Gohar Homayounpour
Una psicoanalista a Teheran
Raffaello Cortina
pp. 148, euro 13,50
Patrizia Vincenzoni
"Ci insegnano che il paziente dice già tutto nella prima seduta, mentre l'analista ha bisogno di tempo per capirlo. Così io ho avuto bisogno delle pagine che precedono per capire, attraverso le libere associazioni, che cosa significhi per me praticare la psicoanalisi a Teheran". Nelle ultime pagine, Gohar Homayounpour ci spiega il senso del libro. Tutta la narrazione è un processo autoterapeutico di accesso alla consapevolezza delle motivazioni anche inconsce che l'aiuteranno a dare ri-significazione alle scelte attuali e a quelle operate nel passato. Nel cercare di comprendere il cammino personale e le motivazioni che l'hanno spinta a tornare nel suo paese d'origine, affrontando anche, nel suo paese, quella particolare esperienza affettiva e relazionale che è il lavoro analitico, l'autrice ci rende parte integrante della narrazione e offre al lettore la sensazione di prendere parte a pensieri, emozioni, titubanze, memorie rimosse che cercano accessi alla coscienza.
L'unicità di certe esperienze umane, l'allontanamento e il ritorno in Iran e la psicoanalisi (pensiero e prassi clinica) sono il nucleo di base dal quale l'autrice parte per interrogarsi in modo nuovo, perturbante, ripercorrendo legami con i vecchi 'maestri' analisti e letterati.
In alcuni passaggi il libro perde di interesse perché le troppe citazioni non sembrano sostenere l'esperienza in corso, anzi a volte la disperdono, la rendono frammentaria e alla fine quasi artificiosa. Il risultato è una ibridazione del racconto che, a tratti, rischia di confinarsi nelle frasi riprese da vari autori e queste frasi, diversamente dai contenuti proposti, finiscono per apparire scontate e slegate dall'atmosfera umana e professionale che la Homayounpour era riuscita a costruire. Inoltre, alcuni dialoghi dei pazienti riportati nel testo sembrano troppo precisi, un po' forzati alle necessità del racconto.
E' tuttavia (e naturalmente) affermativa la risposta alla domanda se sia possibile praticare la psicoanalisi in Iran, così come è specificato nella prefazione in risposta ad alcuni dubbi che attraversano anche le comunità accademiche, laddove il potenziale sovversivo della parola (pubblica) è tendenzialmente considerato 'pericoloso' e dunque oggetto di censure più o meno evidenti. "Il dolore è dolore ovunque" scrive l'autrice, per spiegare l'assoluta possibilità per ogni essere umano in qualsiasi latitudine geografica e politica viva, di dar voce ai propri conflitti interiori che sono tali anche se le mitologie culturali possono contenere elementi diversi tra loro.
La sensazione che si ha durante la lettura è che l'autrice dica qualcosa per dire altro,o perlomeno anche qualcos'altro e ciò al di la del fatto che la sua narrazione sia un processo graduale di accesso consapevole a trame e contenuti psichici. Considerando la situazione politica e sociale dell'Iran, questa metacomunicazione è possibile e comprensibile.
Il tributo della memoria al processo di assegnazione di senso è legato anche a letture giovanili che intrecciano diversi livelli storici ed emotivi, producendo un'articolazione degli stessi. Goran Homayounpour attraversa confini non solo in senso geografico e questo le permette di ri-scoprire le radici culturali e affettive alla base delle sue scelte. Il rapporto adolescenziale con Kundera e il suo romanzo L'insostenibile leggerezza dell'essere è un viatico psichico che la supporta nel dare forma nuova a pensieri ed emozioni nati dall'interrogarsi sull'essere tornata in patria, cosi come la relazione con i pazienti e il dialogo analitico che la specifica. Sono entrambi contesti privilegiati dall'autrice per riannodare memorie disperse e non ancora tradotte. Scopriamo con lei, in questo gioco di rimandi storici e attuali, la figura paterna, la cui opera di traduzione in lingua farsi del romanzo di Kundera diventa metafora dell'essere condotta da un luogo a un altro, esercizio di avvicinamento al non conosciuto e, in misura più ampia, alla diversità fra le culture che condividono sentimenti, aspirazioni, conflittualità di vario genere, delineando l'umanità come condizione di base, appartenenza, valore e possibilità davvero universale.
La psicoanalisi, ci ricorda la Homayounpour dopo qualche anno dall'inizio di certe sue riflessioni, quando esce dalle stanze istituzionalizzate spesso distanti dalla realtà sociale contemporanea, può esprimere ancora di più il suo potenziale trasformativo che rende i soggetti e le comunità nelle quali vivono, contesti umani caratterizzati da un concetto di cultura intesa anche come formazione educativa al rispetto di sé e dell'altro.
E a questo proposito, concludiamo ricordando con l'autrice quanto Freud scrisse nel 1905:
"Zia, parla con me; ho paura del buio."
Rispose la zia: "Ma a che serve? Così non mi vedi lo stesso".
"Non fa nulla - ribatté il bambino - se qualcuno parla c'è la luce".
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