martedì 8 ottobre 2019

Il laboratorio di traduzione di poesia riapre con la poetessa statunitense Alexis Rhone Fancher



Fiorenza Mormile

Il Laboratorio di traduzione di poesia riprende il 15 ottobre 2019, inaugurando l’ottavo anno di attività. Ripetiamo qui che il laboratorio è nato per condividere il piacere della traduzione di poesia dall’inglese. Si può partecipare anche in veste di semplici uditori, le riunioni sono aperte a tutti. Negli incontri a scadenza quindicinale (ogni due martedì dalle 17:15 alle 19) ognuno confronta con gli altri la propria traduzione del testo del giorno, deciso in precedenza.
Chi ama tradurre esce dalla sua solitudine per confrontarsi con le soluzioni degli altri, impara a rinunciare alla propria, o a modificarla, superando limiti, automatismi e personalismi. Procedere in gruppo è certo lento, impegnativo, richiede pazienza e umiltà, ma si rivela prezioso: condividendo competenze e perplessità si allarga la propria visione e attraverso la disciplina del gruppo ci si addestra all’idea non scontata che tradurre non significa pronunciare la propria parola, ma “pronunciare la parola dell’altro.   
Otto sono state le componenti del gruppo di questo ultimo anno, e numerosi sono gli autori e soprattutto le autrici di lingua inglese finora esaminati (tra loro Philip SchultzEleanor Wilner,  Sujata BhattKaveh AkbarJoy Harjo, Jo Shapcott). 
Le loro poesie sono divenute per noi terreno di confronto in un lavoro collettivo di scavo, perché tradurre implica prima di tutto una lettura attenta, la mission impossible  (ma noi vogliamo crederci)  di restituire al testo tradotto il suo intento originario, infondergli nuova vita dopo averlo necessariamente smembrato e ricomposto in una diversa forma linguistica.

Non tutto il nostro lavoro è stato ancora riversato sul blog, né compiutamente riordinato nella sezione specifica  (sia per problemi tecnici sia perché siamo ancora in attesa di alcune autorizzazioni), quanto già postato e quanto pubblicato (Schultz e Wilner) può però già darne un’idea a chi volesse avvicinarsi.
L’inserimento a giugno degli ultimi testi della nativa americana Joy Harjo ha coinciso con la notizia della sua nomina a poeta laureato degli Stati Uniti. 
Quest’anno ci dedicheremo ad un’altra poetessa statunitense, Alexis Rhone Fancher, che è anche un’accreditata fotografa. La scelta dei testi è ancora in via di definizione, e per un primo assaggio ricorriamo ad una traduzione di Maria Adelaide Basile (membro storico del laboratorio) per il Catalogo  della mostra "La strada. Dove si crea il mondo", MAXXI, 2018.       Voglio le Loubotin con il tacco a spillo è un testo ironico e scanzonato che ben esemplifica l’aspetto apertamente  seduttivo di Fancher, ma, come avremo modo di vedere,  la sua scrittura presenta anche temi e risvolti più dolenti.
Vi terremo informati degli sviluppi e nel frattempo…veniteci a trovare! da cosa nasce cosa…


Alexis Rhone Fancher

VOGLIO LE LOUBOUTIN CON IL TACCO A SPILLO

Voglio le Louboutin con il tacco a spillo
e le caratteristiche suole rosse,
le voglio sexy, le voglio alte.
Le voglio con il cinturino e le dita che spuntano
così da far sfolgorare lo smalto viola
dei miei piedi.

Le voglio indossare appena uscita dal negozio,
non provate a fermarmi.

A Washington voglio lasciare tutti a bocca aperta,
mentre oltrepasso la trattoria C&O
e da Nick, lo spaccio di alcolici, quelle bottiglie di Vodka Stoli
impilate nella vetrina, mi chiamano,
superati i turisti vestiti da estate in dicembre,
tremanti, a piedi nudi, come se a Los Angeles non ci fosse inverno.

In quelle scarpe sono figa,
figa da fermare un camion,
figa come la ragazza più bella della scuola,
e ora lo so. Lo sfoggio.
Cazzo, lo ammetto. Con quelle scarpe
Posso fare la difficile, non accontentarmi di un perdente qualunque.
Non bere per dimenticare,
buttare giù Stoli da Chez Jay,
far sfolgorare le suole scarlatte quando m’inginocchio.

Le indosserò come la mia stessa carne,
come zoccoli, come il peccato.
Manterrò i loro segreti, non spiffererò
dove sono state.

Meglio quelle scarpe con le suole scandalose
che tu con le tue.

Dal catalogo del MAXXI, della mostra "La strada. Dove si crea il mondo",2018, pp.232-233
                                                                                    Traduzione di Maria Adelaide Basile
                                                         

I WANT  LOUBOUTIN HEELS

I want Louboutin heels,
with those trademark red soles,
I want them sexy, I want them high.
I want them slingback and peep-toed 
so I can flash the purple polish 
on my tootsies.

I want to wear them out of the store,
just you try and stop me. 

I want to wow them on Washington,
saunter past C&O Trattoria  
and Nick’s Liquor Mart, those bottles of Stoli
stacked in the window, calling my name,
past the summer-clad tourists in December,
shivering, barefoot, like LA has no winter.

In those shoes I’m hot,  
stop-a-truck hot,
prettiest girl in school hot,
and this time, I know it. Flaunt it.
Hell, I own it. In those shoes
I can pick and choose, not settle for some loser.  
Not drink away regrets,
pound back Stoli at Chez Jay’s,
flash their scarlet bottoms when I kneel. 

I’ll wear them like my own flesh,
like hooves, like sin.
I’ll keep their secrets, won’t spill
where they’ve been.

Better those shoes with their lurid soles
than you with yours.

 ©Alexis Rhone Fancher 2013. First published in BoySlut, nominated for a Pushcart Prize, 2013.



giovedì 3 ottobre 2019

INVITO ALLA LETTURA: Modigliani, "Il mondo ha occhi di pietra"


Stella Sofri
Sono 80 racconti brevi, costruiti secondo un meccanismo di sapiente coinvolgimento emotivo. Momenti di realtà nati da un’osservazione attenta di frammenti di vita popolati da una moltitudine di umanità: giovani “in una sospensione di aspettative”, uomini pazzi di gelosia, donne che si amano, carcerati, malati in fuga, soldati che si abbandonano al pianto, sogni, amori sottesi; tessere di un mosaico forse in attesa di ricomporsi in un mondo liberato da una sorta di incantesimo, da un fermo immagine di una realtà che sfuma nel’indecifrabile.

Atmosfere sospese, inquietudine, realtà visionarie fuori dal reale, ma anche denuncia del reale; una apparente normalità senza luogo né tempo. Vicende minime in cui ognuno può ritrovarsi, in un incerto equilibrio tra realtà e finzione. Storie che si giocano sull’azzardo di una conoscenza del mondo.

Dialoghi che nascondono indizi illuminati da una improvvisa nota conclusiva. Ma anche, più spesso, la proiezione di uno stato interiore, un senso di inadeguatezza, in un mondo che rimane sfuggente, sospeso. Su un’isola remota, nei boschi o nelle stazioni, nelle piazze, nel ventre della città, di qua o di là “tutto non è altro che avventura”, nel tentativo, per lo più vano, illusorio o temerario, di andare oltre, “Il muro era stato abbattuto. E l’atto era stato registrato: scritto”.Ma il muro più difficile da abbattere è il muro della terra che divide l’umanità e la sua maggiore articolazione, uomini e donne. Una ragazzina, forse in Cina, abbatte a calci tre malfattori. Donne forti, che non dispensano sorrisi, ambigue, dirompenti, uomini “a disagio, ma incapaci di allontanarsi”.

Racconti in cui lo scritto è solo l’ordito essenziale, una trama appena abbozzata.Il resto, le conclusioni (conclusioni?) stanno in chi legge, un percorso abile verso una complicità da raggiungere. Perché è nella densità della scrittura la straordinaria vocazione di chi scrive, parole scolpite che rimandano all’essenzialità del linguaggio poetico e che trovano nel titolo, Il mondo ha occhi di pietra, una sintesi straordinaria tra contenuto e linguaggio.

Sono ingredienti scelti e distillati in poche parole, precipitati in conclusioni fulminanti. Una scrittura studiata, raffinata, che evidenzia le molteplici, inquietanti sfaccettature del reale.Storie che possono trascinare in una fuga precipitosa verso la fine nell’attesa di uno scioglimento dell’enigma dell’esistere, o che possono arrivare come un fendente a imporre la necessità di un tempo lungo, una pausa, una sospensione.