mercoledì 5 giugno 2013

Le "Matrici" di Davide Dalmiglio

Dalla raccolta Matrici di Davide Dalmiglio, da poco uscita per Robin, proponiamo una poesia, insieme a un breve commento della curatrice Francesca Fiorletta.

Scritture senza palpiti accelerati, tritate a sabbia in un rene
il cuore è salito, volato su in soffitta, sotto la volta cranica
strana coppia di fatto, che mente, dai tempi del modernariato

Scritture senza scrittori, tagliate a coratella da saltare in padella
estranee ai Master lavasciuga, al chiacchiericcio piallato in stireria
format nel ricettario di Fra Indovinello, pozioni lenitive e farmacia

Scritture senza piani, eterni, quinquennali o giornalieri, a cottimo
parole eversive e antidepressive, disorganizzate e disorganizzanti
scritture non organiche, extra glaciali, semplicemente inorganiche 

La scrittura di Davide Dalmiglio è invece squisitamente composta proprio da “palpiti accelerati”, vistosamente costruiti su un adagio non adagio di ritmi battenti e ritorni ossimorici, compulsivi e ossessivi, ridondanti e quasi su tutta la linea sfiancanti, in primis per il testo stesso. Già la lunghezza debordante del verso, infatti, accentua il bisogno di spazializzazione della parola, proprio a voler prefigurare il concretarsi delle immagini salienti, via via connesse all'andamento ritmico del discorso.
È un discorso timbrico ininterrotto, si vede benissimo, quello che Dalmiglio tenta di condurre, con tenacia, in merito alla plausibilità (o implausibilità?) della scrittura poetica, oggi. 
Una scrittura, dunque, che per rovescio d'intenti sembra paradossalmente legata a doppio filo proprio al gioco inconsistente della parola stessa, in corsa semi libera verso l'ironico punto di fuga del vuoto di senso, assecondando una palese legge del contrappasso che invece vorrebbe anzi dare corpo e resistenza proprio alla versificazione stessa.
Una versificazione, quella di Dalmiglio, e in particolare di Matrici, che funge  da lente d'ingrandimento del tempo presente, e che, sebbene rievochi stilemi e prosodie di una certa scuola   affine alla neoavanguardia italiana (penso agli echi di un ben noto filone di poesia definita civile degli anni Settanta e Ottanta) riesce vividamente a rintracciare quello che resta, ancora oggi, il bisogno di organicità soggiacente all'arte della parola, passaggio preliminare basilare per tentare una ricognizione fattiva sullo stato presente delle cose del mondo. (francesca fiorletta)


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