martedì 3 giugno 2014

La giornata in un seggio elettorale


Elvira Sessa
"Buongiorno - tessera elettorale - vediamo se è nelle liste - documento di riconoscimento –timbro inchiostro - sigillo del seggio - può ritirare la scheda - sa come si vota?- cabina numero 3- riponga la scheda piegata nell'urna - può restituirci la matita copiativa - ecco i suoi documenti-arrivederci". Tam-tam-tam.
Il processo elettorale.
Mentre lo scorso 25 maggio assistevo a quel rito, nel seggio di Valle Aurelia (nell'attuale Municipio XIII del comune di Roma) pensavo che la democrazia sta tutta qui: in passaggi di carte-cartoni-inchiostro-matite-firme-timbri e nella carne e nelle ossa che li muovono. É emozionante.
La democrazia è fatta dalla signora centenaria che tratteneva a stento la matita tra le dita, dal signore ottantenne sulla sedia a rotelle che vorace afferrava la scheda e, a me che chiedevo "Riepilogo come si vota per queste elezioni?", rispondeva sorridendo: "É da cinquant'anni che voto, grazie...". É fatta dal nonno che, tenendo per mano una bimbetta irrequieta, fissava con simpatia me trentenne: "Anche io ho fatto il presidente di seggio, da giovane". É fatta dal ragazzo con lo zaino da mare che, dopo aver votato, ci salutava dicendo "Buon lavoro!" É fatta dalla mamma con il passeggino che, ricordando "il lenzuolo" delle scorse elezioni regionali (una scheda elettorale lunga più di un metro), prendeva la scheda quasi incredula: "Ah meno male, stavolta è più semplice!". É fatta dalla signora con le stampelle che, alle 9 di sera passate, da sola sfidava il buio del parcheggio antistante la scuola di via Ettore Stampini (non c'era neppure un lampione ad illuminare la strada che separava il cancello del parcheggio dall'ingresso della scuola dov’era il seggio). É fatta dalla pasionaria che sventolava l'attestato sostitutivo della tessera elettorale per le elezioni comunali del 2013 e con quello si impuntava, convinta che aveva tutto il diritto di votare, finchè, convocati i carabinieri, i rappresentanti di lista ed il delegato del sindaco, non si rassegnava che non c'era verso: doveva andare in circoscrizione per un nuovo attestato. Ed alle 22,30 la vedevo spuntare soddisfatta, sull'uscio della porta, pronta ad aggredire la scheda: aveva il nuovo attestato, poteva votare, finalmente.

L'affluenza nel seggio è stata al di sopra della media nazionale, ma di quelle centinaia di elettori, di giovani ne ho visti davvero pochi. La nostra democrazia, riflettevo, si regge sulla matita degli anziani, su gambe zoppicanti e mani tremanti che, nella cabina elettorale, rivivendo una conquista del passato, guardano il futuro dei loro figli e nipoti. In quelle cabine elettorali c'era il silenzioso abbraccio di tre generazioni. E ho sentito il peso di una staffetta, di un testimone che ci viene consegnato da chi ha visto nascere le parole “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico” (art. 48 comma 2 della Costituzione), da chi aveva vissuto gli anni in cui la legge sanzionava il non-voto: “L’elettore che non abbia esercitato il diritto di voto, deve darne giustificazione al sindaco (….). L’elenco di coloro che si astengono dal voto (…) senza giustificato motivo è esposto per la durata di un mese nell’albo comunale (…). Per il periodo di cinque anni la menzione ‘non ha votato’ è iscritta nei certificati di buona condotta (…).” (art. 115 del D.P.R. n.361 del 30 marzo 1957- testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati, norma poi abrogata con il D.lgs n. 534 del 1993).
E mi è venuto in mente Italo Calvino quando scrive che Amerigo Ormea, protagonista dell’opera "La giornata duno scrutatore", “si concentrava sullo squallore dei loro arnesi elettorali-quella cancelleria, quei cartelli, il libriccino ufficiale del regolamento consultato ad ogni dubbio dal presidente (...) perchè questo era per lui uno squallore ricco, ricco di segni, di significati (...). La democrazia si presentava ai cittadini sotto queste spoglie dimesse, grigie, disadorne; ad Amerigo a tratti ciò pareva sublime, nell’Italia da sempre ossequiente a ciò che è pompa, fasto, esteriorià, ornamento; gli pareva finalmente la lezione d’una morale onesta e austera; e una perpetua silenziosa rivincita sui fascisti, su coloro che la democrazia avevano creduto di poter disprezzare proprio per questo suo squallore esteriore, per questa sua umile contabilità, ed erano caduti in polvere con tutte le loro frange e i loro fiocchi, mentre essa, col suo scarno cerimoniale di pezzi di carta ripiegati come telegrammi, di matite affidate a dita callose o malferme, continuava la sua strada”.




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