sabato 27 settembre 2014

La poesia della domenica - Paul Verlaine, Versi per essere calunniato

J. W. Waterhouse, Il Sonno e la Morte
Poesia composta da Verlaine durante la relazione con Arthur Rimbaud.
La contemplazione del corpo dell’amante addormentato sublima, in virtù della metafora Sonno-Morte, in una vertiginosa riflessione sulla caducità dell’amore e dell’agire umano; il quarto verso, una citazione letterale tratta dal libro di Ecclesiaste, rende il sonetto una versione moderna e malinconica della vanitas barocca.
Straordinario il verso finale: il poeta chiede all’amato, di ritorno dal mondo del Sonno e, quindi, della Morte, se esista o meno una speranza ultraterrena – un’invocazione quieta e disperata, sospesa tra la speranza più esile e la certezza dello scacco.

Questa sera mi ero chinato sul tuo sonno,
Casto dormiva il tuo corpo sul letto modesto,
E, come qualcuno che studia e legge, ho visto,
Ah! Ho visto, che tutto è vano sotto il sole!

Essere vivi, oh che delicata meraviglia,
Tanto il nostro organismo è già reclino fiore!
Oh pensiero che sfocia nell'insania!
Va', caro, dormi! Il terrore per te mi tiene desto.

Ah miseria d'amarti, mio fragile amore
Che vai respirando come un giorno si spira!
Oh sguardo chiuso, come lo farà la morte!

Oh bocca che ridi in sogno sulla mia, bocca
In attesa dell'altro riso più feroce!
Svegliati, presto. L'anima, dì, è immortale?

mercoledì 24 settembre 2014

Un libro vale zero (ecco perché lo comprano sempre meno)

Questo libro sembra
Anna Karenina,
ma non lo è
G. Luca Chiovelli

Parabola del libro: da oggetto venerabile, custode del sapere, a contenitore di prosa.
Una prosa qualsiasi.
Dopo anni di sforzi utilitaristici il mostro è partorito: il libro è divenuto puro testo.
Tutta la sua profonda fascinazione, l'insieme di quegli elementi esterni al contenuto dello stesso (quelli materiali, ovvero la qualità della carta, la cucitura, la sobrietà della copertina, la pulizia nell'impaginazione, la cura e la nettezza dei caratteri, l'ariosità dei margini; e quelli spirituali: la possibilità di creare una biblioteca di edizioni scelte e durevoli, il lento accumulo di classici da trasmettere, quale bagaglio di base, a figli e nipoti) è stata raschiata via, accuratamente e con successo.
Un libro oggi si offre esclusivamente per il proprio nudo contenuto (spesso miserrimo).
Che senso ha entrare in libreria oggi?
Che senso ha acquistare tomi o brossure volgari, stampate su carta riciclata, dalle copertine sensazionali, patetiche o squillanti sino al kitsch più estremo, afflitte da traduzioni sciatte o tirate via per compiacere l'editore che vuol ramazzare talleri sulla scia della pubblicità globale, o impaginate in tutta fretta, per timore che l'effetto di recensioni o premiazioni farlocche si esaurisca nella mente dei residui lettori, zombie con la memoria dei pesci rossi?
Nessun senso se non l'acquisto del puro testo.

25 euri = 2,8 chili di bistecche
di costa di bovino adulto
presso centro Ipercarni
25 euro (venticinque) per leggere l'ultima sequenza di parole di Ken Follett.
Per l’intera trilogia occorrono 75 euro (settantacinque).
Esaurita la prima e unica funzione, il pacco di carta è subito avvertito come superfluo, un pacco di carta da cestinare, o demansionare (come regalo; ricordiamo: il valore è zero) o avviare verso i centri di riciclaggio più prossimi (mercatini, bancarelle dell'usato, bibliolibrerie gratuite, bookcrossing). L'ultima ossessione dei lettori italiani, infatti, è disfarsi dei libri, manco fossero macchine per la fonduta.
Il libro, concepito come puro contenitore di testo, diviene, infatti, uno dei tanti elementi del ciarpame di consumo transeunte che intasa le nostre case: gadget elettronici, oggettistica etnica, bigiotteria, poster, elementi d'arredo dal design postmoderno o finto tradizionale, cascami d'acquisti turistici.
Il destino comune e inevitabile, di libro e ciarpame, è, insomma, la dis-carica.
Rispetto al ciarpame, il libro, quale puro testo, presenta, però, tre enormi e ineliminabili svantaggi commerciali.

1. Aliena, con forza progressiva, il lettore forte e motivato (per sostituirlo con le pericolanti e sopravvalutate legioni di quelli occasionali).

Questo non è un libro
2. È meno appetibile rispetto a cellulari, pc e tablet, oggetti che consentono di gustare la vera letteratura dominante: lo spizzico in rete (facebook, wozzap, commenti, ripicche, pseudorecensioni, goliardate, informazione spazzatura, giochi).

3. È ampiamente sostituibile. Ragiona, infatti, il potenziale lettore: perché devo spendere 10, 15, 20, 25 euro per mettermi in casa un ammasso di carta (una sequenza di parole) che occupa spazio, è brutto, non arreda, fa polvere, quando posso scaricarlo di strasforo, oppure prenderlo in biblioteca oppure, ipotesi ghiottissima, non comprarmelo affatto (tanto c'è la letteratura alternativa: facebook, wozzap et cetera).

Una frangia minoritaria, ovviamente, pagherà il dovuto e se lo tracannerà come e-book, ma sappiamo tutti che l'e-book non sostituirà mai la fetta perduta del cartaceo: anche per cause eminentemente fisiche (gli occhi, la cui evoluzione ha tempi difformi rispetto a quella digitale, si stancano presto, la concentrazione crolla, gli altri sensi rifiutano la simbiosi con silicio e plastica et cetera).
Blande previsioni:

A. Si punterà sempre più su letteratura mordi e fuggi (quella di cui si legge una riga sì e due no), l'unica a potersi davvero apprezzare in pdf o epub o kindle (il serpente che divora se stesso).

Neanche questo
B. Il panorama si affollerà ancor più di testi sensazionalistici, legati all'attualità più sudicia e volatile, oppure di testi gonfiati dall'evento di massa (propaganda da lancio mondiale, costruzione artefatta di autori e mode, strombazzamenti da vittorie di campielli e strega, da recensioni a pagamento, da lappate massoniche).

C. Al di là di tali fenomeni steroidei, il libro come puro testo - a valore zero, oggetto fra gli oggetti - si ridurrà conseguentemente a zero, a gratuito allegato di eventi di massa ben più godibili e spettacolari: blockbuster, show televisivi, videogiochi, gadget (esempio: la bibliografia di Faletti o Camilleri in omaggio con l'acquisto del nuovo super-ipad; un film fresco di Oscar in omaggio con l’acquisto di un pacchetto streaming).

D'altronde, chiediamoci: perché non dovrebbe accadere questo? Il sistema di trasmissione culturale è inceppato o sabotato; il passato negletto. Ci resta il qui e ora: il pasto veloce, le patatine precotte, le fettuccine al ketch up.
A meno di non puntare presso qualche antiquario di delicatessen.
O digiunare: in fatto di libri si può fare senza sforzi.

Ecco: questi sono libri

La macchina macinatesi, ovvero Trappole editoriali per neolaureati ingenui


Maria Teresa Carbone
Siete un giovane laureato e vi state spremendo le meningi per trovare un lavoro che preveda una sia pur minima retribuzione, quando ecco che una mattina, aprendo la vostra casella email, trovate un messaggio diretto proprio a voi, con tanto di nome e cognome, e proveniente da una sigla - Edizioni Accademiche Italiane - della quale con ogni probabilità non avete mai sentito neanche parlare - ma che si definisce «membro di un gruppo editoriale internazionale, che ha quasi 10 anni di esperienza nella pubblicazione di ricerche di alta qualità supportate da noti istituti in tutto il mondo».
Siete sospettosi, ovviamente, ma la vostra situazione precaria vi impedisce di scartare a priori una qualsiasi offerta. E in questo caso la proposta sembra interessante, visto che l'editore in questione «sta pianificando di pubblicare libri proprio nel campo» dei vostri studi e, a farla breve, vi sta dicendo che sarebbe potenzialmente interessato a pubblicare la vostra tesi, individuata fra quelle depositate nell'archivio elettronico della vostra università.
Aspettate, però, prima di dire di sì. Dietro questa proposta apparentemente vantaggiosa si nasconde una vera e propria industria su scala mondiale, già segnalata qua e là anche in Italia (per esempio nel blog Lanzaimer sotto il titolo Editoria predatoria), e più di recente smascherata in un'inchiesta condotta da un giornalista scientifico americano, Joseph Stromberg e pubblicata da Slate).
Dopo avere ricevuto l'offerta di pubblicare la sua tesi da un fantomatico Lap, Lambert Academic Publishing, anch'esso - guarda caso - appartenente a un "top international publishing group", il giovane Stromberg ha infatti deciso di vederci più chiaro, sottoponendosi come cavia al suo stesso esperimento.
Nel giro di pochi giorni ha appreso senza grande sorpresa che la sua tesi aveva passato il vaglio dell'editore e ha ricevuto il contratto: i diritti esclusivi del testo sarebbero passati alla società tedesca da cui dipende il gruppo Lambert (e anche le Edizioni Accademiche Italiane), la AV Akademikerverlag GmbH & Co. KG, di recente rinominata OmniScriptum.
Sarebbero stati loro ad accollarsi le spese di pubblicazione, mentre all'autore del libro sarebbe andato il 12 per cento delle royalties, a patto però di incassare almeno 50 euro al mese per un anno.

martedì 23 settembre 2014

Giornate della traduzione letteraria, omaggio a "una tuttofare del passaggio tra due lingue"

Come ormai è tradizione, nel corso delle Giornate della traduzione letteraria, la cui dodicesima edizione avrà luogo a Urbino dal 26 al 28 settembre, si terrà la cerimonia di consegna del premio Zanichelli, concesso a traduttori letterari per l'insieme delle loro attività o a personaggi del mondo culturale che si sono contraddistinti per il loro impegno a favore della traduzione. Quest'anno il premio viene assegnato a Anna Ravano, voce italiana di autori come Bernard Malamud, Isaac B. Singer, Sylvia Plath, e  Monteverdelegge ha il piacere e l'onore di anticipare qui il suo discorso di accettazione.
Anna Ravano
Mi sono sempre definita “traduttrice” ma in realtà nel corso della mia carriera sono stata piuttosto una tuttofare del passaggio fra due lingue: nell’ordine, insegnante, traduttrice di narrativa e saggistica, redattrice/revisora, compilatrice di dizionari, traduttrice di poesia, consulente redazionale. Una tuttofare, per di più, che, sia per gli studi fatti in anni in cui non esistevano percorsi universitari dedicati alla traduzione e c’erano pochi testi di teoria della traduzione, sia per la sua forma mentis, ha sempre avuto un approccio alla traduzione molto pratico e poco teorico.
Il premio che oggi ricevo, con emozione e gratitudine, mi ha fatto riflettere su tutte quelle attività e ho concluso che probabilmente sono stata fortunata ad averle svolte in quell’ordine, perché da ciascuna ho tratto una visione dei rapporti e del passaggio tra l’inglese e l’italiano che ha arricchito l’attività successiva. Dirò quindi qualcosa sulle lezioni che ho imparato, sperando di non restare invischiata nella pura autobiografia e di offrire qualche spunto di riflessione utile anche a chi ha fatto un percorso diverso, e penso soprattutto ai più giovani che si sono formati e lavorano in una realtà molto diversa.
Ho scoperto abbastanza presto, sui quattordici-quindici anni, che mi piaceva arrovellarmi su come dire in italiano quello che leggevo in inglese. All’università negli anni ’60 l’insegnamento della lingua era decisamente secondario a quello della letteratura: in pratica bisognava già averla studiata e continuare a perfezionarla per conto proprio. Ho però avuto due insegnanti che ricordo con gratitudine, Ermanno Barisone e Goffredo Miglietta, allora giovani assistenti, con i quali traducevamo brani di Dylan Thomas, Virginia Woolf, Henry James. È stata una scuola eccellente e alcune di quelle traduzioni le conservo ancora.

domenica 21 settembre 2014

La poesia della domenica - Friedrich Schiller, La spartizione della terra

Una poesia semplice: è il dialogo fra due sconfitti, il dio supremo della grecità, Zeus, in atto d'abdicare a favore degli uomini, e il poeta, suo spirituale cantore. 
È una resa al mondo e alla volgarità, il dileguarsi di un'epoca eroica e devota al culto della bellezza.
Il poeta, estraneo alle cure terrene, arriva tardi alla divisione: 'Dov'eri mai quando si spartì il mondo?', chiede il dio. 'Con te, disse il poeta, io stavo'. Da qui l'invito finale del nume all'artista ('Se tu con me vuoi viver nel mio cielo,/Quando verrai per te rimarrà aperto') che inclina la composizione a una calma malinconia.
I temi anticipano il Decadentismo; lo svolgimento, però, è privo di languori e ombre: nitido, luminoso, composto; classico.



Prendete il mondo! Disse Zeus dalle sue cime,
Agli uomini, prendete, sarà vostro.
Ve lo dono in eredità e in legato eterno,
Spartitelo però come fratelli.

Allora ciò che ha mani si affretta a sistemarsi,
Giovani e vecchi, tutti si affaccendano.
Il contadino colse i frutti della terra,
Il gentiluomo andò a caccia nel bosco.

Prende il mercante quanto sta nei magazzini,
L'abate sceglie il vino nobile invecchiato,
Il re mette barriere a ponti e strade,
E dice: la decima è mia.

Tardissimo, da tempo ormai si era spartito,
Giunse il poeta, veniva da lontano,
Ma ovunque non c'era più nulla in vista
E tutto aveva il suo padrone.

Povero me! Così fra tutti solo io
Sarò scordato, il tuo figlio più fedele?
Così risuonò alto il suo lamento
Ed egli si prosternò al trono di Giove.

Se tu indugiasti nella terra dei sogni,
Rispose il dio, con me non lamentarti.
Dov'eri mai quando si spartì il mondo?
Con te, disse il poeta, io stavo.

Il mio occhio era attratto dal tuo volto,
Il mio orecchio dall'armonia del cielo tuo.
Perdona allo spirito che, dalla tua luce inebriato,
Smarrì ciò che è terreno!

Che fare! Disse Zeus, già preso è il mondo,
Non son più miei l'autunno, la caccia e il mercato.
Se tu con me vuoi viver nel mio cielo,
Quando verrai per te rimarrà aperto.

da Poesie filosofiche, 2005 (Traduzione di Giovanna Pinna)

venerdì 19 settembre 2014

Il cinema italiano è vivo e lotta insieme a noi

Marielena Del Balzo
Una nostra intervista a Mariaelena Del Balzo, una delle più promettenti attrici italiane, ora lanciatissima anche a livello internazionale.

Come ha iniziato a recitare?
Una mia amica mi ha proposto un corso di recitazione, è nato come un gioco. Al primo spettacolo credevo di morire. A poco a poco ci ho preso gusto.
A quel punto non potevo più tirarmi indietro, benché restassi inquieta: recitare mi piaceva, mi divertiva anche se non era la cosa che volevo assolutamente fare.

Nell'acting ricerca la perfezione?
No, non mi interessa la perfezione che è statica, non reale, perché la vita ti leva e ti dona. Ti ricompensa sotto altre forme, a patto di saper guardare.

A ottobre uscirà il suo film americano, Inside June, con la straordinaria Jessica Lange. Come è stato recitare con lei?
Un'emozione fortissima! Jessica possiede questo modo di guardarti con i suoi occhi blu, diretto, come se volesse farti un esame di coscienza. Esige il massimo da te, tutta la tua professionalità. Però ha un lato nascosto, più vulnerabile. Fra donne si capisce. Ed è ancora bellissima! La guardavo e rimanevo stordita dalla sua freschezza. La bellezza nelle donne mi rapisce.

E De Niro?
Lui è eccezionale. Un vero mostro sacro. La parte di Bob, un ex poliziotto rude, ma bonario, che, pian piano, entra in confidenza con June e cerca di proteggerla dalla verità ... Un ruolo commovente ...

June rivede la madre dopo decenni, dopo che l'aveva abbandonata da piccola ... Alla fine del film c'è questo incontro molto toccante in cui tutto il passato viene al pettine ...
Quella è la scena del film ... La scena a cui tende tutto il film ... in cui le due donne si riconoscono come se fossero attratte da una relazione intima e sconosciuta ... Un momento straziante, ma di grande commozione ...

Dove la madre, questa figura lontana, ammette le sue colpe e si scopre più vicina di quanto pensasse alla figlia ...
Sì, in fondo sono due creature simili, gemelle, capaci di abbandonarsi ed esplorare anche quei luoghi oscuri dell'anima che il film evoca.

In Italia lei è divenuta famosa con la serie Valeria a tutte le ore, storia di una ragazza madre che è costretta a prostituirsi per sbarcare il lunario ... Un vero shock per il pubblico italiano delle televisioni generaliste ...
Valeria mi ha rapita un momento particolare della vita. In cui non mi andava più di stare al sicuro, protetta nascosta. E poi questo nostro incontro e stato davvero come un circuito elettrico che si chiudeva. E stato come mettere in gioco tutta me stessa, una puntata alla roulette della vita, ho puntato tutta la mia vita su un numero.

Le è andata bene a quanto pare!
È stato un vero sfinimento fisico entrare nella pelle di Valeria, un training estenuante che mi ha lasciata svuotata. Alla fine è stato come nascere in lei, adattarmi alla sua anima e alla memoria scottante del dolore.

E il suo partner maschile, Christian Collioni?
Christian è stato fantastico. C'è stato un momento durante la lavorazione in cui un po' per fatica, un po' per il periodo no, ero davvero a pezzi. Christian mi ha sopportato e supportato. Soprattutto la notte. Se non vagavo per l'insonnia, sognavo una gigantesca insegna al neon che diceva: farai una figuraccia. Non avrei mai potuto arrivare alla fine delle riprese senza di lui. E lo dico senza smancerie, come fatto.

Lei ha girato anche un film in Inghilterra ...
Il regista è Cuny l. Inglewood, una figura mitica del cinema indipendente britannico. Matto come un cavallo, ma artista fantastico.  Puppets have rabies è un film di sessanta minuti diviso in tre sezioni di venti che riprende in presa diretta diversi momenti della vita della protagonista, Yoni. Ha partecipato con successo anche al Festival del free cinema di Edimburgo.

Che personaggio è Yoni?
Una donna che vive il suo tempo. Indipendente, bella, disinibita, incurante delle convenzioni sociali e proprio per questo sola ... La sua esistenza è un viaggio alla ricerca di se stessa.

Quale modello di donna preferisce?
Sicuramente la donna indipendente, forte. Sono tante le donne forti. Quelle che tirano su da sole quattro figli, quelle che lavorano in fabbrica .... Forse anche la mia Yoni a modo suo lo è, perché sceglie di non essere l'oggetto del desiderio maschile, ma di essere lei quella che decide ... anche se questo suo rifugiarsi nei rapporti occasionali potrebbe essere anche una debolezza.

Qual è l'uomo della sua vita?
Vorrei un uomo capace di aprirmi porte verso spazi sconosciuti. Che mi stupisca. Che adoperi la fantasia. Qualcuno dirà: ma quanti cavoli, vuoi la luna. Ma sono stufa di fare sempre la parte della trascinatrice. Lo ammetto, sono esigente. Nelle amicizie come nell'amore. E mi piace ridere.

Come va con il suo attuale compagno?
Ogni rapporto ha i suoi momenti up and down ...

Non insisto! Cosa ispira il suo acting?
Prendo spunto anche dai look che vedo per strada, quando mi colpiscono molto. Magari vedo una donna bella e cerco di capire cosa racchiude quella bellezza. So che è impossibile perche la bellezza è un'essenza, ma quel che mi colpisce rimane, e cerco di trasmettere quell'emozione quando sono sul set.

Quindi è una sognatrice?
Ho tante sfaccettature, a seconda del momento vario da un estremo all'altro, per il cibo, l'arredamento e ovviamente i vestiti ...

Le piace curiosare nel mondo della moda?
A volte faccio mix and match, con pezzi firmati e pezzi low cost, ma preferisco mixare capi vintage a capi preziosi, mi piace molto cercare nell'armadio della nonna o scovare qualche capo nel classico negozio da sciura. Tutto è legato alle sensazioni del momento. L'acquisto oggi è emozionale, ma dietro alle cose deve esserci una storia, per me è così con gli abiti, i gioielli e naturalmente i viaggi. New York? Va bene, ma solo se ci passo per andare altrove ....

Ha paura di invecchiare?
Non bisogna nascondere gli anni. Mi piaccio di più che a 20: ero piena di paure, di insicurezze.

Che rapporto ha con il corpo?
Lo tratto con rispetto. Lo affido alle cure di un team di specialisti: l'esperto di pilates, l'insegnante di Gyrotonic, il fisioterapista, il massaggiatore.

E il cibo?
Oggi sono la dietologa di me stessa, conosco ciò che mi nutre. E ciò che mi toglie energia come i latticini, ai quali sono intollerante. Preferisco le zuppe ai dolci. Ma nessuna restrizione, prima di un impegno pesante la pasta è perfetta.

Ottenuta la fama cerca di regolare la sua vita e la professione?
Diciamo che oggi amministro le mie forze con consapevolezza. Se sono stanca mi fermo, ma il riposo forzato non mi è mai piaciuto, ricordo il senso d'insofferenza sotto l'ombrellone, quando da bambina i miei mi portavano a Capocotta. Che tortura stare ferma!

Un'ultima domanda. Perché il cinema italiano fa così schifo?
Il cinema italiano, quale corrente culturale unitaria e creatrice, non esiste più da almeno un trentennio. Uno schianto epocale. Forse ci ha infrolliti il welfare. O la democrazia politically correct. Non so.

Forse è il bacon del McDonald's. Complimenti, non mi aspettavo tale impennata di sincerità. In cauda venenum. La ringrazio per la disponibilità; e la cortesia.
Ma le pare.

* * * * *

Ringraziamo le più valenti, famose e celebrate attrici italiane per averci fornito le risposte più prevedibili, scipite e goffe: tutte quelle comprese nell'articolo. 
A parte le ultime due.

martedì 16 settembre 2014

Non c'è proprio modo di liberarsi degli scrittori italiani?

G. Luca Chiovelli

Di quegli scrittori, beninteso, che imbrattano la carta (il pdf, on the contrary, vanta una propria innocenza).
Quelli che oggi affliggono (come il punteruolo rosso affligge i palmeti) le foreste di pioppi e betulle da carta, alberi modesti, utili e inoffensivi.
Quel generone fluviale, insomma, sazio, permaloso e gradasso, che schianta le scaffalature degli empori con pletore di titoli inversamente proporzionali alla salute del libro, delle vendite, della letteratura e dell'intelligenza.
Quelli là. Quasi tutti.
La risposta alla domanda ("Non c'è proprio modo ...") sarebbe positiva. Si, possiamo. Eppure manca la volontà. Culturale, politica, civile.
Che nazione flaccida!
Io, per me, con implicita richiesta d'aiuto, propongo una soluzione semplice e definitiva al problema (lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi/fossi ...).
La presenterò più avanti.
Ora vi invito a compulsare l'oggetto della riprovazione, ovvero la letteratura prodotta oggi dai letterati italiani: in tal modo potrete meglio siringare con la crema del disgusto il bignè della vostra determinazione (la metafora è in linea con la qualità dei brani trascelti).
Sono venti passi tratti da vendutissime opere di letteratura italiana contemporanea. Presi a caso (ce ne sono, quindi, di peggiori).

[Obiezione: potrebbero, però, essercene di migliori!
Risposta: no, lo escludo].

Esempio 1. La cosa più difficile è far capire. Quella sofferenza che è dentro. Immensa. Senza fondo. Che non lascia trasparire nulla. Perché dall'esterno non si vede. Nessun segno nessun indizio.

2. "Tu sei una stella cometa".
Me lo ha detto un giorno un'amica dopo avermi sentita alla radio. Il suono della mia voce l'aveva svegliata la mattina, invadendo le stanze ancora piene di sonno.
"Perché una stella cometa?".
"Non so ... È l'immagine che mi viene quando penso a te. Forse perché lasci dietro di te una scia di polvere d'oro dove gli altri possono camminare".

3. Ludovica gli aveva spiegato che la cosa che amava di più con Marco era prenderglielo in bocca. E che non c'era niente al mondo che la eccitasse di più che sentirselo in bocca. Allora Semi aveva provato, con estrema delicatezza, a chiedere di farlo anche a lui. Lei si era rifiutata e lui non aveva insistito.
In compenso gli offre mille altri dettagli sulla storia della sua vita intima. Inizia a masturbarsi all'età di quattro anni ...

4. Quando lui è entrato dentro di me ho sentito tutti i muscoli cedere di schianto, e non solo quelli che tengono insieme le ossa ... Ma piu invisibili lacci la cui esistenza ignoravo ... Un capestro invisibile che si spaccava e liberava i pensieri. E loro, i pensieri, in un attimo mi sono rotolati via dalla testa e hanno preso a vorticarmi intorno come costellazioni.

domenica 14 settembre 2014

Parole come frutti rinvenuti sui rami

Qualche giorno fa è mancata Jacqueline Risset: poetessa, saggista, traduttrice, tra le figure centrali nella vita cuturale italiana e francese della seconda parte del Novecento. Tra le sue imprese maggiori, la traduzione della Divina Commedia per Flammarion. E proprio con un suo testo sulla traduzione della poesia uscito nel 2011 sulla rivista della Bibiothèque Nationale e poi in italiano, il 3 maggio 2012, sul "Manifesto", la vogliamo ricordare. (E' questo oltre tutto un tema molto caro a Monteverdelegge, il cui Laboratorio di traduzione poetica, curato da Fiorenza Mormile, sta per riprendere i suoi incontri).

Jacqueline Risset

La poesia compensa la dispersione di Babele e l’incompletezza delle lingue. È la sola a detenere, come dicono i semiotici, «l’infinità del codice». L’atto poetico consiste, si sa, nel legare indissolubilmente il suono e il senso – è il mezzo trovato dai poeti per rimediare all’arbitrarietà della lingua. Grazie alla poesia si ritrova il sentimento di abitare davvero la lingua.
Ma per questo stesso motivo, poiché la poesia è poesia, essa in certo modo rende la traduzione strana o piuttosto impossibile. E in effetti cosa ha a che fare qui la traduzione? È in una maniera del tutto costante e consapevole che i poeti annodano ben stretto quello che introducono e  tengono insieme nel testo poetico. Messaggio essenziale è ogni volta il legame, l’indissolubile, il microcosmo. Il ritmo, il metro, il gioco delle rime e delle assonanze impediscono la fuga a ognuno degli elementi impegnati nell’impresa.
Eppure esiste un desiderio di tradurre. L’emozione alla lettura di una poesia in una lingua straniera, cioè
dotata dell’evidenza musicale che assumono le parole trattate dal poeta in un altro idioma, suscita in un poeta o in un lettore amante della poesia – proprio come un paesaggio sconosciuto agli occhi di un pittore – un desiderio di prolungare, di esplorare questa emozione, di comprenderla rilanciandola.
L’atto che ne segue,  cambiare le parole con quelle di un’altra lingua, comporta sicuramente un desiderio di appropriazione: «mangiare la poesia» – ma non solo. Si tratta anche di un movimento musicale, accompagnato dal desiderio di vedere quello che il testo diventa altrove. Inoltre, immergendolo, questo testo, in un ambiente
che non conosceva, può dare forse alla lingua (quella su cui il lettore-traduttore lavora quotidianamente, materia ricca e familiare) nuove possibilità espressive alle quali la lingua non aveva ancora pensato...
Gioco di distruzione-ricomposizione che smuove due paesaggi e ne inventa un terzo, memore degli altri due?
La difficoltà comincia presto. Tutti i traduttori si sono trovati un giorno o l’altro a confronto con questa esperienza – l’«impossibilità di tradurre» – cioè con l’inadeguatezza del risultato al loro lavoro, con l’incapacità di trasporre in un equivalente vero il testo da cui erano partiti, loro che sognavano di ritrovarlo tale e quale alla fine del viaggio linguistico. Delusione, scoraggiamento, riflessione disincantata su quello che il Medio Evo definiva «la catastrofe di Babele».
Dante stesso aveva formulato molto esplicitamente l’impossibilità di tradurre la poesia o per lo meno la riduzione, la «rottura» inevitabile che la traduzione della poesia comporta. Si legge nel libro I del Convivio «E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può da la sua loquela in altra transmutare sanza rompere tutta sua dolcezza e armonia» Convivio, VII, 14)

mercoledì 10 settembre 2014

Una giornata a Betlemme


di Elvira Sessa

Vorrei raccontarvi di Betlemme: una città adulta e bambina, feroce e disarmata, una miscela di fantasia e realtà, follia e ragione, sogno ed incubo.
L'ho visitata due settimane fa con un gruppo di amici italiani durante un viaggio a Gerusalemme.
A portarci lì è stato un autobus fantasma: le sue fermate, lungo i dieci chilometri che separano Gerusalemme da Betlemme, non sono segnate sui cartelloni israeliani.

Ci ha accolto, all’arrivo, un muro silenzioso di otto metri di cemento, coronato da fili spinati e puntellato da videocamere. Passati dall'altra parte, in Palestina, dopo aver velocemente superato i tornelli del “Checkpoint 300”, il muro ha acquistato vita: ci ha raccontato della rabbia e voglia di riscatto della sua gente (la scritta “Don't forget the struggle” con accanto il ritratto di Leila Khaled, membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) ma anche dei sogni dei suoi bambini (c'è una frase che dice, in italiano: “Lascia che il tuo cuore parli”) e di messaggi di affetto (“With love and kisses, nothing lasts forever”).
Quella voglia di pace e di sogni l'abbiamo toccata con mano al Caritas Baby Hospital, l’unico ospedale specializzato in pediatria della Palestina, fondato nel 1952 da un sacerdote svizzero (padre Ernst Schnydrig), un medico palestinese (dott. Antoine Dabdoub) ed una cittadina svizzera (Hedwig Vetter), per assicurare assistenza sanitaria di base ai bambini vittime del conflitto israelo-palestinese. Lo abbiamo visitato con Suor Lucia, veneta, membro dello staff della struttura. Nel bacino di utenza dell'ospedale (Betlemme ed Hebron) vivono più di 300.000 bambini privi di assistenza medica. Il personale ospedaliero è tutto locale: per metà cristiano, per l'altra musulmano. Ogni anno la struttura cura gratuitamente quasi 30.000 bambini fino ai 16 anni, senza distinzione di religione e sociale.
All'inizio”, ci ha spiegato suor Lucia, “la maggior parte di loro proveniva da Gaza e dalla Samaria. Oggi, per lo più, i piccoli vengono da Ramallah, Gerusalemme, dai campi profughi palestinesi; per via del blocco umanitario, da Gaza ora abbiamo solo 5 bambini.” Negli 82 letti dei vari reparti vengono accolti in media ogni anno circa 4.000 piccoli. “Una buona parte di loro soffre di malattie genetiche” ha osservato suor Lucia. E ben si spiega, come ci fa notare: “dal 2004 in poi, i checkpoints hanno isolato e imprigionato villaggio per villaggio; conseguentemente, è diventato molto difficile uscire dal clan familiare e sono aumentate le unioni tra consanguinei”.
La particolarità della struttura è che coinvolge anche le mamme: 46 posti letto sono per loro. “La loro presenza è fondamentale perchè saranno loro, una volta dimessi i bimbi, a dare una continuità alle terapie” ha aggiunto suor Lucia. Mamme che sono, a loro volta, penalizzate socialmente, come ci ha spiegato: “Nel mondo musulmano, le mamme di figli malati sono viste come categoria di serie B e il marito ha il diritto di trovare un’altra donna”.
Usciti dal Caritas Baby Hospital, abbiamo visitato la Basilica della Natività di Betlemme e la vicina “Grotta del Latte” nei cui bagni non siamo potuti entrare: chiusi per mancanza di acqua. Abbiamo poi gustato, in un ristorante nella piazza principale, un buon pranzo a base di fattouche e tabbouleh con baklawa offerto dalla casa, mentre ascoltavamo alternarsi il canto del muezzin della Moschea di Omar e le campane della dirimpettaia Basilica della Natività.
Fattasi ora di rientrare, siamo andati al checkpoint. Stavolta ci siamo rimasti un bel po'. Una attesa interminabile.
Il checkpoint è un prefabbricato dalle finestre minuscole e dalle forti luci a neon. Siamo rimasti lì, in attesa che i militari israeliani ci dessero il permesso di passare ai controlli. Con noi c'era un signore che doveva andare a lavorare a Gerusalemme. Non protestava, sapeva che lì funziona così: a volte ci trascorri un'ora, altre volte due, altre volte... chissà... il checkpoint può rimanere chiuso. C'era anche una signora anziana con il suo permesso per uscire. Sì, perchè quando finalmente arrivano al cospetto dei militari, a volte dopo ore di fila in un fiume di gente, i palestinesi devono documentare le ragioni dell'uscita. Sara, un'infermiera italiana del nostro gruppo che va a Betlemme tutti gli anni, ci ha spiegato che una volta, aveva visto una ragazza mostrare ai militari il permesso per andare a visitare la madre malata in ospedale a Gerusalemme, precisando l'orario di uscita e quello previsto per il rientro, orario che va sempre tassativamente rispettato, per non aver problemi nell'uscire di nuovo.
A Betlemme si vive così, come in un carcere.
Per fortuna, ci sono anche altre realtà come quella di “Machsomwatch”: movimento di israeliane contrarie all'occupazione israeliana e in favore della libera circolazione dei palestinesi nei loro territori. Le attiviste che ne fanno parte, per la maggior parte mamme e nonne, fungono da piccole antenne dei diritti umani nei checkpoints israeliani: verificano che i controlli dei militari e le perquisizioni vengano fatti nel rispetto dei diritti umani e documentano con regolarità, in report pubblicati sul sito http://www.machsomwatch.org, ciò che vedono ai checkpoints e trasmettono tali reports alle istituzioni pubbliche.


Proposte di lettura
  • Gerusalemme senza Dio, di Paola Caridi (Feltrinelli, 2013)
  • Caduto fuori dal tempo, di David Grossman (Mondadori, 2012)
  • Neve a Gaza, di Vincenzo Soddu (Caracò, 2013)
  • Israele senza Palestina, Limes - Rivista italiana di geopolitica, 1/2010.
  • La battaglia per Gerusalemme, Limes, Quaderni Speciali, 2010
  • Il signor Mani, di Yehoshua Abraham (Einaudi, 2005)
Filmografia

  • Miral (2010) - Julian Schnabel
  • Il tempo che ci rimane (2009) - Elia Suleiman
  • Lebanon (2009) - Samuel Maoz
  • Il giardino dei limoni (2008) - Eran Riklis
  • Valzer con Bashir (2008) - Ari Folman
  • Vai e vivrai (2005) - Radu Mihaileanu
  • Private (2004) - Saverio Costanzo 

domenica 7 settembre 2014

Poetitaly, incontri ravvicinati con la poesia al Corviale


Elisa Longo 
Ivan Selloni
Ultimo appuntamento stasera alle 19 alla cavea di Corviale (ingresso largo Tabacchi) con il contest di poesia Poetitaly, firmato Simone Carella, parte della programmazione dell’estate romana 2014. Un’estate romana che ha aperto le braccia a Corviale, il chilometro di cemento, o alla romana “il serpentone”, divenuto così il palcoscenico dove grandi nomi della poesia italiana come Jolanda Insana e Nanni Balestrini e nuove realtà come I Poeti Der Trullo s’incontrano recitando i propri versi.
La cavea, un vero teatro greco all’interno del palazzo purtroppo finora spesso inutilizzata, ha in queste serate un pubblico eterogeneo, piccoli e grandi, curiosi e studiosi: uno spazio pubblico lasciato all’incuria che finalmente si anima e si colora grazie al lavoro fatto dai Pittori Der Trullo. La magia della poesia underground e il fascino degli artisti sull’orchestra, così è chiamato il palco centrale nei teatri dell’antica Grecia, hanno avvolto e ipnotizzato il pubblico. Tanti gli artisti che si sono succeduti, chi accompagnato da tamburelli, chi da piccoli gong e chi dai soli fogli di lettura.
Conduce le serate Andrea Cortellessa, critico letterario e professore associato dell’università di lettere di Roma Tre. Un incontro inaspettato, ravvicinato (del terzo tipo?) con una realtà che si sta lentamente aprendo al mondo esterno, che sta varcando la soglia della cultura e dell’intrattenimento.
Ci sarà spazio anche ai nuovi mezzi di comunicazione con il Facebook Poetry laboratorio telematico di poesia. Decine di poeti in collegamento da tutta Italia (e non solo) daranno vita alla singolarissima sfida in rete. Il pubblico presente (e a casa) potrà sia partecipare che votare il testo più riuscito.
Il programma di questa sera prevede proprio l’incontro tra Nanni Balestrini e I Poeti Der Trullo giovane realtà poetica che sta portando avanti da anni un lavoro di rinnovamento culturale nelle periferie romane.
i Poeti der Trullo poesie lette da Michele Botrugno – Lilith Primavera
Tommaso Ottonieri
 Nanni Balestrini
 Luigi Cinque
 David Riondino
 Areta Gambaro 
 Taiyo Hist Yamanouchi
 Alessandra Vanzi – Pasquale Innarella
 Luigi Rigoni
 ore 20:30 Facebook Poetry Laboratorio telematico di Poesia a cura di Luigi Socci
Decine di poeti in collegamento da tutta Italia (e non solo) daranno vita alla singolarissima sfida in rete della Facebook Poetry. Il pubblico presente (e a casa) potrà sia partecipare che votare il testo più riuscito.

giovedì 4 settembre 2014

Il racconto del giovedì - Robert Sheckley, Terzo dal sole

Robert Sheckley
I suoi occhi erano già aperti cinque secondi prima che la sveglia suonasse. Non ebbe nessun problema a svegliarsi. Lucidamente cosciente, allungò la mano sinistra nell'oscurità e premette il blocco. La sveglia s'illuminò per un secondo, poi si spense.
Accanto a lui, sua moglie gli appoggiò una mano sul braccio.
«Hai dormito?» le chiese.
«No, e tu?»
«Un po'» rispose lui. «Non molto.»
Per qualche secondo lei rimase in silenzio. La sentì contrarre la gola, e rabbrividire. Sapeva già cosa avrebbe detto.
«Ci andiamo lo stesso?» chiese lei.
Lui dimenò le spalle e respirò a fondo.
«Sì» rispose, e sentì le dita di sua moglie che gli stringevano il braccio.
«Che ora è?» chiese lei.
«Quasi le cinque.»
«Sarà meglio che ci prepariamo.»
«Sì, sarà meglio.»
Non si mossero.
«Sei sicuro che potremo salire a bordo della nave senza che nessuno se ne accorga?» gli domandò lei.
«Pensano che sia solo un altro volo di prova. Nessuno farà controlli.»
Lei non disse nulla. Gli si accostò un poco. Lui si accorse di quanto la sua pelle fosse fredda.
«Ho paura» disse lei.
Lui le prese la mano e la tenne stretta. «Non averne» le disse. «Andrà tutto bene.»
«È dei bambini che mi preoccupo.»
«Andrà tutto bene» ripeté lui.
Lei portò la mano di suo marito alle labbra e la sfiorò con un bacio.
«D'accordo» disse poi.
Si drizzarono a sedere entrambi, nel buio. Lui la sentì scendere dal letto. La sua camicia da notte cadde frusciando sul pavimento, e lei non la raccolse. Rimase immobile, rabbrividendo nell'aria fresca del mattino.