Maria
Teresa Carbone
Non sono
durati a lungo gli applausi al recente provvedimento che, dentro il pacchetto Destinazione
Italia, prevede una detrazione fiscale del 19% sull'acquisto di
libri (il tetto annuo è di duemila euro, equamente divisi fra
“scolastici e universitari” da un lato, “varia” dall'altro).
L'idea che il governo abbia infine preso atto della necessità di
avviare misure concrete “per la diffusione della lettura” non
poteva non piacere alle case editrici e alle librerie grandi e
piccole, che nelle ultime stagioni hanno sofferto orribilmente:
secondo i
dati presentati in dicembre dall'Associazione Italiana Editori
alla fiera romana della piccola e media editoria Più
libri più liberi,
a fine ottobre si è registrato un calo del 6,5% (circa 65 milioni di
euro in meno) rispetto allo stesso periodo del 2012 e del 13,8%
rispetto al 2011 (circa 151 milioni di euro in meno). Una situazione
non solo italiana, come dimostra il
messaggio giubilante prontamente spedito dal presidente della
Federazione degli Editori Europei, Piotr Marciszuk al primo
ministro Enrico Letta: “La decisione italiana – ha scritto in
sostanza Marciszuk – dovrebbe essere un esempio per tutto il
continente”.
Superato
l'entusiasmo iniziale, però, è arrivato il momento di fare le pulci
alle quattro righette scarse del provvedimento (poi ribadito nell'articolo 9 del decreto legge 145 del 23/12/2013). In primo luogo il
testo parla di “una maggiore diffusione della lettura dei libri
cartacei”.
Nessun vantaggio fiscale per gli ebook, quindi, il che
la dice lunga sulla prospettiva ministeriale, attenta – non a torto
– a sostenere le ragioni delle categorie colpite dalla crisi, case
editrici e librerie (si dice che la misura sia stata varata
all'indomani di un incontro fra il ministro per i beni culturali
Massimo Bray e Alberto Galla, presidente dell'ALI, l'Associazione
Librai Italiani), ma miope rispetto a quelle che ci si ostina a
chiamare “nuove” tecnologie, ormai entrate nell'uso di milioni di
persone. Altri punti deboli del provvedimento riguardano l'incerta
definizione di testi “scolastici e universitari” (i dizionari e
gli atlanti fanno parte del gioco? e che dire dei saggi adottati dai
docenti per i loro corsi?) e le norme attuative: sarà necessario
tenere da parte gli scontrini o si presenterà il tesserino fiscale
come per i farmaci?
Ma
il dubbio più grande è un altro: davvero le detrazioni
fiscali sull'acquisto dei libri rappresentano un incentivo
alla lettura in un paese dove – stando
alle statistiche
– un italiano su due non legge neanche un libro l'anno? Certo, le detrazioni sui testi scolastici potranno essere di aiuto alle famiglie e in generale, da
un punto di vista simbolico, la misura ha una sua rilevanza. Qualche risultato concreto, insomma, non mancherà, soprattutto grazie ai
cosiddetti lettori “forti” e “fortissimi”, quelli che,
macinando più di un libro al mese, tradizionalmente sostengono il
mercato editoriale italiano e che negli ultimi due o tre anni, per
via della crisi, avevano sensibilmente ridotto i loro acquisti.
Se
però si vuole davvero che la lettura diventi in Italia una pratica
radicata e diffusa, sarà necessario puntare l'attenzione, e le
risorse, altrove: sulle biblioteche, che dovrebbero diventare, più
di quanto non sia oggi, spazi di incontro e di aggregazione, sulle
scuole dove, paradossalmente, i testi che non siano manuali non hanno
diritto di cittadinanza (basti pensare allo stato deplorevole di gran
parte delle biblioteche
scolastiche italiane)
e in genere su tutti i luoghi (centri anziani, ospedali,
ludoteche...) dove il libro potrebbe diventare un oggetto di
confronto e di condivisione. Ogni riferimento a Plautilla è tutt'altro che casuale.
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