Dalla raccolta Matrici di Davide Dalmiglio, da poco uscita per Robin, proponiamo una poesia, insieme a un breve commento della curatrice Francesca Fiorletta.
Scritture senza palpiti accelerati, tritate a sabbia in un rene
il cuore è salito, volato su in soffitta, sotto la volta cranica
strana coppia di fatto, che mente, dai tempi del modernariato
Scritture senza scrittori, tagliate a coratella da saltare in padella
estranee ai Master lavasciuga, al chiacchiericcio piallato in stireria
format nel ricettario di Fra Indovinello, pozioni lenitive e farmacia
Scritture senza piani, eterni, quinquennali o giornalieri, a cottimo
parole eversive e antidepressive, disorganizzate e disorganizzanti
scritture non organiche, extra glaciali, semplicemente inorganiche
La
scrittura di Davide Dalmiglio è invece squisitamente composta
proprio da “palpiti accelerati”, vistosamente costruiti su un
adagio non adagio di ritmi battenti e ritorni ossimorici, compulsivi
e ossessivi, ridondanti e quasi su tutta la linea sfiancanti, in
primis per il testo stesso. Già
la lunghezza debordante del verso, infatti, accentua il bisogno di
spazializzazione della parola, proprio a voler prefigurare il
concretarsi delle immagini salienti, via via connesse all'andamento
ritmico del discorso.
È
un discorso timbrico ininterrotto, si vede benissimo, quello che
Dalmiglio tenta di condurre, con tenacia, in merito alla plausibilità
(o implausibilità?) della scrittura poetica, oggi.
Una scrittura, dunque, che per rovescio d'intenti sembra paradossalmente legata a doppio filo proprio al gioco inconsistente della parola stessa, in corsa semi libera verso l'ironico punto di fuga del vuoto di senso, assecondando una palese legge del contrappasso che invece vorrebbe anzi dare corpo e resistenza proprio alla versificazione stessa.
Una scrittura, dunque, che per rovescio d'intenti sembra paradossalmente legata a doppio filo proprio al gioco inconsistente della parola stessa, in corsa semi libera verso l'ironico punto di fuga del vuoto di senso, assecondando una palese legge del contrappasso che invece vorrebbe anzi dare corpo e resistenza proprio alla versificazione stessa.
Una
versificazione, quella di Dalmiglio, e in particolare di Matrici, che funge da
lente d'ingrandimento del tempo presente, e che, sebbene rievochi
stilemi e prosodie di una certa scuola affine alla
neoavanguardia italiana (penso agli echi di un ben noto filone di
poesia definita civile degli anni Settanta e Ottanta) riesce vividamente a rintracciare quello che resta, ancora oggi, il bisogno
di organicità soggiacente all'arte della parola, passaggio
preliminare basilare per tentare una ricognizione fattiva
sullo stato presente delle cose del mondo. (francesca fiorletta)
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