Patrizia Vincenzoni
La frase scioccante della (ex) consigliera leghista Dolores Valandro "Perché nessuno stupra la Kyenge?", riferendosi alla ministra per l'Integrazione Cecile Kyenge,di origini congolesi, interroga tutti, al di là del genere e del credo politico. I giornali hanno riportato l'accaduto e il relativo coro di proteste di molti, le denunce sgomente difronte a questa violenza che raggela ancor di più perché le parole sono state espresse da una donna verso un'altra donna. L'esibizione di questo inaspettato armamentario aggressivo da parte di Dolores Velandro produce un senso di raggelante smarrimento e il bisogno di capire, oltre la cruda versione che i fatti offrono. Sono state invocate varie ipotesi per cercare di dare spiegazioni della violenza dell'insulto, si sono cercate nell'arretratezza del nostro paese rispetto alla migrazione e alle dinamiche dell'integrazione quelle risposte che possono contribuire a ripristinare una apparente normalità e nello stesso tempo alimentare un dibattito. Vengono in mente anche i cori razzisti che funestano gli stadi e il racconto di Carlton Myers, primo portabandiera di colore dell'Italia tredici anni fa alle olimpiadi di Sydney,che poche settimane fa è stato oggetto di ingiurie razziste da parte di alcuni ragazzi, mentre partecipava a un campionato dilettantistico di basket in Romagna. Anche il ritardo grave nel quale versa l'Italia in ambito dell'applicazione del "diritto del suolo", lo "ius soli", per cui chi è nato nel territorio dello Stato giuridicamente acquisisce la cittadinanza,contribuisce a modellare l'idea e il pregiudizio che il migrante in quanto tale rappresenta quell'altrove, luogo psicologico e socio-culturale, non raggiunto in questo caso da un pensiero simbolico che riunisce, separando le diversità, per partire dalle stesse. L'altrove di cui parliamo concretizza le paure arcaiche di isolamento e di subire attacchi devastanti a un territorio (anche psichico) abitato in senso meramente localistico.
La politica è lo specchio della società e viceversa,si sente ripetere spesso, ma naturalmente questa ipotesi di risposta non è sufficiente e,a lungo andare, rischia di diventare un mantra, una risposta che calma e rassicura, ma non ci traghetta verso l'esperienza del sentirci chiamati comunque in causa,per rispondere,in qualche modo,attivandoci eticamente e responsabilmente verso la 'cosa pubblica'. Certamente le persone che rivestono ruoli politici hanno obblighi importanti da rispettare, tutelando le loro funzioni anche per ciò che riguarda messaggi sociali e culturali che emettono troppo spesso attraverso i mille rivoli mediatici che li ospitano,inondandoci con la loro querula presenza,ormai semplici megafoni annoiati persino di se stessi. La generale e comprensibile atonia della partecipazione attentiva e ri-motivante la speranza di fare parte di una comunità, il cui bene sia l'oggetto primario della politica, necessita di energia e di passione,anche se l'horror vacui da cui siamo circondati ci porterebbe a evitare quelli che,in tal senso,ci sembrano sprechi.
La signora Velandro oltre a essere una campionessa di volgarità dall'intento razzista,ci ricorda che la deriva della politica contemporanea inevitabilmente intercetta le dimensioni dell'eccesso sregolato nella corsa narcisistica al bisogno diffuso di impossessarsi di un protagonismo apparente,che in realtà isola e rende ansiosi,angosciati, infelici. Questo contribuisce a strutturare in senso disfunzionale persino il senso di appartenenza al genere del quale l'ex consigliera fa parte e sembra condizionarla anche nel fare ricorso ad un sistema maschile di modelli professionali e indicazioni comportamentali cui fare riferimento. Ampliando il discorso dal soggetto particolare a quello del modello femminile così come è ancora avvertito da larghi strati della società e della convivenza civile, declinare la propria presenza nella dimensione professionale scimmiottando alcuni ancora attuali comportamenti maschili (orientandoli verso lo stereotipo razzista) e'un modo,forse,per cercare una legittimazione non ancora pienamente sentita verso i ruoli assunti in ambito politico. L'introiezione e l'imitazione del linguaggio e di atteggiamenti genericamente aggressivi anche di certa politica fanno il resto,manifestando quella avversione conoscitiva verso tutto ciò che non rientra nel suo esiguo spazio di definizione e interpretazione della realtà, purtroppo deprivata della sua complessità. Inoltre,la specificazione della signora nell'augurare che "qualcuno stupri la Kyenge" non è rubricabile del tutto come manifestazione (in tal caso,paradossale) del sessismo della lingua e dei luoghi comuni che ne derivano,molto spesso infarciti di gratuita e pericolosa violenza fisica e psichica nei confronti delle donne. Dimostra anche l'inefficienza etica,giuridica,politica e socio-culturale nell'affrontare quella epidemia che e' il femminicidio, omicidio di genere,definizione che faticosamente ne sta sostituendo altre improprie ed insufficienti a descrivere gli omicidi di cui si da' la conta con tragica frequenza.
D'altro canto,il delitto d'onore e' stato messo fuori ordinamento solo nel 1981, ma i resoconti informativi ci mostrano la donna vista ancora come una identità precostituita attraverso la quale viene catalogata e forgiata dentro ruoli già istituiti e separati dal desiderio di costruirsi un'identità psico-culturale attraverso la specificità personale. Ci stupisce il fatto che a tutt'oggi alcuni articoli del codice penale non rappresentano il mondo femminile per quello che e'in quanto presenza nella società e nella cultura; fra gli altri,il numero 575 del codice penale recita così:"Chiunque cagiona la morte di un uomo e' punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno". "...la morte di un uomo....": molta strada resta ancora da percorrere.
moltissima strada, le donne per prime devono ancora fare moltissima strada, siamo ancora in buona parte impreparate, comprese coloro tra noi che hanno già elaborato un pensiero diverso da quello tuttora dominante
RispondiEliminaanalisi molto profonda e interesante, grazie
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