Francesco Petrarca, Canzoniere, Trionfi -
Biblioteca Civica Queriniana di Brescia
I LABORATORI DI POESIA
Biblioteca Civica Queriniana di Brescia
Dall'esperienza della prima edizione di Officina poesia, (iniziativa biennale che ha visto la luce nella primavera del 2013, vedi più sotto) e in preparazione all'edizione del prossimo anno, nascono I laboratori di Officina poesia, il cui scopo principale è indagare i meccanismi della poesia. Monteverdelegge - che già dà spazio alla parola poetica con il Laboratorio di traduzione coordinato da Fiorenza Mormile - quest'anno, sempre nella sede di Plautilla, con questo primo ciclo di Laboratori di Officina poesia, offre gratuitamente ad associati e non, dieci incontri (in stile seminario) condotti da Sonia Gentili, autrice di poesia e docente di Letteratura Italiana (Sapienza Università di Roma) che ha già coordinato il gruppo Colautti nell'edizione di Officina Poesia 2013. Sono previsti anche contributi di altri poeti e studiosi, che interverranno di volta in volta su temi specifici. Gli incontri, settimanali/quindicinali, si terranno il lunedì presso la sede di Plautilla. Ogni incontro avrà una durata di DUE (2) ore (dalle 17.00 alle 19.00). Chi desidera saperne di più e partecipare, può contattare direttamente la coordinatrice operativa, Raethia Corsini (raethiacor@gmail.com).
Qui di seguito il programma nei dettagli, accompagnato da un calendario di massima suscettibile di modifiche in corso d'opera. L'apertura dei laboratori sarà eccezionalmente un mercoledì: il 29 gennaio.
I LABORATORI DI OFFICINA POESIA
2014
Ritmo, voce, corpo, poesia
Dieci incontri + uno
condotti da Sonia Gentili
con il contributo di altri poeti e studiosi
che interverranno su temi specifici
Il concreto tessuto di ogni poesia è il ritmo in quanto esperienza, percezione ed espressione – umana, dunque soggettiva - del movimento vitale. I versi leopardiani che esprimono il perdersi dell’individuo nell’indefinita pulsazione della realtà («e naufragar m’è dolce / in questo mare»), sono ritmo di una concreta realtà percettiva: «senza questa fisica, sensoriale verità […] non si dà poesia», scrive, in un recente volume, Giancarlo Pontiggia. Al di qua dei grandi autori, ogni essere umano possiede una voce poetica allo stesso modo in cui possiede una facoltà ritmica e musicale: come espressione fisica, ritmica e vocale del rapporto percettivo tra io e mondo. Quest’aspetto arcaico dell’espressione umana implica una soggettività fisicamente determinata e può essere indagato solo su un piano antropologico: come “ponte” che il singolo getta per superare la frattura tra io e mondo, e come tentativo di forzare il limite – linguistico, psicofisico, esperienziale – di cui ogni individuo è formato.
Nei dieci incontri, sulla base di un percorso di lettura condiviso, proposto da Sonia Gentili, autrice di poesia e docente di Letteratura Italiana (Sapienza Università di Roma), si rifletterà su ritmo, voce e parola poetica. Lungo il percorso, sulla base dei confronti che avvengono nei diversi moduli, chi lo desidera può sperimentare la scrittura di poesie, che saranno oggetto di lettura e di una chiacchierata collettiva alla fine del percorso, nell’ultimo incontro. Gli incontri, settimanali / quindicinali, si terranno il lunedì o il mercoledì (in base alle disponibilità dei partecipanti) presso la sede di Plautilla. Ogni incontro avrà una durata di DUE (2) ore (dalle 17.00 alle 19.00)
Coordinamento operativo: Raethia Corsini (raethiacor@gmail.com)
Coordinamento operativo: Raethia Corsini (raethiacor@gmail.com)
La lingua della poesia
Introduzione di Sonia Gentili e Maria Teresa Carbone
La lingua della poesia e l'editoria
Sonia Gentili e Samuele Editore
Sonia Gentili e Samuele Editore
Ritmo e voce nella tradizione poetica italiana. I
Primo viaggio attraverso i classici: Dante, Petrarca, Michelangelo, Tasso
Conduce Sonia Gentili
4. INCONTRO - 17 marzo ore 17.00
Corporeità, voce e ritmo: «la preistoria acustica della poesia».
incontro con Brunella Antomarini (John Cabbot University of Rome),
autrice del volume La preistoria acustica della poesia, Aragno editore, 2012
incontro con Brunella Antomarini (John Cabbot University of Rome),
autrice del volume La preistoria acustica della poesia, Aragno editore, 2012
Ritmo e voce nella tradizione poetica italiana. II
Secondo viaggio attraverso i classici: Foscolo, Leopardi, Manzoni
Conduce Sonia Gentili
Ritmo e voce nella poesia italiana contemporanea.
Progetto del laboratorio "La città poetica. Roma"
Incontro con Mariagrazia Calandrone
Conduce Sonia Gentili
Progetto del laboratorio "La città poetica. Roma"
Incontro con Mariagrazia Calandrone
Conduce Sonia Gentili
Ritmo e voce nella tradizione poetica italiana.III.
Progetto del laboratorio "La città poetica. Roma"
Terzo viaggio attraverso i classici
Progetto del laboratorio "La città poetica. Roma"
Terzo viaggio attraverso i classici
(con ascolto letture degli autori in registrazioni da archivi audiovisivi)
Incontro con Mariagrazia Calandrone
Conduce Sonia Gentili
Progetto del laboratorio "La città poetica. Roma"
Conduce Sonia Gentili
Conduce Sonia Gentili
9. INCONTRO - 12 maggio ore 17.00
L'assenza del mago non annulla il sortilegio.
Incontro con la poesia e la traduzione di Silvia Bre
Conduce Sonia GentiliIncontro con la poesia e la traduzione di Silvia Bre
Proiezione del film "Agogno la gogna" di Alfonso Benadduce.
Incontro con Alfonso Benadduce
Conduce Sonia Gentili
INCONTRO FINALE - entro metà giugno data da definire
Progetto del laboratorio "La città poetica. Roma"
Lettura e ascolto di composizioni (anche) dei partecipanti.
Prospettive di un elaborato collettivo.
Conduce Sonia Gentili
Lettura e ascolto di composizioni (anche) dei partecipanti.
Prospettive di un elaborato collettivo.
Conduce Sonia Gentili
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EDIZIONE 2013
Nella primavera del 2013 quattro noti poeti romani, Maria Grazia Calandrone, Paolo Febbraro, Sonia Gentili e Vincenzo Ostuni hanno tenuto presso il Centro Alzheimer, il Liceo Morgagni, il Centro diurno del Dsm Giovagnoli e l'Istituto Federico Caffè un laboratorio di lettura e scrittura poetica, prendendo avvio dai loro versi e da quelli di un grande autore del Novecento, Giorgio Caproni, caro a Monteverde perché qui per tanti anni ha vissuto e insegnato alla scuola elementare Francesco Crispi. Dal loro lavoro sono nati altri versi, versi di autori non (ancora) conosciuti e che tuttavia hanno trovato in questa "officina" gli strumenti per tradurre in modi nuovi la loro vita, la loro esperienza, i loro sentimenti. E questi versi, con quelli di Caproni e dei quattro poeti che ci hanno generosamente accompagnato in questa impresa, sono stati al Teatro Vascello la sera di mercoledì 19 in uno splendido intreccio di voci e di generazioni.
Qui di seguito le poesie di Giorgio Caproni lette nel corso di Officina poesia e i versi di Maria Grazia Calandrone, Paolo Febbraro, Sonia Gentili e Vincenzo Ostuni che i poeti hanno proposto nel corso del laboratorio.
GIORGIO CAPRONI
L'uscita mattutina
Come scendeva fina e giovane le scale Annina!
Mordendosi la catenina d'oro, usciva via
lasciando nel buio una scia
di cipria, che non finiva.
L'ora era di mattina presto, ancora albina.
Ma come s'illuminava la strada dove lei passava!
Tutto Cors'Amedeo,
sentendola, si destava.
Ne conosceva il neo
sul labbro, e sottile
la nuca e l'andatura
ilare - la cintura
stretta, che acre e gentile
(Annina si voltava)
all'opera stimolava.
Andava in alba e in trina
pari e un'operaia regina.
Andava col volto franco
(ma cauto, e vergine, il fianco)
e tutta di lei risuonava
al suo tacchettio la contrada.
Congedo del viaggiatore cerimonioso
Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.
Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare quanto,
anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.
(Scusate. È una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare. Ecco.
Ora ch’essa è nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo- odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.
Scendo. Buon proseguimento.
da Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee, 1965
I coltelli
«Be’?», mi fece.
Aveva paura. Rideva.
D’un tratto, il vento si alzò.
L’albero, tutto intero, tremò.
Schiacciai il grilletto. Crollò.
Lo vidi, la faccia spaccata
Sui coltelli: gli scisti.
Ah, mio dio. Mio Dio.
Perché non esisti?
Il cercatore
Aveva posato
La sua lanterna sul prato.
Aveva allargato
Le braccia. Tutto
Quel sole. Tutto
quel verde scintillio d’erba
per tutto il vallone.
Era scoraggiato.
«Come
può farmi lume,»
pensava. «Come
può forare la tenebra,
in tanta inondazione
di luce?»
Piangeva,
quasi. S’era
coperta la faccia.
Si premeva gli occhi.
Aveva
perso completamente,
con la speranza, ogni traccia.
Istanza del medesimo
«Cosa volete ch’io chieda.
Lasciatemi nel mio buio.
Solo questo. Ch’io veda.»
da Il muro della Terra, 1975
Certezza
(Cadrà.
Sicuramente
cadrà, anche se non cadrà mai...
Ti basterà crederlo...
Lei...
La preda sempre eludente...
Sempre altra...
La preda
- spara! - che infallibilmente
centrata, oltre il fumo
delle tue canne - oltre il grumo
dei lecci - vedrai scappar via
- celarsi - dentro la sua morte...
La preda che ogni volta svia
il piombo che la atterra, e svisa
ogni bersaglio...
Lei...
La preda che ti uccide uccisa
e ti risuscita...
La preda
dalle mille contorte
tracce, che immancabilmente
colpita fallirai
nell'attimo in cui l'abbatterai...)
La preda
La preda che si morde
la coda…
La preda
che in vortice si fa preda
di sé…
La preda àtona
e instabile…
La preda
che sull’acqua friabile
del monte (sulla parete
incrinata del lago) esplode
vitrea nell’occhio e – nera -
rende cieca la mira…
La preda che si raggira
nel vacuo…
La pantera
nebulosa (felis
nebulosa), che attira
chi la respinge, e azzera
chi la sfida…
La preda
monstruosa…
La preda
che in continuo suicida
in continuo colpisce
(fallisce) la sua ombra…
La preda
(un letame? una rosa?)
che tutti abbiamo in petto, e nemmeno
le febbri di dicembre (i campi
morti d’agosto) portano
sotto tiro…
La preda
evanescente…
La preda mansueta e atroce
(vivida!) che nelle ore
del profitto (nelle ore
della perdita) appare
(s’inselva) nella nostra voce
Diceria
Nell’orto delle ortiche.
Dei piccoli peri.
Nell’orto dei fitti sentieri
friabili.
Delle formiche.
Magari sotto i minuziosi fiori
raso terra.
Rossi.
Il Conte non lo sa.
Ma dicono
(dicono) che proprio qua s’infossi
la labirintica Bestia
cercata – forsennatamente – fuori.
Io solo
La Bestia assassina.
La Bestia che nessuno mai vede.
La Bestia che sotterraneamente
- falsamente mastina -
ogni giorno ti elide.
La Bestia che ti vivifica e uccide...
Io solo, con un nodo in gola,
sapevo. E' dietro la Parola.
dal Conte di Kevenhüller (1986)
Maria Grazia Calandrone |
MARIA GRAZIA CALANDRONE
Anna, tutto quel senso
Com’era fresco il mondo che portava
sulla bocca al mattino, ancora verde
d’erba sognata, come la innamorava
quella piccola mela che oscillava
come un rosso pianeta
sul melo nano dietro la finestra, che corona
di foglie misurate una per una le metteva
sulla chiara fontana dei capelli
l’ombra grande del pesco e come tutta
l’acqua giallo-ginestra
che era stata spalmata
dal sole nel mattino della sua nascita
sulle pareti della casa
era un annuncio della tua larghezza, Anna, tutto quel senso
è stato
fatto sulla misura del tuo cuore.
sulla bocca al mattino, ancora verde
d’erba sognata, come la innamorava
quella piccola mela che oscillava
come un rosso pianeta
sul melo nano dietro la finestra, che corona
di foglie misurate una per una le metteva
sulla chiara fontana dei capelli
l’ombra grande del pesco e come tutta
l’acqua giallo-ginestra
che era stata spalmata
dal sole nel mattino della sua nascita
sulle pareti della casa
era un annuncio della tua larghezza, Anna, tutto quel senso
è stato
fatto sulla misura del tuo cuore.
Roma, 10 novembre 2011
Paolo Febbraro (Foto di Dino Ignani) |
PAOLO FEBBRARO
Disse la voce:
<<Sono colui che tolse
il senno a Kant
e gli occhi a Omero.
Fui io che volli incerti
i tratti
al padre di Amleto,
son io la febbre irresponsabile
che colse Alessandro,
il sogno felice
che scatenò Attila
e lo sguardo traverso
che tradì Orfeo.
I piani di battaglia
sussurrai
al vincitore di Waterloo,
Leonardo tormentai
col più folle degli amori.
Con sfavillio di fuoco
persi nel buio
ad Alessandria
secoli di parole,
corsi
sulle trentatré lame
che vollero rosse e famose
le idi di marzo.
Per invidia ho operato
con fredda intelligenza.
Ora me ne vado
in un luogo né bianco né nero
al riparo da ogni profumo
e da ogni pensiero>>.
<<Dèmone, vipera, serpe,
debole amante del nulla,
a te sia dato, infido,
l'irrevocabile oblio>>.
<<Non chiamarmi diavolo,
uomo. Sono Dio>>.
<<Non vi saranno altre voci.
Già sorge il sole e cancella
nell'aria i resti dell'incubo
che pure fu cena, parole e mani.
Altri giocheranno sulla rima
capovolta fra sepolcro e ascensione,
fra morte propria e sua resurrezione.
Voi liberatevi dalla salvezza.
Risorge a tempo il sole e vi cancella
con bianche dita l'aspra tenerezza>>.
E all'ultima porta,
al penultimo passo,
quando ancora il pensiero
se spunta ha un dove per ritornare,
un attimo prima che il cielo
si sveli per sempre o si copra
non lo daresti un seme
della tua eternità
per ritornarci sopra,
non cercheresti il fiato
per poche parole diminuite
tipo buongiorno quattro tre sì d'accordo mi
sentite?
da Il secondo fine, 1999
Non meno infinita del mare
la roccia, col suo non parlare
tetro, materia delusa, implosa,
nel suo sgretolarsi, una rosa.
I tempi morti
Finisce novembre e gli uccelli
portano alle tettoie stecchi
nudi, sminuzzano in volo i venti.
Col pane fresco in braccio due vecchi
teneri di fame e nostalgie pensano
ai propri vent'anni, ai denti.
Scorrono campi di cardi attorno
alla stazione suburbana; ritardi
si annunciano in alto ad alta voce; sulla
panchina, le gambe a croce, medita
il passeggero i suoi eterni torti.
Son questi - pensa - i tempi soliti,
i tempi morti.
Il patimento si aggiorna, banale
si sfoglia la pagina di cartavetro:
lo mormora l'acquirente del giornale
e vorrebbe tornare indietro. La Borsa
titoli cade, il mondo vale meno;
le vertebre del viaggiatore avvertono
sul sedile la restituzione del freno.
Studenti scendono in fretta, chiassosi
nella uniforme giovanile: fra storico
e vile lo sguardo di due anziani
reduci del Novecento, fra le mani
due sorti. Più degli andati - si stringono -
verranno tempi morti.
Al finestrino accanto, c'è uno che vive,
nel vagone male scaldato, incide
sul foglio parole afone, prive
di socievolezza; solo, un po' curvo,
scarta e intride, si prende il disturbo.
Come per musica annota
ciò che ha sentito più casualmente;
svuota i doveri del tempo libero,
il giardinaggio della mente, incastra
pensieri cari, termini corti.
Non pagherà la moneta dei vivi
- mormora - la cura dei tempi morti.
da Il bene materiale, 2008
Sonia Gentili
SONIA GENTILI
Sogno
A brevi raffiche la luce invade il tempo
Qualcosa ha attraversato la pianura con il grandioso disordine del sogno la luce rotolata in fondo al fuoco è il quadro che brucia nel tuo sonno
a brevi raffiche la voceinvade il tempo
il tempo ha attraversato la radura ora è fermo in ascolto su tre zampe
pioggia notturna. Si ammucchiano le ore col grandioso disordine del sogno
il mattino in figura sofferente la stanza senza cornice ha una sua pianta in forma di pentangolo piangente la pianta in ogni angolo strozzatala stanza dall’arazzo abbandonato dall’arazzo fugge l’unicorno.
Paesaggio I
nel fuoco e nel metallo
i suoi attimi riflessi sulle nuvole
come aghi poggiati sull’ovatta
di schiena, la strada
forte e disperata
si denuda
nella curva, dove il cielo precipita in silenzio,
una grande ruota blu appoggiata al muro
comanda il tempo
e vuole il tuo silenzio
precipita qualcosa ad ogni curva perché il tempo
ama la tua paura:
per violarla
ricama la strada di imboscate
al tramonto sono tutte vecchie storie:
il tempo, la tua paura, il loro amore
fatto di imboscate e tradimenti
poi la notte obliqua come un ladro
la notte come un cieco
smisurato
la sua testa di vecchio tra stelle
in silenzio richiama il tuo silenzio
il gioco
dei passeri
perduto nella vigna
il gatto sulla vigna
bestia alata
nuova caccia
la caccia al buio
la luce la illumina in un lampo
perché la caccia è attimo e non dura
oggi non c’è più traccia della notte
l’alba si gonfia lenta
è una mammella
una lancia di luce attraverso gli alberi ha bruciato
le cose di ieri
sulla fronte dell’alba una ferita
Giusto e sbagliato
Il tempo ha il suo rovescio:
la poesia.
Passare il tempo a scriverne è sbagliato,
ma è più sbagliato
contarlo mentre passa. Il peggio è contare cose
accumulate, anni di guerre
o matrimoni, parti
da ricomporre un giorno
atteso
che non verrà.
Non verrà il giorno, tu
non finirai la conta:
il tempo non edifica ma guarda, pensoso, i pesanti anelli
alle sue dita. Ha occhi fermi
che guardano
se stessi, come tra loro amano fare
le solitarie pietre
di lava, ai piedi del vulcano.
Una luce di fosforo
ci accende, e questo è il sole: un grappolo di lune
già morte in millenarie
silenziose
esplosioni
la follia sa fissare
la luce, abbandonarsi a lei
abbagliata, percorrerla
a ritroso fino ai cieli
tranquilli
in cui buie
corone cingono
le stelle
la follia ama sostare
in pigre acque addormentate
al centro di tempeste, dove il tempo
è padre
del nostro tempo:
è l’occhio
che sogna,
è l’onda
che non muove ma accarezza
la nave:
è ciò che è fermo
da Parva naturalia, Aragno 2012
la poesia.
Passare il tempo a scriverne è sbagliato,
ma è più sbagliato
contarlo mentre passa. Il peggio è contare cose
accumulate, anni di guerre
o matrimoni, parti
da ricomporre un giorno
atteso
che non verrà.
Non verrà il giorno, tu
non finirai la conta:
il tempo non edifica ma guarda, pensoso, i pesanti anelli
alle sue dita. Ha occhi fermi
che guardano
se stessi, come tra loro amano fare
le solitarie pietre
di lava, ai piedi del vulcano.
Una luce di fosforo
ci accende, e questo è il sole: un grappolo di lune
già morte in millenarie
silenziose
esplosioni
la follia sa fissare
la luce, abbandonarsi a lei
abbagliata, percorrerla
a ritroso fino ai cieli
tranquilli
in cui buie
corone cingono
le stelle
la follia ama sostare
in pigre acque addormentate
al centro di tempeste, dove il tempo
è padre
del nostro tempo:
è l’occhio
che sogna,
è l’onda
che non muove ma accarezza
la nave:
è ciò che è fermo
da Parva naturalia, Aragno 2012
Vincenzo Ostuni |
Salve. Sono un poeta che ha trascorso la prima giovinezza abitando a poche centinaia di metri dal grande Giorgio Caproni. Al quale ho dedicato una conferenza a Ciampino l'8 maggio dello scorso anno, in occasione del centenario della nascita di questo insigne, caro poeta. Il testo del mio intervento è leggibile nel mio blog andreamariotti.it (archivi di maggio 2012, 8/5/2012); intervento apprezzato dalla signora Silvana Caproni, con la quale sono in costante contatto. Cercherò di non mancare a questo importante, lodevole appuntamento. Grazie per l'attenzione e cordiali saluti.
RispondiEliminaAndrea Mariotti
cari Amici di MonteverdeLegge, le immagini di Giorgio Caproni e Paolo Febbraro che sono in questa pagina sono mie fotografie, sarebbe giusto che mi citaste quale autore.
RispondiEliminaGrazie,
dino ignani
http://www.dinoignani.net/poeti.html