Alessandro Leogrande
Fumo sulla città
Fandango, pp 270, euro 17,50
Fabio Cenciarelli
E' pressoché impossibile non aver mai sentito parlare dell'Italsider prima, dell'Ilva poi, di Cito e di tutto ciò che ruota intorno a una città agonizzante come oggi è Taranto, anche per chi, come me, storpiando un concetto espresso da Italo Calvino (ne Le città invisibili), ha sempre fortemente cercato di coltivarsi il suo angolo di paradiso, nell'inferno nel quale tutti sembrano condannati a vivere.
Il verso scelto da Alessandro Leogrande per dare il la alla sua lucida quanto disarmante disamina della situazione che affligge Taranto (e non solo!) estratto da La città vecchia di De André "...ci sarà allegria anche in agonia", mi è suonato come qualcosa di più dell'augurio di un ottimista, forsanche un sognatore.
Lo sguardo di Leogrande che nelle righe finali guarda lontano da Taranto, verso la collina di Martina Franca è quello di un uomo, prima che autore e reporter, che ama profondamente la sua città.
Alessandro Leogrande ha lasciato Taranto, per venire a vivere a Roma, per far sentire la sua voce dove la sua voce potesse essere presa in considerazione, fuori da logiche contaminate e da una città dimenticata da tutti, abbandonata a se stessa. Con un bisogno istintivo, che diventa quasi una missione. Quella di sensibilizzare l'opinione di un paese intero, della gente comune e di chi governa il paese, della classe dirigente e di quella operaia su un dilemma quasi amletico: lavorare per vivere o morire lavorando?
Venerdì 7 giugno, alla Galleria Fandango, ho avuto modo di incontrare l'autore in occasione della presentazione del suo libro durante un dibattito con Goffredo Fofi e Andrea Cortellessa. Al centro della discussione sono stati il presente e il futuro del colosso metallurgico dell'Ilva, dei suoi lavoratori, la necessità e l'urgenza di una nuova coscienza collettiva dell'attuale classe operaia, presente e futuro di Taranto, la riqualifica del Meridione tutto, la questione del diritto alla salute e il bisogno di rifondare completamente tutti gli impianti di produzione.
Merito di Leogrande è stato quello di fare luce su come per tanto tempo la polvere di Taranto sia stata nascosta sotto un tappeto, per assoluta negligenza di tutti gli organi competenti, da tutte le amministrazioni comunali che si sono susseguite negli ultime vent'anni. Dove l'intreccio di interessi personali a discapito di quelli di una comunità intera sono sopravvalsi, portando all'inevitabile esplosione un bubbone mastodontico, di cui resta comunque difficile stabilire la completa fisionomia.
Per ciò che riguarda le cifre, prima sul verticale sviluppo produttivo e di posti di lavoro all'interno della fabbrica, poi al loro inesorabile crollo, sono assolutamente esaurienti le ricerche dello stesso Leogrande. Quanto poi all'amministrazione cittadina e alle scorribande di un personaggio inquietante e grottesco, quale Giancarlo Cito ha dimostrato essere negli ultimi vent'anni circa, che ha anticipato quello che si sarebbe autoincensato come il più grande statista di sempre, Silvio Berlusconi, cresciuto esponenzialmente grazie alle sue emittenti private, parlano da sole le cronache che vedono tra l'altro lo stesso Cito rinchiuso nella casa circondariale di Turi (come accadde a Gramsci, è stata la battuta di Goffredo Fofi).
La truffa perpetrata dai fratelli Riva (basta ascoltare attentamente l'analisi di Dragoni di quattro minuti circa all'interno di Servizio Pubblico di Santoro di qualche settimana fa, per capire in mano a chi è il più grande colosso siderurgico dell'Italia e dell'Europa tutta) è di un'entità tale da sorprendere anche chi, questioni finanziarie di questa portata, non ha mai avuto modo di approfondire.
Proseguendo con la lettura del libro non riuscivo a levarmi dagli occhi l'immagine iniziale de L'odio di M. Kassowitz, della molotov che precipita al ralenti. Una voce di fondo racconta di un uomo che in caduta da un palazzo di dieci piani a ogni piano si ripete, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene. Dopo l'impatto della molotov con il suolo e la sua successiva esplosione la sentenza è: "il problema non è la caduta, ma l'atterraggio". Nel caso specifico di Taranto e dell'Ilva però, il problema non si riduce solo all'atterraggio. Perché la caduta sta già mietendo le sue tante vittime.
Leggendo Fumo sulla città, non si può non riconoscere ad Alessandro Leogrande la naturale capacità di condurre il lettore attraverso uno scenario complesso e intricato, dove il dramma dei singoli operai e di una città si fonde con quello di un'intera classe operaia che sembra aver perso molti dei suoi connotati e di una città che diventa l'emblema del Meridione non solo d'Italia, ma dell'intera Europa.
Fumo sulla città è una analisi semplice quanto spietata di come una città come Taranto sia stata spappolata dall'avventatezza di certe privatizzazioni, e di come sia oggi più che mai necessario, come ha detto Leogrande durante la presentazione, "esigere una trasformazione radicale degli impianti", esigere una classe politica forte, quando invece quella attuale è una delle più deboli che l'Italia abbia mai avuto, con la politica stessa che sta attraversando una profonda crisi d'identità.
Taranto, con il suo caso Ilva, può essere veramente la pietra tombale del liberismo in Italia.
L'ILVA dalla A alla Z
Servizio di Report. Il fumo all'inizio fa toccare con mano i progressi. Poi però farà toccare con mano anche le diossine e gli altri inquinanti. Con conseguenze immediate sull'aumento dei casi di tumori
Gianni Dragoni analizza la truffa dei fratelli Riva. Prendete carta e penna per non confondere i pezzi delle matriosche!
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