Roberto Mazzucco, I sicari di Trastevere
Sellerio pp.277, euro 13
Maria Vayola
Mi sono avvicinata
a
questo libro pensando fosse essenzialmente un giallo. In realtà, sebbene sia presente un omicidio che tira il filo della narrazione,
è un romanzo storico sugli avvenimenti accaduti a Roma dopo la presa di Porta
Pia.
Raffaele Sonzogno, nipote del fondatore della importante casa
editrice e redattore del quotidiano
romano La Capitale, viene ucciso nella redazione del giornale, da
un sicario, tipico ”bullo trasteverino”.
E', Raffaele, un uomo della sinistra, milanese, schietto e
limpido nella vita come nella sua professione che pratica all’insegna
delle ricerca della verità, pronto a smascherare intrighi politici e
ineguaglianze sociali.
Al potere, in quel momento, febbraio 1875, è la destra
storica e sono imminenti le elezioni, in
cui si prevede la vittoria della sinistra.
Le indagini, svolte dall’onesto Leopoldo Galeazzi, si sviluppano in più direzioni, ipotizzando
una congiura di una banda di Trastevere o un delitto passionale, ma in realtà, sia
a livello istruttorio che dibattimentale, verrà posto in essere un depistaggio e un
occultamento delle vere ragioni e dei veri mandanti del
delitto.
Le radici dell’omicidio verranno ricercate e svelate da Filandro
Colaciti, apprezzato collaboratore di Sonzogno, che svolgerà indagini parallele
a tutto campo, ma che non riuscirà a ottenere risultatti soddisfacenti ai
fini del processo.
Dalla sua investigazione emergeranno le manovre politiche che stanno dietro alla
Liberazione di Roma, manipolate da gruppi di finanzieri, affaristi, palazzinari
che vedono in quell’evento di portata storica un ghiotto modo di fare soldi. Al centro delle speculazioni sono il piano
regolatore e l’incameramento dei beni ecclesiastici, motivo per cui calano dal
nord e non solo italiano, forse unica migrazione al contrario, personaggi senza scrupoli che individuano la capitale,
ormai libera dal Papa Re, luogo succulento in cui sviluppare affari leciti e
illeciti cercando connivenze nella classe politica in formazione.
Naturalmente tutto ciò a discapito della popolazione che, speranzosa
di cambiamenti sociali a lei favorevoli, vedrà cambiare gli uomini al potere ma non le diseguaglianze
che esso continua a mantenere; quando
proverà a manifestare il suo dissenso, questo sarà represso nel sangue dalla violenza delle
forze dell’ordine.
Il diritto di voto, in quel periodo, riguardava solo il 3%
della popolazione, gli elettori erano selezionati in base al censo e all’istruzione
e, nel 1882 in seguito ad una riforma voluta dalla sinistra, la percentuale dei
votanti salirà solo al 9%. Si erano create, per tamponare questo stato di fatto, anomale “società dei non votanti”, attraverso le quali gli esclusi cercavano di
influenzare coloro che potevano esercitare questo diritto.
A questa situazione, così poco democratica, l’autore fa
risalire “ il qualunquismo degli italiani, la loro indifferenza verso lo stato
e i suoi ordinamenti”.
Il romanzo è ricco di minuziose ricostruzioni, di personaggi reali (compreso Garibaldi
il cui figlio risulterà una figura ingombrante per la sua collusione con gli intrighi politico economici) e di
caratterizzazioni delle varie tipologie di umanità del periodo: i bulli di
quartiere, l’aristocratica libertaria, la ragazza del popolo che si barcamena
per vivere, giornalisti e politici onesti e giornalisti e politici corrotti,
uomini portatori di istanze di libertà che si scontrano contro le prosaiche
tentazioni di guadagni facili.
Un fascino particolare il libro lo esercita per la
descrizione della Roma dell’800, un fascino che coinvolgerà ancora di più chi,
come me romana, riconoscerà i posti narrati e li vedrà animati di una socialità
ormai perduta.
La rappresentazione del quartiere di Trastevere come “una
città indipendente, separata non soltanto dal fiume ma dalla storia, da un modo
diverso di vivere” è sicuramente avvincente e illuminante. Gli abitanti “tresteverini”,
sin dal medioevo anticlericali e patriottici, offrirono al risorgimento una
grande partecipazione, pagando con il carcere e la vita.
Roberto Mazzucco (1927-1989), padre della scrittrice Melania,
è stato commediografo e storico del teatro, traduttore, autore di racconti,
programmi radiofonici e sceneggiature televisive. Questo è il suo unico romanzo
pubblicato per la prima volta 25 anni fa. Nel leggerlo non si può, purtroppo,
non rilevare come i mali della società italiana affondino le radici nel tempo
della sua formazione come nazione unita, e il fatto che ce li ritroviamo ancora
presenti e vividi anche ora non può che suscitare una desolazione profonda per
la nostra storia e per il nostro futuro, la frase di gattorpardiana memoria “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna
che tutto cambi”, riecheggia inevitabilmente nei nostri pensieri.
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