Autoritratti di Amerigo Bartoli e Vincenzo Cardarelli. Sotto, Flaiano in un disegno di Bartoli |
In
questa pagina tratta dall'Almanacco dell'Altana (1995) i ricordi di un vecchio libraio che per
me è stato solo mio padre (antonio sforzini)
Vittorio
Sforzini
La
mattina andavo a via Veneto per aprire la libreria Rossetti nella
quale avevo incominciato a lavorare nei primi giorni del luglio 1944.
C'era, allora, a causa del coprifuoco, I'orario unico fino alle
quattordici e non esistevano mezzi di trasporto pubblico. Ero
riuscito a procurarmi una vecchia bicicletta senza freni, tenuta
insieme più che altro dalla ruggine. Il ritorno, in discesa, mi
compensava della faticaccia dell'andata. Peppino (Rossetti) arrivava
più tardi dopo aver visitato le librerie antiquarie, oggi scomparse,
di Camerlengo in via del Babuino e dell'ingegnere Gerra in via di
Propaganda Fide: trovava quasi sempre qualche conveniente acquisto.la
libreria iniziò la sua attività occupando i Iocali, abbastanza
vasti, che erano stati dell'Artigianato Libico, ma poco dopo, per
varie ragioni, si restrinse in un vano piuttosto piccolo acquistando
una intimità da boutique del libro. Via Veneto aveva, allora, una
sua fisionomia e, anche se i giudizi che se ne davano erano diversi,
sembrava che dovesse rimanere immutabile nel tempo. Una volta gli
autentici intellettuali difficilmente erano soliti fermarsi a via
Veneto e soltanto da Rosati c'era qualche tavolo in cui era possibile
riconoscere alcuni scrittori, giornalisti e critici d'arte che
abitavano nelle vie adiacenti.
L'
idea di mettere una libreria a venti passi da Rosati venne ad un
esperto e notissimo librario romano: Giuseppe Rossetti. Lo seguirono
i suoi affezionati clienti di quando lavorava nella vecchia e
gloriosa libreria Modernissima in via delle Convertite, adiacente
alla famosa "Terza Saletta" del caffè Aragno. La libreria
era piccola, ma aveva due poltroncine attorno a un tavolinetto con
riviste, giornali e portacenere. Scaffali alle pareti, un tavolo
bacheca, e uno sgabuzzino in fondo.
Alcuni frequentatori non si
spinsero mai oltre quelle due accoglienti poltrone, non arrivarono
mai in fondo alla libreria (tre metri più in là) e non dettero mai
uno sguardo agli scaffali dei libri se non da quel comodo
osservatorio. Il quale, essendo posto subito dietro la vetrina
esterna, permetteva di vedere benissimo il passaggio che in quel
tratto di via Veneto era vario e continuo. Ben presto la libreria
Rossetti divenne il punto d'incontro degli intellettuali che vi si
davano convegno Scrittori, pittori, critici, registi, giornalisti,
affollavano il piccolo locale costringendo Rossetti e me a frequenti
e cortesi richieste di passaggio,ed occupavano a volte anche il
marciapiedi antistante.
Di
quasi tutti quei personaggi non restano, oggi, che il ricordo del
loro nome e delle loro opere! Nella tarda mattinata uno dei primi ad
arrivare è Adolfo Frangi che sfoglia pigramente alcune pagine dei
vient-de-paraître.
Ercole Patti, frattanto, osserva malignamente il passaggio. Più
tardi, in un angolo, Visconti, Pietrangeli, De Santis, Serandrei,
Stoppa o, secondo i giorni, Blasetti (sempre vestito bizzarramente o
da cavallerizzo o da alpinista o in tuta da operaio), Antonioni,
Vergano, Franciolini, Pagliero, Cottafavi, Perilli, discutono di
montaggi, fissaggi, carrellate, controcampi e dissolvenze. Si parla
di treatments, sceneggiature, regia, aiuto regie. Uno dei
frequentatori più assidui è Ennio Flaiano. Entra gettando timidi
saluti a tutti, ma se è di umore buono è capace di infilarti una
catena di battute di spirito intelligentissime. Battute ormai famose
per essere state in grandissima parte pubblicate, ma non ho mai visto
citato il telegramma che mandò a Gaspare Dal Corso quando inaugurò
la sua galleria d'arte in via Sistina che aveva chiamato "Galleria
dell'Obelisco"; il telegramma diceva semplicemente: "OBELISCO
STOP GARIBALDI".
Altri
personaggi dalle battute spiritose ed intelligenti oltre,
naturalmente, Maccari, sono Longanesi e Bartoli. Amerigo Bartoli,
solo o con la moglie Giuditta Cecchi, viene un po' a tutte le ore. Un
giorno portò sotto il braccio un quadro ancora fresco. Vedemmo così
il ritratto di Mario Soldati appena finito. Un Soldati con la barba
folta ed i baffi spioventi e gli occhi lucidi dietro il cristallo
degli occhiali dipinto da maestro. Verso le diciassette arrivano i
liberali, che del resto non mancano mai nemmeno nelle ore mattutine:
Brancati, Panfilo Gentile, Pannunzio, Sandro De Feo, Attilio
Riccio,Ricciardetto. Più tardi destra e sinistra sono confuse:
Alvaro, Cecchi, Aniante, Monelli, Gorresio, Bontempelli, Contini
Malaparte, Bassani, Tamburi, Fazzini, De Libero,Moravia, Sinisgalli,
Ungaretti, Trombadori, Zavattini. Puntuale, alle dodici e trenta,
piomba rumorosamente Vincenzino Talarico il quale racconta
convulsamente le ultime novità più sensazionali e chiede notizie
del "castoro", del "lepre", della "salma",
del "pizzicato", nomignoli dietro i quali si nascondono
note personalità del mondo artistico e letterario romano, quindi si
dilegua: ha sempre un appuntamento alle tredici a piazza San
Silvestro. All'imbrunire arriva immancabilmente Anton Giulio
Bragaglia che abita a due passi. Intabarrato, insciarpato,
incappottato con eleganza teatrale, si sprofonda nella poltrona più
interna; fu nella nostra libreria che si riempì rapidamente di firme
la petizione per restituirgli il teatrino delle Arti. La grande
presenza, l'istituzione della libreria Rossetti è, però, Vincenzo
Cardarelli. La mattina, verso mezzogiorno, quando fà bel tempo, il
grande atteso è Cardarelli. Cardarelli arriva avvolto in una
pelliccia da nonno o, d'estate, incappottato, aiutando il lento passo
con un grosso bastone; la tesa del cappello abbassata sugli occhi
vivi e la faccia aguzza. Entra nella libreria, saluta un po' col
gesto, un po' con la voce, si siede in una delle poltrone, mette il
bastone fra le gambe, intreccia le mani sul pomo e guarda scontroso
chi c'è. Se i nostri clienti su ponessero il tremendo giudice che
sta alle loro spalle, con quanta maggiore circospezione parlerebbero!
Con che cautela mista a timore darebbero un giudizio o chiederebbero
un libro!
Grande
parlatore, mi dicono, almeno ai bei tempi della sua giovane gloria
quando,seduto al caffè, riusciva a raccogliere su di sé
l'attenzione di amici e discepoli, Cardarelli, con gli anni, s'è
fatto, se non addirittura silenzioso, meno disposto agli eleganti
ozii della conversazione. Più spesso ora, la mattina da Rossetti,
Cardarelli tace col suo bastone tra le gambe e la pelliccia stretta
al corpo freddoloso. Tace, ma non acconsente. Guarda con arguto
cipiglio chi entra e chi esce, su una parola o una frase colta nei
discorsi degli altri ritrova uno di quei suoi "veleni" che
là dove toccano bruciano. Lettore ormai di poche pagine, Cardarelli
non ama i libri nuovi. Preferisce tenersi al sodo e rileggere il già
letto. Cardarelli viene da Rossetti per parlare (poco) o tacere, a
seconda dell'umore e del tempo, non certo per comprare.
Un
giorno a un tale che gli sbandierava il nome di Mallarmé rispose,
scuotendo la testa: "Io, vede, mi sono fermato a Leopardi".
Quando gli presentarono il regista francese Pierre Pascal disse:
"Conosco solo Blaise Pascal!". Così bene descrisse una
piuttosto antipatica signora: "Sgradevolissima, senza nessuna
espressione, sembra una di quelle figure che dipingono i carcerati".
Una volta, rivolgendosi a Malaparte: "Lei che ha tanti soldi
avrà anche l'automobile?" -Veramente si- "Allora mi
accompagni a casa" -Ma l'automobile l'ho a Firenze- "Questa
risposta è degna di lei... del resto la domanda era degna di me!".
Cardarelli ce l'aveva, a volte, con me perché, quando il fumo
rendeva irrespirabile l'ambiente, aprivo la porta della libreria non
pensando a quanto egli fosse freddoloso: "Quel Vittorio" si
lamentava “apre la porta per far sembrare più grande il locale".
Il ventisei gennaio 1949, c'era, oltre a me, solo Nicola Ciarletta,
ci disse: "Il mio cappotto è certamente più grande delle tarme
che se lo mangeranno". E aggiunse: "Quando le acque si
abbassano muoiono le balene, i pesciolini possono nuotare anche in un
rigagnolo". Da Rossetti i clienti erano tutti amici.
L'ospitalità era larga. Si stava meglio che al caffè si poteva
anche non spendere nulla. Sembrava che Rossetti, pur amando i libri e
vivendo di essi, ai clienti che compravano preferisse gli amici che
non compravano. Sembrava che in cuore suo desse la palma non a chi
entrava in fretta acquistando un libro e andandosene, ma a chi
entrava piano piano, si sprofondava lentamente in una di quelle
poltrone, accendeva una sigaretta e parlava del tempo che faceva,
della donna che passava, della cena in Trastevere, del vino che aveva
bevuto, della gente che aveva visto. Spesso, nelle afose sere estive,
scendevamo a prendere il fresco o sulla scalinata di piazza di Spagna
oppure a piazza Navona, in punti particolarmente favorevoli al
"ponentino". Si conversava con Gentilini, Giovanni Urbani,
Liliana Ferri. A volte Bonucci, Caprioli, Mazzarella, Salice, si
divertivano ad improvvisare divertenti scenette. Poi a casa. Prima,
però, accompagnavo Donghi, scapolo per costituzione. Abitavamo
abbastanza vicini. Camminando sotto i platani del lungotevere sfogava
il suo pessimismo sulle donne, sul difficilissimo problema di trovare
una moglie adatta. Altro problema che lo affliggeva era la difficoltà
di dipingere gli alberi: "Perché le foje se moveno". La
mattina dopo tornavo a via Veneto. Così per otto anni. Passati in un
baleno, ma indelebili nella memoria.
che bei ricordi
RispondiElimina