Pitigrilli
Scrivere
l'autobiografia è un mostrare al pubblico la nostra biancheria intima. Lo farò
sebbene io pensi che questo atto non è mai sincero, perché, per l'occasione, se
ne indossa di quella pulita.
Non
posso scrivere che il primo capitolo, poiché il secondo debbo ancora viverlo.
Età:
anni 26.
Statura:
m. 1, 75.
Colorito:
roseo.
Corporatura:
snella.
Dentatura:
sana.
Naso:
regolare.
Mento:
idem.
Bocca:
idem.
Segni
caratteristici: non ne ho.
Non
risulta nulla sul mio casellario giudiziario.
Studi
compiuti: Università, dove debbo anche essermi laureato in qualche cosa.
Fui
vaccinato nel 1914.
Porto
colli n 37.
Non ho
ancora la sifilide.
Conformazione
del cranio: diametro longitudinale cm. 31; diametro trasversale cm. 31. Sono
dunque mesaticefalo.
Mesaticefalo
biondo.
Questo,
per l'antropologia.
Fino a
22 anni, nulla d'interessante.
A 4
anni: tifo.
A 12:
pùbere.
A 13:
prima sigaretta: vomito; ultima sigaretta.
A 19:
amore travolgente per una donna dagli occhiali. Non c'è nulla di più grottesco
che una donna nuda con gli occhiali. Questo spettacolo raccapricciante ebbe
grande influenza sulla mia vita, come certi spaventi provati da ragazzo.
A 20:
amore per una donna che non mi amava.
A 21:
la donna non mi amava ancora.
A 22:
nemmeno: ma verso la fine dell'anno si decise.
A 23,
24, 25, 26: amore folle per la stessa donna. Sono un ma-gnifico esempio di
costanza e di fedeltà, degno d'essere immor-talato, per lo meno, in un libretto
d'operetta, o in un calendario tascabile profumato.
Sono
vendicativo come i pellirosse, ho la memoria vendicativa degli elefanti.
Ho
vissuto molto tempo a Torino, quella città di sogno e di imbecilli ove si crede
che Arturo Foà sia un poeta, Berta un commediografo, Golia un artista,
Ferrettini un critico, Bosia un genio.
Ho pubblicato
qualche libercolo ignobile, moralissimo, che piacque molto ai fessi.
Ho
scritto un profilo dell'unica poetessa che abbia l'Italia, per dimostrare che è
falso ciò che si mormorava sui nostri rapporti. Ma non debbo esserci riuscito,
perché se prima si mormorava, adesso si urla.
Ho al
mio passivo dei versi. I versi sono quella cosa che nessuno legge, ma che
tutti scrivono.
Ho
pubblicato degli articoli sulle principali riviste italiane. Qualcuno non è
schifoso.
Sono
stato molte volte sul punto di pubblicare dei libri di 400 pagine. Ma ho il
dono di quella benefica fognatura spirituale che è l'autocritica.
Apparvero
dei miei versi sulla rivista 'La Donna', bidet intellettuale. Ma non
è nulla! Ho anche scritto su 'Numero', giornale sedicente umoristico
torinese. E, quel che è peggio, ho avuto l'incoscienza di firmare. È una triste
abitudine contratta da ragazzo. Ricordo che fin da allora facevo la mia firma
sugli orina-toi.
A
Torino ho sempre detto a tutti ciò che pensavo, e mi sono creato un cimiciaio di
nemici che mi chiuse le porte del giornalismo torinese. Fu un direttore non
torinese – Italo Minunni – quello che me
le aprì.
Una
rivista di Milano mi ospitò molte villanie indirizzate ai miei concittadini,
che mi valsero una nuova raccolta di nemici, i quali si vendicarono cercando di
farmi una fama di pederasta, di mantenuto dalle donne e di amante di mia
sorella. (Quale?) ...
La
prima accusa è quella che mi offende di meno, perché più conosco le donne e più
stimo i pederasti.
Recatomi
a Roma per assistere a una commedia che mi interessava, conobbi Tullio
Giordana, giornalista vulcanico, energetico, dinamico, formatosi alla scuola
di Gordon Bennet, il quale mi prese con sé nella redazione dell'
"Epoca", facendomi percorrere in un anno la carriera che nel
giornalismo torinese non si fa in un trentennio.
Non so
scrivere italiano, perché noi settentrionali dobbiamo studiarlo come si studia
una lingua straniera.
A
Parigi parlo francese. Debbo avere un ottimo accento perché nessuno s'accorge
che sono italiano. Credo che mi prendano per moldovalacco.
Non
capisco niente di politica. Qualche volta leggo l'articolo di fondo del mio
giornale per sapere come la pensa il mio direttore, e quindi quale dev'essere
la mia sincera e spontanea convinzione politica.
La mia
insensibilità per la politica estera e la politica interna sono la miglior
garanzia di serenità di giudizio. Inviato speciale in Jugoslavia, non mi sono
accorto che quei simpatici croati era-no nostri nemici e ho scritto degli
articoli fioriti di tenerezza e di fraternità. A Fiume non mi sono più
ricordato che dovevo subito essere impressionatissimo dal carattere
spiccatamente italiano della città italianissima, e ho scritto un articolo il
cui titolo:
Fiume,
città asiatica, era tutto un programma, e che mi valse la scomunica del
Consiglio Nazionale di Fiume, alcuni articoli ingiuriosi sui quotidiani di
Roma, e l'amore eterno dei croati d'ambo sessi.
Inviato
speciale a Napoli per la campagna elettorale, ho scritto venticinque articoli
senza capirne niente. Appunto allora ho cominciato a credere alla subcoscienza.
Ho
dovuto occuparmi anche di sport, sebbene non distingua il cavallo dal fantino,
il ciclista dalla bicicletta. E me ne vanto.
Per
poco non rovinai una rivista settimanale con un articolo contro l'egoismo dei
vecchi, i vecchi nel nostro paese godono di une bonne presse. E il mio articolo
gettò un tale allarme, che molti disdissero l'abbonamento; altri si
accontentarono di scrivere delle ingiurie cumulative per il direttore e per
me.
I miei
gusti?
Mi
piacciono le pochades. Ci vuol più
ingegno a scrivere Occupati d'Amelia, che La maschera di Bruto e Glauco.
Detesto
la letteratura dove c'è della gente scamiciata che annaffia l'orto, gioca alle
carte, si soffia il naso con le dita, e dove le donne si chiamano 'mamma
Rosa' e gli uomini 'compare Tonio'. Leggo solo i romanzi e le
novelle in cui gli uomini usano camicie di seta e le donne fanno il bagno tutte
le mattine.
Sono
vegetariano, ma, quando ho dei commensali, mangio della carne per non aver l'aria
di posare. Ma poiché non sono abituato, ne mangio anche quando sono solo, per
abituarmi.
Non
bevo alcool. Credo che pochi bevano alcool. Del vino bianco e dei liquori, sì.
Mi
piacciono i cani; e in ogni novella ne faccio entrare uno, come il Veronese nei
suoi quadri. (Nei miei confronti sono anche modesto).
Tengo
la penna fra l'indice e il medio come tutti i parrucchieri intellettuali, ma
non mi sono ancora fatto fotografare dinanzi alla mia scrivania, con la
libreria per sfondo, una rosa languente sotto i miei occhi ispirati.
Non ho
un motto da far imprimere sulla carta da lettere, ma se dovessi sceglierne uno,
assumerei questo ammonimento di Yang-Ciù: "Se con uno dei tuoi peli tu
potessi salvare l'universo, non darlo!".
Nessuna
donna si è mai recisa la carotide per me. Non ho una fortuna fantastica con le
donne, perché non so mai come regolarmi. Se le desideri, ti dicono che sei
volgare come tutti gli altri uomini, se non le desideri, ti danno
dell'impotente.
Non
invidio nessuno. La sola cosa che invidio è la forza fisica.
Tutte
le donne, anche le principesse del sangue – come dice il mio grande amico
Angiolo Paschetta – si possono avere, pagandole. È questione di prezzo.
I
denari si guadagnano o si rubano.
La
notorietà si raggiunge col bluff.
Ma la
forza bisogna riceverla in dono dalla natura, come la gobba e il cretinismo.
Vorrei essere forte per rompere il muso al 75 per cento del mio prossimo.
Mi sono
venute fra mano molte vergini, ma le ho lasciate andare senza spargimento di
sangue.
Non
cerco moglie.
Non ho
figli. E ne soffro. Vorrei che una donna mi facesse un figlio, e poi se ne
andasse a farne per conto di altri, se vuole, ma mi liberasse subito della sua
presenza. Un figlio che avesse dieci anni quando io fossi ancora giovane, per
potergli dare un'educazione spregiudicata, non viziata dalla mia decadenza
inevitabile.
Quando
qualche stupido o qualche signorina mi domandava se è vero che mi ossigeno i
capelli, rispondevo di no.
E tutti
erano persuasi che me li ossigenassi.
Ora
dico che mi ossigeno.
E
nessuno lo crede.
Non ho
nessuna stima per gli uomini e per le donne.
Tutte
le donne sono prostitute, meno nostra madre e la donna che amiamo in questo
momento. In ogni donna c'è una prostituta come in ogni uomo c'è un soldato. Le
donne virtuose sono i casi sporadici come i riformati e i renitenti.
Le
donne, che da sole farebbero dei chilometri piuttosto di spendere venti
centesimi in tranvai, quando sono con un uomo, per attraversare la strada
esigono l'automobile. Tutte le donne si vendono, una per un caffè, un'altra per
una cena, un'altra per un biglietto di cinematografo; questa si darà per
ottenere una promozione al marito, quell'altra per dar da mangiare al figlio,
quell'altra per una nobile vendetta, e quell'altra ancora per salvare l'onore
della famiglia.
Gli
uomini sono tutti ladri, meno nostro padre e l'uomo col quale stiamo
discorrendo. L'onestà degli uomini è regolata da una tariffa. Ogni coscienza ha
una tariffa. C'è chi fa delle bassezze per otto soldi e c'è chi non si
deciderebbe a commetterle per un milione.
Ma se
gliene offrite due si deciderà.
Se per
due milioni non cede, provate a offrirgliene tre.
Il
grado di corruttibilità delle diverse coscienze è come il punto di fusione dei
diversi metalli. Ogni coscienza ha il suo punto di fusione.
* * * * *
Non ho
una fede, e invecchiando sento prepotentemente il desiderio di credere. Ma è un
desiderio sterile.
È un
priapismo mistico.
Ho
cercato la fede in un convento domenicano, presso un monaco di un'erudizione
spettacolosa. Ma alle mie domande ri-spose con un formulario così freddo, arido
e poco convinto che abbassò in me il calore, lasciandomi più ateo di prima.
Un'altra
volta un frate dalla gran barba e dai lunghi capelli, smuovendo con le maniche,
in un ampio gesto ieratico, alcuni metri cubi d'aria intorno a sé, mi disse con
voce grave:
"Io so
che Dio esiste. Io le dico che Dio esiste".
Ne fui
scosso. C'era nel suo aspetto venerabile una sicurezza persuasiva. Per molto
tempo rimasi sotto l'impressione di quelle parole magnetizzanti.
Ma un
giorno immaginai quello stesso frate vestito d'un so-prabito da mezza stagione,
pettinato accuratamente, raso come una persona pulita, e con i baffi tagliati
all'americana.
E le
sue parole non mi impressionarono più.
Ciò che
mi aveva impressionato era la barba.
E così
mi sono spiegato il fascino dei vecchi templi, che consiste tutto nell'essere
vecchi e nell'avere gli altari e i leggii intarlati e graveolenti, e i
sepolcri dalle epigrafi indecifrabili. Le chiese fresche, di recente
costruzione, non attirano, e debbono lasciar passare molto tempo prima di farsi
una clientela solida e affezionata.
Ho poi
cercato la fede nelle scienze biologiche e naturali. Ma la scienza ha il potere
di accrescere la fede in chi vi è predisposto e di ucciderla in chi è
predisposto all'ateismo. Quando si ha la predisposizione a credere in Dio, si
trovano in ogni cosa i segni del suo alto intelletto. Un salumaio
misticheggiante, direbbe: "Come è stato grande il buon Dio! Nel creare i
maiali per il ri-pieno dei salami, ha anche pensato a provvederli di intestini
per fare l'involucro".
Forse
nella contemplazione puramente estetica, cromatica, esteriore del paesaggio
riuscirò a credere in qualcosa di meno brutale (ma certamente meno bello) della
materia. La mia modestia mi permette di riprodurre tre versi giovanili che mi
piacciono, e nei quali ho espresso bene la mia idea:
O cielo
azzurro, o mare d'eliotropio,
fra voi
ritroverò forse quel Dio
che
persi un giorno sotto il microscopio!
Ho cercato anche la fede
fra le file della "Salvation Army" e fra i teosofi. I militi dell'Esercito della Salvezza sono degli isterici in divisa; i teosofi
sono degli allucinati, e la teosofia è il bigottismo degli snob.
letto per la prima volta a 12 anni nell'antologia "Umoristi da tutto il mondo",educò in me l'ironia,mi fece scoprire l'insospettabile significato del termine "pederasta" emi stampò nella memoria la folgorante verità dei tre versi sull'eliotropio e il microscopio, suggerendomi per intuizione la differenza fondamentale nella posizione umana di fronte a Dio fra pretesa e abbandono
RispondiElimina