G. Luca Chiovelli
Nel 1521, alla vigilia di Ferragosto, Hernan Cortés espugna Tenochtitlán, capitale dell'Impero Azteco. Quella che, per ammissione dello stesso Cortés, era la città più bella del mondo, viene rasa al suolo.
Il conquistatore lasciò ai posteri alcune considerazioni:
"Intendevo attaccarli e ucciderli tutti ... decisi di penetrare in città poco prima dell'alba e distruggere il più possibile ... la nostra foga di distruzione ... nelle strade si alzavano mucchi di cadaveri ... fummo costretti a camminarci sopra ..."
In appena mezzo secolo la popolazione del centro America collassò da 28 a 4 milioni.
I libri, i monumenti e la storia della civiltà mexica si dissolsero in polvere e cenere.
I sopravvissuti alla guerra, alla fame e alle pestilenze furono asserviti allo sfruttamento del Nuovo Reame di Spagna: piantagioni e miniere reclamavano con forza i loro schiavi.
I tesori dell'intelligenza e della terra, invece, vennero sequestrati e recati in Europa: oro, argenti, gioielli, vesti, uomini, bambini, animali, frutta e bacche esotiche: fra queste ultime lo xitomatl, succoso e giallo: un pomo rigonfio, dorato, dissetante, gustoso. In spagnolo xitomatl tramutò in tomatl, quindi in tomate (come in francese e tedesco) da cui l'inglese tomato. In italiano, ovvio, pomi d'oro.
In Italia il pomo d'oro arriva nel 1596 (a Napoli, la spagnola Napoli) e abbellisce i davanzali come pianta ornamentale. Fra le mani spagnole e italiane, ghiotte di incroci e varietà, la bacca diviene definitivamente rossa. E commestibile. La plebe se ne infischia dell'ikebana e scopre la novità americana. Chef, gourmet, filologi della salsa e dotti del cibo, invece, si svegliano lentamente dal torpore, sbadigliando sbadati, come il giovin signore di Parini: il grande cuoco Vincenzo Corrado nota (1815) che il popolo, irretito dallo stomaco, già abbina il pomo d'oro a maccheroni e pizza: trasfonde, perciò, la rivelazione nei suoi ricettari; Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino (1839), fine gastronomo, codifica il ragù; s'avanza, infine, il piatto transnazionale par excellence: la pizza, rossa di xitomatl, e riverberata in combinazioni innumerevoli.
A quelle date gli Aztechi sono già finiti nel cassetto a scomparsa della dimenticanza.
Nel 1992 Manuel Vázquez Montalbán, letterato, comunista e raffinato crapulone, entro le cui vene scorre - suo malgrado - il sangue bollente dei conquistatori, erompe in un divertente panegirico del pomodoro; o meglio: del pane e pomodoro:
Ovviamente Montalbán (in quanto Montalbán: pace all'anima sua) non era tenuto a ricordare lo xitomatl; in quanto spagnolo forse sì; in quanto spagnolo e comunista sicuramente sì: eppure anch’egli dimenticò le ascendenze di un frutto talmente usuale sulle nostre tavole da farcelo ritenere europeo e di nostra proprietà, italiana o spagnola. E invece era il frutto - suo malgrado - di una rapina cruenta e abietta.
D'estate ci godiamo la caprese, l'insalata, e la sera, al ristorantino, una rassicurante pizza: capricciosa, rustica, boscaiola o, magari, napoletana (potremmo dire: spagnola).
Invitante, profumata; rossa di pomi d'oro: che, se ci pensate bene, e non conoscete Cortés, è un bel controsenso: ma come? Pomi d'oro, va bene, ma perché in realtà sono rossi, di un rosso evidente, plateale, inconfutabile? Cos'è questa storia?
Una storia beffarda, risponderemo, come la Storia maggiore: spietata, immemore, ingiusta.
Oggi i pomidoro per la nostra insalata e per la nostra pizza estive li raccolgono gli ultimi, come sempre - africani, disoccupati, inoccupati, bengalesi: sono, per il volgere del Saṃsāra dell'iniquità, gli schiavi e i vinti dei tempi a venire, i nuovi Aztechi.
Facciamo pace con Montalbán.
Montalbán, scrittore, comunista e crapulone, stringe la fetta di pane raffermo per impregnarla meglio d'olio. Con i polpastrelli delle dita esercita una dolce pressione sulla crosta della larga fetta: la mollica, perciò, già infracidita dai succhi dello xitomatl, s’imbeve di umori aciduli, salati e vellutati al tempo stesso.
Montalbán, sono sicuro, compiva questo gesto già da ragazzino, quando non era né comunista né scrittore né crapulone; e neanche l’ispirazione per un fittizio commissario siciliano di Vigata.
Stringere il pane, quello del pane e pomodoro, è, infatti, un gesto dettato non dall’esperienza, ma dall’olio.
Io e Montalbán, lo spagnolo Montalbán, l’abbiamo condiviso per decenni, senza conoscerci. Era l'olio, il filo d'olio, giallino, sottile, perfetto e implacabile - quello che stillava dalle vecchie caraffe di casa - a imporci tale liturgia gestuale.
L'olio d'oliva, comune alla Spagna e all'Italia da due millenni. Forse più. L'olio: più antico della Croce e della Beata Vergine Maria.
Le giare d'olio spagnolo, a milioni, sbarcavano a Roma almeno dai tempi del primo imperatore: Ottaviano Augusto; olio – milioni di tonnellate d'olio, per secoli - olio i cui contenitori - innumeri anch'essi - si accatastarono a Testaccio (ripetiamolo: per secoli!), sino a formare una collina - o un monte. Il Monte dei Cocci.
Per duemila anni (e più) gli antenati di Montalbán, e i miei antenati, strizzarono insieme il pane mollo d'acqua; e d'olio.
Duemila anni fa gli spagnoli erano i servitori di Roma e accudivano quei cespugli umili e senza pretese per noi, allora padroni del mondo (Te pido disculpas, Manuel).
Millecinquecento anni dopo sarà la volta degli Aztechi a servire: a rifornire i nuovi aguzzini (gli Spagnoli stavolta) di oro, stoffe, esseri umani e, dulcis in fundo, pomodoro (o xitomatl).
Un’ulteriore scorreria, insomma, ebbe a perfezionare la leggendaria semplicità del pane e olio per donarci pane, olio e pomodoro.
Furono necessari dieci congiurati (tre imperi, tre popoli, due continenti e due oceani, Atlantico e Mediterraneo), qualche milione di morti e quasi duemila anni per ordire il piatto dei poveri più sopraffino.
Nel 1521, alla vigilia di Ferragosto, Hernan Cortés espugna Tenochtitlán, capitale dell'Impero Azteco. Quella che, per ammissione dello stesso Cortés, era la città più bella del mondo, viene rasa al suolo.
Il conquistatore lasciò ai posteri alcune considerazioni:
"Intendevo attaccarli e ucciderli tutti ... decisi di penetrare in città poco prima dell'alba e distruggere il più possibile ... la nostra foga di distruzione ... nelle strade si alzavano mucchi di cadaveri ... fummo costretti a camminarci sopra ..."
In appena mezzo secolo la popolazione del centro America collassò da 28 a 4 milioni.
I libri, i monumenti e la storia della civiltà mexica si dissolsero in polvere e cenere.
I sopravvissuti alla guerra, alla fame e alle pestilenze furono asserviti allo sfruttamento del Nuovo Reame di Spagna: piantagioni e miniere reclamavano con forza i loro schiavi.
I tesori dell'intelligenza e della terra, invece, vennero sequestrati e recati in Europa: oro, argenti, gioielli, vesti, uomini, bambini, animali, frutta e bacche esotiche: fra queste ultime lo xitomatl, succoso e giallo: un pomo rigonfio, dorato, dissetante, gustoso. In spagnolo xitomatl tramutò in tomatl, quindi in tomate (come in francese e tedesco) da cui l'inglese tomato. In italiano, ovvio, pomi d'oro.
In Italia il pomo d'oro arriva nel 1596 (a Napoli, la spagnola Napoli) e abbellisce i davanzali come pianta ornamentale. Fra le mani spagnole e italiane, ghiotte di incroci e varietà, la bacca diviene definitivamente rossa. E commestibile. La plebe se ne infischia dell'ikebana e scopre la novità americana. Chef, gourmet, filologi della salsa e dotti del cibo, invece, si svegliano lentamente dal torpore, sbadigliando sbadati, come il giovin signore di Parini: il grande cuoco Vincenzo Corrado nota (1815) che il popolo, irretito dallo stomaco, già abbina il pomo d'oro a maccheroni e pizza: trasfonde, perciò, la rivelazione nei suoi ricettari; Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino (1839), fine gastronomo, codifica il ragù; s'avanza, infine, il piatto transnazionale par excellence: la pizza, rossa di xitomatl, e riverberata in combinazioni innumerevoli.
A quelle date gli Aztechi sono già finiti nel cassetto a scomparsa della dimenticanza.
Nel 1992 Manuel Vázquez Montalbán, letterato, comunista e raffinato crapulone, entro le cui vene scorre - suo malgrado - il sangue bollente dei conquistatori, erompe in un divertente panegirico del pomodoro; o meglio: del pane e pomodoro:
"È indispensabile che tutti gli esseri e tutti i popoli saggi della terra capiscano che pane e pomodoro è un paesaggio fondamentale dell'alimentazione umana. Piatto peccaminoso per eccellenza perché comprende e semplifica il peccato rendendolo accessibile a chiunque. Piatto peccaminoso in quanto può significare un'alternativa a tutto ciò che è trascendente, a tutto ciò che è pericolosamente trascendente, se diventa cultura della negazione. Non fate la guerra ma pane e pomodoro. Non votate per la destra ma mangiate pane e pomodoro. No alla NATO e sì al pane e pomodoro. Ovunque e sempre"
Ovviamente Montalbán (in quanto Montalbán: pace all'anima sua) non era tenuto a ricordare lo xitomatl; in quanto spagnolo forse sì; in quanto spagnolo e comunista sicuramente sì: eppure anch’egli dimenticò le ascendenze di un frutto talmente usuale sulle nostre tavole da farcelo ritenere europeo e di nostra proprietà, italiana o spagnola. E invece era il frutto - suo malgrado - di una rapina cruenta e abietta.
* * * * *
D'estate ci godiamo la caprese, l'insalata, e la sera, al ristorantino, una rassicurante pizza: capricciosa, rustica, boscaiola o, magari, napoletana (potremmo dire: spagnola).
Invitante, profumata; rossa di pomi d'oro: che, se ci pensate bene, e non conoscete Cortés, è un bel controsenso: ma come? Pomi d'oro, va bene, ma perché in realtà sono rossi, di un rosso evidente, plateale, inconfutabile? Cos'è questa storia?
Una storia beffarda, risponderemo, come la Storia maggiore: spietata, immemore, ingiusta.
Oggi i pomidoro per la nostra insalata e per la nostra pizza estive li raccolgono gli ultimi, come sempre - africani, disoccupati, inoccupati, bengalesi: sono, per il volgere del Saṃsāra dell'iniquità, gli schiavi e i vinti dei tempi a venire, i nuovi Aztechi.
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Facciamo pace con Montalbán.
Montalbán, scrittore, comunista e crapulone, stringe la fetta di pane raffermo per impregnarla meglio d'olio. Con i polpastrelli delle dita esercita una dolce pressione sulla crosta della larga fetta: la mollica, perciò, già infracidita dai succhi dello xitomatl, s’imbeve di umori aciduli, salati e vellutati al tempo stesso.
Montalbán, sono sicuro, compiva questo gesto già da ragazzino, quando non era né comunista né scrittore né crapulone; e neanche l’ispirazione per un fittizio commissario siciliano di Vigata.
Stringere il pane, quello del pane e pomodoro, è, infatti, un gesto dettato non dall’esperienza, ma dall’olio.
Io e Montalbán, lo spagnolo Montalbán, l’abbiamo condiviso per decenni, senza conoscerci. Era l'olio, il filo d'olio, giallino, sottile, perfetto e implacabile - quello che stillava dalle vecchie caraffe di casa - a imporci tale liturgia gestuale.
L'olio d'oliva, comune alla Spagna e all'Italia da due millenni. Forse più. L'olio: più antico della Croce e della Beata Vergine Maria.
Le giare d'olio spagnolo, a milioni, sbarcavano a Roma almeno dai tempi del primo imperatore: Ottaviano Augusto; olio – milioni di tonnellate d'olio, per secoli - olio i cui contenitori - innumeri anch'essi - si accatastarono a Testaccio (ripetiamolo: per secoli!), sino a formare una collina - o un monte. Il Monte dei Cocci.
Per duemila anni (e più) gli antenati di Montalbán, e i miei antenati, strizzarono insieme il pane mollo d'acqua; e d'olio.
Duemila anni fa gli spagnoli erano i servitori di Roma e accudivano quei cespugli umili e senza pretese per noi, allora padroni del mondo (Te pido disculpas, Manuel).
Millecinquecento anni dopo sarà la volta degli Aztechi a servire: a rifornire i nuovi aguzzini (gli Spagnoli stavolta) di oro, stoffe, esseri umani e, dulcis in fundo, pomodoro (o xitomatl).
Un’ulteriore scorreria, insomma, ebbe a perfezionare la leggendaria semplicità del pane e olio per donarci pane, olio e pomodoro.
Furono necessari dieci congiurati (tre imperi, tre popoli, due continenti e due oceani, Atlantico e Mediterraneo), qualche milione di morti e quasi duemila anni per ordire il piatto dei poveri più sopraffino.
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