Foto di Patrizia Vincenzoni |
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Scritte,
provocazioni, figure, e veri e propri dipinti su muri calcinati dal tempo, su
palazzi dismessi, su capannoni in rovina; in aree annientate dal declino
industriale – dal declino della nazione.
Foto di Patrizia Vincenzoni |
La street art fiorisce sulle rovine di un’Italia
abbandonata e periferica oppure si appropria della fatiscenza indotta
dall’incuria (vecchie caserme e magazzini, uffici statali o del terziario
avanzato lasciati marcire senza personale, recinzioni condominiali, contrafforti
di cemento, viadotti, sottopassaggi, immani colonnati, piloni
autostradali: la città di passaggio, insomma, quella che vediamo dai
finestrini, orribilmente funzionale,tirata su con avarizia di bellezza e
intelligenza, diviene la tela di improvvisazioni e di tableau pittorici in cui
vibra la rivendicazione politica, la provocazione, lo sberleffo, l'ansia di
testimoniare se stessi; oppure, non ultimo, la voglia di resuscitare la
solitudine e la bruttezza nichiliste delle neoarchitetture metropolitane a una
nuova arte, comunitaria, solidale e gioiosa.
Tale protesta (è indubbio che lo sia) si nutre dell’attualità (No Tav, Movimento per la Casa) e dell’enorme giacimento di status symbol epocali (Frida Kahlo, Nelson Mandela, Martin Luther King …) riconducibili a un sentire ‘contro’; ma si avvale anche di personaggi che, pur neutrali o addirittura apolitici, si caricano d’una forza eversiva inusitata (Yuri Gagarin, Elvis Presley, James Dean, Dante, Quentin Tarantino, Giovanni Paolo II).
Perché
avviene questo? Probabilmente il sentire comune degli artisti segue un calcolo
preciso (forse inconscio, ma non si escluda la premeditazione): il volto di Elvis Presley, ad esempio; Elvis Presley non è mai stato semplicemente, puramente, Elvis Presley: già in vita
avvenne la trasfigurazione da cantante scandaloso e attore minore hollywoodiano in simbolo potente (ribelle, sessualmente ammiccante, ma anche bravo ragazzo nazionalista: ricordate i film in divisa?). Il suo volto, insomma, mutò in oggetto di piena
riconoscibilità commerciale, di venerazione, di pubblicità sfrenata, di studio
cinematografico. Un’icona, insomma; il riassunto di un sentire largo e condiviso
(da milioni di individui) tanto che, parecchi di noi, alla domanda: chi è il
cantante rock americano più famoso? risponderanno: Elvis Presley! Riproporre le sue
fattezze, quindi, fa sì che il messaggio ‘contro’ si avvalga di tutta la fama e
la forza simbolica già accumulata nei decenni trascorsi: effigiare Presley significa, quindi, dire no (allo Stato, all’ingiustizia, ai genitori oppressivi, al
razzismo: qualsiasi cosa vogliate voi) alla massima potenza.
In tal senso la street art è vicinissima all pop
art di Andy Warhol che, riproducendo Liz Taylor o Marylyn Monroe, non faceva
che sfruttare (furbamente, nel suo caso) la potenza iconica e mediatica già
accumulata dai loro volti grazie alla pubblicità sfrenata, al delirio degli
ammiratori, al divismo.
Foto di Patrizia Vincenzoni |
L'ambientazione urbana
La Street art nasce nelle periferie degradate
delle super metropoli globalizzate: New York, ovviamente, e Los Angeles,
Seattle …
Essa prolifera da ghetti senza storia, dove
l'unico tempo è quello del qui e ora: il tempo del consumismo; laddove anche la
tradizione e la storia delle popolazioni immigrate - africani, antillani,
creoli, ispanici - è stata distrutta e sostituita con l'eterno presente dei
supermercati, dei drugstore, degli spacci di merce anonimi, della fatiscenza
postindustriale.
E la street art cresce laddove è assente la
Natura; l'artista di strada è un uomo di città, conosce esclusivamente la
città, i ritmi cardiopalmici della città; a lui non appartiene il vento, ma
l'aria condizionata; non i paesaggi bucolici, ma le verdure ammaestrate dei
parchi urbani; non la prospettiva ciclica delle campagne, ma l'ansia rettilinea
dell'incedere della moderna way of life.
Storia e Natura, i pilastri su cui si fonda
l'arte classica, sono estranei alla street art.
Essa è un fenomeno assolutamente nuovo, uno
scarto radicale, una forma d'espressione in cui gli antichi canoni della
tradizione (occidentale, soprattutto, ma anche dell'arte popolare africana e americana)
traspaiono solo occasionalmente.
Foto di Antonella Cecchi Pandolfini |
Da tale punto di vista un'opera di street art è
avanguardia purissima; molto al di là degli sperimentalisti novecenteschi,
anche i più estremi: costoro, infatti, o sovvertivano o negavano la tradizione:
ne erano, comunque, succubi e derivazioni.
La street art fa a meno della tradizione poiché
i suoi esponenti sono nati oltre di essa, in luoghi dove la tradizione (e
storia e natura) non sono mai esistite.
Da quanto detto derivano tre considerazioni:
- la
street art è ingiudicabile con gli attuali mezzi critici
- la
street art è impensabile fuori del contesto urbano
- la
street art fatica a imporsi in contesti ove vige ancora - residuo del passato -
l'imperio di natura e storia (fatica a imporsi nelle città storiche italiane,
ad esempio, ma trova terreno fertile negli ambienti nuovi e già degradati:
quartieri dormitorio, periferie del nulla, neoarchitetture dettate dallo
sviluppo criminale del territorio).
Foto di Stefano Martinez |
Che dire? Una proprietà quasi ovvia. La street
art nasce contro. Proviene dai ghetti, dai suburbi, dalle periferie. Si
appropria dei ruderi inservibili del disfacimento metropolitano per dichiarare
il dissenso totale alla politica che l'ha generato. Un dissenso variegatissimo, che sfuma
dal forte impegno comunitario sino alle spontaneità dell'anarchismo generico per
arrivare al narcisismo individuale o alla pura provocazione.
La provvisorietà
La provvisorietà
È indubbio che la street art nasca con il gene
della caducità. Basta fare il confronto con la pittura alta: vari trattati di
pittura cinquecentesca assegnano alla preparazione del fondo un’importanza
straordinaria: per fondo si intende la base materiale su cui tratteggiare e poi
dipingere l’opera d’arte vera e propria (fondo di calce, colla e gesso etc): colle d’ogni sorta (d’origine animale e vegetale), gessi di varia grana
E poi olii di noce, papavero, lino; tempere grasse o magre; combinazioni fra olio e tempere tramite leganti ricercatissimi.
La produzione del fondo avveniva con stratificazioni accurate (cinque o sei), accortezza nei tempi d'essiccazione, gerarchia nella grossolanità dell'impasto, meticolosità nelle levigazioni, tutti accorgimenti mirati a preservare, nel tempo, il dipinto ottenuto.
Per tacere del disegno, delle prime mani di colore (grasso su magro, mai viceversa!) e della finitura, essenziale (Albrecht Durer si raccomandava: mai stenderla sul dipinto appena fresco! Aspettare un anno o due dopo l’essiccamento vero e proprio!).
Ogni pittore ha la propria soluzione; Tiziano dipingeva, poi lasciava i quadri in disparte per mesi, quindi li riprendeva con fare critico, come fossero nemici: cinque, dieci, venti stesure di colore, sfumature a secco, sfregazzi; come ottenere il verde, ad esempio: mai direttamente! Preferibile passare una velatura (fluida e trasparente) d'azzurro sul giallo già essiccato: ed ecco la profondità! De Chirico ci perdeva la ragione: traduceva trattati latini, scovava incunaboli francesi, esigeva dai bottegai miscele micidiali (fuor di metafora: la vernice al litargirio era assolutamente tossica).
E poi olii di noce, papavero, lino; tempere grasse o magre; combinazioni fra olio e tempere tramite leganti ricercatissimi.
La produzione del fondo avveniva con stratificazioni accurate (cinque o sei), accortezza nei tempi d'essiccazione, gerarchia nella grossolanità dell'impasto, meticolosità nelle levigazioni, tutti accorgimenti mirati a preservare, nel tempo, il dipinto ottenuto.
Per tacere del disegno, delle prime mani di colore (grasso su magro, mai viceversa!) e della finitura, essenziale (Albrecht Durer si raccomandava: mai stenderla sul dipinto appena fresco! Aspettare un anno o due dopo l’essiccamento vero e proprio!).
Ogni pittore ha la propria soluzione; Tiziano dipingeva, poi lasciava i quadri in disparte per mesi, quindi li riprendeva con fare critico, come fossero nemici: cinque, dieci, venti stesure di colore, sfumature a secco, sfregazzi; come ottenere il verde, ad esempio: mai direttamente! Preferibile passare una velatura (fluida e trasparente) d'azzurro sul giallo già essiccato: ed ecco la profondità! De Chirico ci perdeva la ragione: traduceva trattati latini, scovava incunaboli francesi, esigeva dai bottegai miscele micidiali (fuor di metafora: la vernice al litargirio era assolutamente tossica).
Lo scopo sotteso di tali fissazioni, d'alto
artigianato e quasi maniacali, era sempre uno: la sopravvivenza ai secoli. La
tecnica, insomma, rappresentava quello che per i guerrieri antichi era il canto
epico o per i condottieri la metrica dei poeti di corte: la garanzia
dell’immortalità, il monumentum aere perennius.
La street art si fa beffe di queste
preoccupazioni. Ogni opera fiorisce improvvisa su pareti sbrecciate di muri o
palazzi dismessi; su cui grava incipiente la ristrutturazione postindustriale o
il divieto amministrativo e burocratico. La street art si accompagna spesso
all’occupazione abusiva, all’azione clandestina: il fatto che alcuni artisti
godano di fama mondiale e che alcune aree siano protette di comune accordo con
le amministrazioni locali non cambia il succo ideologico: persino i pannelli
affrescati da Keith Haring, lungo il binario sopraelevato sul Tevere fra le
stazioni della metro A di Flaminio e Lepanto, furono vittime del repulisti
comunale.
La street art nasce contro, eversivamente e,
quindi, sempre in pericolo, insidiata dall’annichilimento del perbenismo. È un mandala transitorio - ma la provvisorietà,
in tal caso, si spoglia d'ogni orpello metafisico: significa ribellione,
rifiuto della codificazione, dell'oggettivazione commerciale (libro disco
mostra galleria).
Foto di Virginia Valletta |
La street art non ha limiti; non può rinchiudere
se stessa per favorirne l'apprezzabilità: è un quadro che non ha bisogno di
cornici: una galleria o pinacoteca o un museo.
Il suo luogo è ovunque perché il fondo materiale
su cui i writer si destreggiano può darsi ovunque.
Non si sta negando l'evoluzione alla Street Art:
si dice che la Street art vive, a causa delle propria impronta genetica, dello
scontro col potere costituito e il perbenismo del decoro urbano postmoderno (un
writer può imbrattare i vagoni ipermoderni della metro o la parete candida e
nichilista di un palacongressi, mai il Colosseo).
Ogni deragliamento da tale imprinting snatura l'arte di strada: che, ripetiamolo, può anche evolvere in altre forme (artisticamente più rilevanti e accademicamente accettabili), ma, in tal modo, perde l'essenza che la definisce tale.
Come scrive Daniela Luchetti in Writing, a proposito di un tentativo di
istituzionalizzare l’arte di strada:
"In un momento così importante di sperimentazione [il 1972] si inserisce Hugo Martinez, uno specialista di sociologia al City College. Egli andò tenacemente alla ricerca di tutti gli artisti di cui aveva imparato ad apprezzare le opere ... Il suo scopo era quello di strappare gli artisti dalla vita di strada e incanalare la loro arte in uno studio ... Ma il frutto della rabbia e del sudore di eroi coraggiosi che si muovono al riparo dalle violenti notti newyorchesi non si può incatenare nel grigio decoro; il lavoro [di Martinez] risente della mancanza del potente braccio di ferro tra fantasia e autorità che quotidianamente si dispiega sul territorio urbano ... I writer ... chiusi e intrappolati nelle dinamiche delle gallerie d'arte avevano perso, con il tempo, la maggior parte della loro carica aggressiva".
"In un momento così importante di sperimentazione [il 1972] si inserisce Hugo Martinez, uno specialista di sociologia al City College. Egli andò tenacemente alla ricerca di tutti gli artisti di cui aveva imparato ad apprezzare le opere ... Il suo scopo era quello di strappare gli artisti dalla vita di strada e incanalare la loro arte in uno studio ... Ma il frutto della rabbia e del sudore di eroi coraggiosi che si muovono al riparo dalle violenti notti newyorchesi non si può incatenare nel grigio decoro; il lavoro [di Martinez] risente della mancanza del potente braccio di ferro tra fantasia e autorità che quotidianamente si dispiega sul territorio urbano ... I writer ... chiusi e intrappolati nelle dinamiche delle gallerie d'arte avevano perso, con il tempo, la maggior parte della loro carica aggressiva".
Nata oltre la tradizione artistica, la street art non può permettersi la maniera e l'imborghesimento. Essa ricalca la parabola della musica hip hop (da notare che uno dei cinque bracci della cultura hip hop era il writing): in origine l'hip hop traeva forza dalle radici che affondavano nei ghetti metropolitani: in esso rilevava l’antagonismo, la denuncia sociale, il rifiuto dell'oggettivazione formale (i primi rapper lasciarono rarissime registrazioni), risalto della comunità locale in opposizione alla gentrificazione (la speculazione che trasforma zone popolari in aree residenziali per la borghesia medio-alta), l’improvvisazione, l’esaltazione della festa popolare, l'istinto antilegalitario.
I primi contratti discografici ruppero l'incantesimo: ciò che era spontaneo e fluido s'immobilizzò in luoghi comuni di genere; divenne quindi maniera, poi cliché superficiale.
I primi contratti discografici ruppero l'incantesimo: ciò che era spontaneo e fluido s'immobilizzò in luoghi comuni di genere; divenne quindi maniera, poi cliché superficiale.
I rapper dell'ultima leva girano su auto di
lusso, stracolme di girl disponibilissime e procaci, come gangster da operetta;
l’oro delle collane che indossano, una volta simbolo del Re Sole africano,
della negritudine e della liberazione dal potere razzista, oggi significa solo esteriore
ricchezza: bigiotteria di lusso per cafoni arricchiti.
Foto di Stefano Martinez |
Vecchie forme, nuove forme/1 (Arcimboldo)
L'arte di strada fiorisce fuori dell'orto
classico, ma ciò non significa che, incidentalmente, alcune soluzioni siano
estranee ai generi tradizionali, specie quelli minori.
Ecco un volto
postmoderno e robotico formato da banane così come il ritratto dell'Arcimboldo
si compone d'un profluvio esuberante di fiori.
Dall'occhio destro (una vecchia finestra con grate di sicurezza) pende, somma beffa, un cartello: "Zona militare. Divieto d'accesso, Sorveglianza": un simbolo d'autorità e repressione ormai privato di qualsiasi autorità.
Arcimboldo, L'uomo di fiori |
Vecchie forme, nuove forme/2 (Trompe l’oeil)
Inganna l'occhio. Forse la tecnica pittorica più antica; anzi: l'essenza della pittura stessa. Più reale del reale. Le tre dimensioni simulate in due.
Inganna l'occhio. Forse la tecnica pittorica più antica; anzi: l'essenza della pittura stessa. Più reale del reale. Le tre dimensioni simulate in due.
Ecco una disfida di trompe l'oeil narrata da
Plinio il Vecchio (Storia naturale, XXXV, 65-66):
"Parrasio venne a gara con il contemporaneo Zeusi; mentre questi presentò dell'uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell'errore, gli concesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore".
Ed ecco, duemilaquattrocento anni dopo, un nuovo inganna-l'occhio, che, negando la street art ("Non si scrive sui muri": espressione paradossale e beffarda), la conferma quale arte nuovissima e contraria: contraria al perbenismo, all'accademia, alla ragionevolezza borghese.
"Parrasio venne a gara con il contemporaneo Zeusi; mentre questi presentò dell'uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell'errore, gli concesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore".
Ed ecco, duemilaquattrocento anni dopo, un nuovo inganna-l'occhio, che, negando la street art ("Non si scrive sui muri": espressione paradossale e beffarda), la conferma quale arte nuovissima e contraria: contraria al perbenismo, all'accademia, alla ragionevolezza borghese.
Pere Borrell del Caso: uno dei trompe l'oeil più famosi |
Foto di Patrizia Vincenzoni |
Foto di Patrizia Vincenzoni |
* Gruppo Reportage:
Maria Cristina Masotti
Antonella Cecchi Pandolfini
Virginia Valletta
Lamberto Di Fabio
(Antonella Venanzi)
Nicola Barricelli
Patrizia Vincenzoni
Stefano Martinez
testi di Gianluca Chiovelli
Ma come, il cantore dell'italico Al Bano Carrisi si fa apologeta dell'amerikana art-street e celebra le periferie globalizzate! Cede quindi allo schema avanguardistico degli stradaioli versus l'accademia, quasi non si sapesse che nelle accademie della Repubblica si vezzeggiano tali forme di espressione e si dimenticano i putti raffaelleschi, dedicandole cattedre corsi chiacchiere teorie fotografie concorsi premi, ché da almeno un secolo il giardino di Academo si è trasformato in un laboratorio delle pratiche più routinières.
RispondiEliminaViene dall'America, ma è antiamericana.
EliminaUn aspetto sottovalutato.
Per il resto sono d'accordo.
D'altra parte avere una cattedra sulla street art è meno complicato che averla sul manierismo raffaellesco (e lo stipendio è lo stesso).