal suo predatore come una novella Proserpina ellenistica con il suo
marmoreo Plutone: lampi accecanti di dolore in cui la tensione del corpo vero rincorre
e sfiora la bellezza di quelli inventati da Bernini per Scipione Borghese allʼinizio
del 1600, in un tempo non molto lontano da quello in cui scriveva
Shakespeare. Bellissima la voce del
lettore-onnisciente Valter Malosti, mai descrittiva, sempre distaccata e
sapiente, alterata talvolta, come pure quelle dei due attori, da effetti di
riverbero e intrusioni di glitch e altri rumori. Rumori e suoni che trasportano
il dramma in una quotidianità pop, che necessita di microfoni e altoparlanti
per accentuare la sua aderenza al vissuto reale e contemporaneo, tanto vero da
affiancare, agli attrezzi di scena, un vero, funzionante e tanto pop,
frigidaire anni Cinquanta. Oggetti e
suoni ridondanti, rispetto alla puntualità e precisione della voce del lettore,
delle parole del poeta e degli splendidi corpi degli attori.
Il poemetto Lo stupro
di Lucrezia, nella traduzione di
Gilberto Sacerdoti, si può leggere online nella pagina web Garzanti libri dedicata allʼindirizzo http://www.garzantilibri.it/articoli_main.php?sezione=Percorsi%20di%20lettura&pag=1&CPID=11
Beati gli spettatori che godranno di quelle finzioni teatrali di cui parla l'autrice della recensione. In poche righe si rinvia a palcoscenici di meraviglie, sempre più rari, ricordando che al di là del quotidiano pop c'è l'altro mondo del teatro, le infinite possibilità dei "corpi inventati".
RispondiElimina"Di solito, inoltre, nel teatro contemporaneo, la nudità non si associa allʼatto sessuale, ma, piuttosto, viene mostrata con un intento di "avanguardia", nel senso di andare oltre, oltrepassare la stessa nudità e lʼerotismo evocato. Diventa un atto, una rappresentazione nella rappresentazione, paradosso del mostrarsi senza abiti, senza protezioni, nudi senza identità sociale. Invece qui i due corpi si offrono allo sguardo discreto dello spettatore e, soprattutto, si direbbe, delle spettatrici, proprio per mostrar loro, apparentemente senza finzioni, lʼatto primario, i movimenti del coito che al cinema siamo abituati a vedere spesso con una musica di sottofondo. In effetti il risultato è scabroso e molto realistico, ma vien da chiedersi quanto il teatro abbia bisogno di realtà pura e cruda, e quanto, piuttosto, non sarebbe preferibile un teatro che accolga e casomai ripensi il proprio statuto finzionale, declinandone le infinite possibilità." Sono perfettamente d'accordo!!!
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