lunedì 13 gennaio 2014

Le detrazioni sui libri favoriscono la lettura?


Maria Teresa Carbone
Non sono durati a lungo gli applausi al recente provvedimento che, dentro il pacchetto Destinazione Italia, prevede una detrazione fiscale del 19% sull'acquisto di libri (il tetto annuo è di duemila euro, equamente divisi fra “scolastici e universitari” da un lato, “varia” dall'altro). L'idea che il governo abbia infine preso atto della necessità di avviare misure concrete “per la diffusione della lettura” non poteva non piacere alle case editrici e alle librerie grandi e piccole, che nelle ultime stagioni hanno sofferto orribilmente: secondo i dati presentati in dicembre dall'Associazione Italiana Editori alla fiera romana della piccola e media editoria Più libri più liberi, a fine ottobre si è registrato un calo del 6,5% (circa 65 milioni di euro in meno) rispetto allo stesso periodo del 2012 e del 13,8% rispetto al 2011 (circa 151 milioni di euro in meno). Una situazione non solo italiana, come dimostra il messaggio giubilante prontamente spedito dal presidente della Federazione degli Editori Europei, Piotr Marciszuk al primo ministro Enrico Letta: “La decisione italiana – ha scritto in sostanza Marciszuk – dovrebbe essere un esempio per tutto il continente”.
Superato l'entusiasmo iniziale, però, è arrivato il momento di fare le pulci alle quattro righette scarse del provvedimento (poi ribadito nell'articolo 9 del decreto legge 145 del 23/12/2013). In primo luogo il testo parla di “una maggiore diffusione della lettura dei libri cartacei”.
Nessun vantaggio fiscale per gli ebook, quindi, il che la dice lunga sulla prospettiva ministeriale, attenta – non a torto – a sostenere le ragioni delle categorie colpite dalla crisi, case editrici e librerie (si dice che la misura sia stata varata all'indomani di un incontro fra il ministro per i beni culturali Massimo Bray e Alberto Galla, presidente dell'ALI, l'Associazione Librai Italiani), ma miope rispetto a quelle che ci si ostina a chiamare “nuove” tecnologie, ormai entrate nell'uso di milioni di persone. Altri punti deboli del provvedimento riguardano l'incerta definizione di testi “scolastici e universitari” (i dizionari e gli atlanti fanno parte del gioco? e che dire dei saggi adottati dai docenti per i loro corsi?) e le norme attuative: sarà necessario tenere da parte gli scontrini o si presenterà il tesserino fiscale come per i farmaci?
Ma il dubbio più grande è un altro: davvero le detrazioni fiscali sull'acquisto dei libri rappresentano un incentivo alla lettura in un paese dove – stando alle statistiche – un italiano su due non legge neanche un libro l'anno? Certo, le detrazioni sui testi scolastici potranno essere di aiuto alle famiglie e in generale, da un punto di vista simbolico, la misura ha una sua rilevanza. Qualche risultato concreto, insomma, non mancherà, soprattutto grazie ai cosiddetti lettori “forti” e “fortissimi”, quelli che, macinando più di un libro al mese, tradizionalmente sostengono il mercato editoriale italiano e che negli ultimi due o tre anni, per via della crisi, avevano sensibilmente ridotto i loro acquisti.
Se però si vuole davvero che la lettura diventi in Italia una pratica radicata e diffusa, sarà necessario puntare l'attenzione, e le risorse, altrove: sulle biblioteche, che dovrebbero diventare, più di quanto non sia oggi, spazi di incontro e di aggregazione, sulle scuole dove, paradossalmente, i testi che non siano manuali non hanno diritto di cittadinanza (basti pensare allo stato deplorevole di gran parte delle biblioteche scolastiche italiane) e in genere su tutti i luoghi (centri anziani, ospedali, ludoteche...) dove il libro potrebbe diventare un oggetto di confronto e di condivisione. Ogni riferimento a Plautilla è tutt'altro che casuale.

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