giovedì 4 settembre 2014

Il racconto del giovedì - Robert Sheckley, Terzo dal sole

Robert Sheckley
I suoi occhi erano già aperti cinque secondi prima che la sveglia suonasse. Non ebbe nessun problema a svegliarsi. Lucidamente cosciente, allungò la mano sinistra nell'oscurità e premette il blocco. La sveglia s'illuminò per un secondo, poi si spense.
Accanto a lui, sua moglie gli appoggiò una mano sul braccio.
«Hai dormito?» le chiese.
«No, e tu?»
«Un po'» rispose lui. «Non molto.»
Per qualche secondo lei rimase in silenzio. La sentì contrarre la gola, e rabbrividire. Sapeva già cosa avrebbe detto.
«Ci andiamo lo stesso?» chiese lei.
Lui dimenò le spalle e respirò a fondo.
«Sì» rispose, e sentì le dita di sua moglie che gli stringevano il braccio.
«Che ora è?» chiese lei.
«Quasi le cinque.»
«Sarà meglio che ci prepariamo.»
«Sì, sarà meglio.»
Non si mossero.
«Sei sicuro che potremo salire a bordo della nave senza che nessuno se ne accorga?» gli domandò lei.
«Pensano che sia solo un altro volo di prova. Nessuno farà controlli.»
Lei non disse nulla. Gli si accostò un poco. Lui si accorse di quanto la sua pelle fosse fredda.
«Ho paura» disse lei.
Lui le prese la mano e la tenne stretta. «Non averne» le disse. «Andrà tutto bene.»
«È dei bambini che mi preoccupo.»
«Andrà tutto bene» ripeté lui.
Lei portò la mano di suo marito alle labbra e la sfiorò con un bacio.
«D'accordo» disse poi.
Si drizzarono a sedere entrambi, nel buio. Lui la sentì scendere dal letto. La sua camicia da notte cadde frusciando sul pavimento, e lei non la raccolse. Rimase immobile, rabbrividendo nell'aria fresca del mattino.

«Sei sicuro che non ci serve nient'altro?» gli chiese.
«No, niente. Ho tutte le provviste che ci occorrono a bordo della nave. In ogni caso ...»
«Che cosa?»
«Non possiamo portare nulla oltre il posto di guardia» le disse. «La guardia deve pensare che tu e i bambini state venendo solo per vedermi partire.»
Lei cominciò a vestirsi. Lui gettò via le coperte e si alzò. Attraversò il pavimento gelido, andò all'armadio e si vestì.
«Vado a preparare i bambini» disse sua moglie.
Lui grugnì qualcosa, mentre infilava la testa dentro la maglia. Giunta al-la porta, lei si fermò. «Sei sicuro ...» cominciò.
«Di che cosa?»
«Alla guardia non sembrerà strano che ... che vengano a vederti partire anche i nostri vicini?»
Lui si mise a sedere sul letto e armeggiò con i lacci delle scarpe.
«È un rischio che dobbiamo correre» le rispose. «Devono venire con noi.»
Lei sospirò. «Sembra tutto così freddo, così calcolato.»
Lui si raddrizzò e vide la sagoma di sua moglie stagliarsi sulla soglia.
«Che altro possiamo fare?» le domandò, accorato. «Non possiamo fare sposare fra loro i nostri figli.»
«No» disse lei. «È solo che...»
«Solo cosa?»
«Niente, tesoro. Scusami.»
Richiuse la porta. Il rumore dei suoi passi si attenuò lungo il corridoio. La porta della camera dei bambini si aprì. Lui sentì le loro voci. Un sorriso senza allegria gli si formò sulle labbra. Si direbbe un giorno di festa, pensò.
Infilò le scarpe. Almeno i bambini non sapevano quello che stava succe-dendo. Erano convinti di doverlo semplicemente accompagnare al campo. Pensavano che poi sarebbero tornati a casa e avrebbero raccontato tutto ai compagni di scuola. Non sapevano che non vi avrebbero mai fatto ritorno.
Finì di allacciarsi le scarpe e si alzò. Arrancò verso il comò e accese la luce. Strano che una persona normalissima come lui avesse progettato tutto quello.
Freddo. Calcolato. Le parole di sua moglie tornarono a riempirgli la mente. Be', non c'era altro modo. Entro pochi anni, forse anche prima, l'intero pianeta sarebbe esploso in una vampata accecante. Quella era l'unica via di fuga. Scappare, ricominciare tutto da capo, poche persone su un nuovo pianeta.
Si guardò allo specchio.
«Non c'è altro modo» disse a se stesso.
Guardò in giro per la camera. Addio, vita di ora. Spegnere la lampada fu come spegnere una luce dentro la sua mente. Chiuse delicatamente la porta alle sue spalle e fece scivolare la mano sulla maniglia consumata. Suo figlio e sua figlia stavano scendendo le scale. Bisbigliavano fra loro, con aria misteriosa. Lui scosse la testa, quasi divertito.
Sua moglie lo aspettava. Scesero insieme, mano nella mano.
«Non ho paura, tesoro» gli disse. «Andrà tutto bene.»
«Certo» confermò lui. «Ci puoi scommettere.»
Andarono tutti a fare colazione. Lui sedette vicino ai figli. Sua moglie versò loro del succo di frutta, poi andò a prendere il cibo.
«Aiuta tua madre, bambolina» disse a sua figlia. Lei si alzò.
«Manca proprio poco, papi, vero?» disse suo figlio. «Manca pochissimo, eh?»
«Fai silenzio» lo riprese. «Ricordati quello che ti ho detto. Se ti fai sfuggire una parola con qualcuno dovrò lasciarvi qui.»
Un piatto cadde rumorosamente a terra. Lui si voltò subito a guardarla. Lei lo fissava, con le labbra tremanti.
Poi distolse lo sguardo e si chinò. Cominciò a raccogliere goffamente un po' di pezzi, poi li lasciò cadere, si rialzò e li sospinse verso il muro con un piede.
«Come se avesse qualche importanza» disse, nervosamente. «Come se contasse qualcosa, lasciare la casa pulita.»
I bambini la fissarono sbalorditi.
«Che succede?» chiese la femmina.
«Niente, tesoro, niente» disse lei. «Sono solo un po' nervosa. Torna a tavola e bevi il tuo succo di frutta. Dobbiamo sbrigarci a mangiare. I vicini arriveranno fra poco.»
«Papi, come mai i vicini vengono con noi?» chiese suo figlio.
«Perché» rispose lui, tenendosi sul vago «hanno voglia di farlo. E adesso lascia perdere. Non ne parliamo più.»
La stanza era silenziosa. Sua moglie portò il cibo e lo depose sulla tavola. Solo i suoi passi rompevano il silenzio. I bambini continuarono a scambiarsi occhiate, poi guardarono il padre. Lui teneva gli occhi fissi sul piat-to. Il cibo era insipido, e faticava a mandarlo giù: il cuore gli batteva forte nel petto. L'ultimo giorno. Questo è l'ultimo giorno.
«Sarà meglio che mangi anche tu» disse a sua moglie.
Lei sedette per mangiare, ma mentre sollevava una posata suonò il campanello. La posata le cadde dalle dita quasi paralizzate e finì a terra tintinnando. Lui si affrettò a raccoglierla e posò una mano su quella di sua moglie.
«Va tutto bene, amore» le disse. «Va tutto bene.» Poi si rivolse ai figli. «Andate ad aprire la porta» disse.
«Tutti e due?» chiese la bambina.
«Tutti e due.»
«Ma...»
«Fate come vi dico.»
I due scivolarono dalle sedie e lasciarono la stanza, girandosi a guardare i genitori.
Quando la porta scorrevole li tagliò fuori dalla loro visuale, lui si rivolse a sua moglie. Era pallida, e tesa in volto; stringeva forte le labbra.
«Tesoro, ti prego» le disse. «Ti prego. Lo sai che non vi porterei con me se non fossi sicuro che non ci sono pericoli. Lo sai quante volte ho volato su quella nave prima d'ora. E so bene dove siamo diretti. È un posto sicuro. Credimi, è sicuro.»
Lei si premette la mano del marito contro la guancia e chiuse gli occhi, mentre grosse lacrime le sgorgavano da sotto le palpebre, scivolando lungo le guance.
«Non è tanto q ... questo» disse. «È solo che ... partire, non tornare mai più. Abbiamo sempre vissuto qui, per tutta la nostra vita. Non è come ... trasferirsi. Non potremo ritornare. Mai più.»
«Ascoltami, tesoro» le disse, con voce tesa e tono sbrigativo. «Tu lo sai bene quanto me. È questione di anni, forse anche meno, ma ci sarà un'altra guerra, una guerra terribile. Non rimarrà niente. Dobbiamo andarcene. Per i nostri figli, per noi stessi ...»
Fece una pausa, saggiando nella mente le parole da dire.
«Per il futuro della vita stessa» concluse fiaccamente. Si pentì di averlo detto. Di mattina presto, davanti a una volgare colazione, quel tipo di discorso sembrava fuori posto. Anche se era vero.
«Tu non avere paura» le disse. «Andrà tutto bene.»
Lei gli strinse la mano.
«Lo so» disse con un filo di voce. «Lo so.»
Si sentì un rumore di passi che si avvicinavano. Lui tirò fuori un fazzoletto e lo porse a sua moglie. Lei si affrettò ad asciugarsi il viso.
La porta si aprì. Entrarono i vicini, con il figlio e la figlia. I bambini erano eccitati, e i genitori non riuscivano a tenerli a freno.
«Buongiorno» disse il vicino.
La moglie del vicino si avvicinò a sua moglie e tutte e due si diressero verso la finestra, dove si misero a parlottare a bassa voce. I bambini si trattennero sulla soglia, impazienti, scambiandosi occhiate nervose.
«Avete mangiato?» chiese lui al suo vicino.
«Sì» rispose l'altro. «Non credi che sarebbe meglio muoversi?»
«Immagino di sì» replicò lui.
Lasciarono tutti i piatti sul tavolo. Sua moglie salì di sopra e prese dei capi di vestiario per tutta la famiglia.
Lui e sua moglie restarono un attimo sulla veranda, mentre gli altri si dirigevano verso la vettura di superficie.
«Dobbiamo chiudere la porta?» le domandò.
Lei fece un sorriso rassegnato e si passò le mani fra i capelli, poi alzò le spalle. «Ha importanza?» gli chiese, e si voltò, allontanandosi.
Lui chiuse la porta a chiave e la seguì lungo il vialetto. Quando la raggiunse, sua moglie si girò.
«È una bella casa» mormorò la donna.
«Non pensarci più» le disse.
Voltarono le spalle alla loro abitazione e salirono a bordo.
«L'hai chiusa?» gli chiese il vicino.
«Sì.»
Il vicino sorrise senza allegria. «Anche noi» disse. «Non volevo, ma poi sono dovuto tornare indietro a chiuderla.»
Percorsero le strade silenziose. Il cielo cominciava a rosseggiare all'orizzonte. La moglie del vicino e i quattro bambini erano seduti sul sedile posteriore, sua moglie e il vicino davanti insieme a lui.
«Sarà una bella giornata» disse il vicino.
«Lo credo anch'io» confermò lui.
«L'hai detto ai tuoi figli?» gli chiese il vicino a bassa voce.
«Naturalmente no.»
«Nemmeno io, nemmeno io» si affrettò ad aggiungere il vicino. «Era solo per sapere.»
«Oh.»
Per un po' avanzarono senza parlare.
«Voi avete mai la sensazione che stiamo ... scappando?» chiese il vicino dopo un po'.
Lui si irrigidì. «No» rispose, a labbra strette. «No.»
«Credo sia meglio non parlarne» tagliò corto il vicino.
«Molto meglio» disse lui.
Mentre si avvicinavano al posto di guardia accanto al cancello, lui si girò all'indietro.
«Ricordate» disse. «Non una parola.»
La sentinella era mezza addormentata e non dimostrò grande interesse. Lo riconobbe subito come il capo pilota collaudatore della nuova nave. Tanto gli bastò. La famiglia lo aveva seguito per vederlo partire, disse lui alla sentinella. Tutto a posto. La sentinella lasciò che raggiungessero la piattaforma di lancio.
La vettura si fermò sotto gli enormi sostegni. Scesero tutti e guardarono in su.
Molto in alto, sopra le loro teste, con il muso puntato verso il cielo, la grande nave metallica cominciava a riflettere il bagliore del primo mattino.
«Andiamo» disse lui. «Presto.»
Mentre si affrettavano verso l'ascensore, lui si fermò per un attimo e guardò indietro. Il posto di guardia appariva deserto. Osservò tutto intorno e cercò di imprimersi ogni cosa nella memoria.
Si piegò e raccolse una manciata di terra. Se la mise in tasca.
«Addio» disse in un sussurro.
Corse verso l'ascensore.
Le porte si aprirono davanti a loro. Il cubicolo cominciò a salire in un silenzio rotto soltanto dal ronzio del motore e qualche imbarazzato colpetto di tosse dei bambini. Lui li guardò. Essere portati via così giovani, pensò, senza la possibilità di fare nulla.
Chiuse gli occhi. Sua moglie si aggrappò al suo braccio. La guardò. I loro sguardi s'incontrarono e lei gli sorrise e bisbigliò, «È tutto a posto.»
L'ascensore si fermò con un sobbalzo. Le porte si spalancarono e loro scesero. Era sempre più chiaro. Lui li guidò di corsa lungo la piattaforma coperta.
S'infilarono tutti dentro lo stretto portello sulla fiancata della nave. Prima di seguirli, lui esitò. Voleva dire qualcosa di adatto alla circostanza. Provava il desiderio irresistibile di farlo.
Non ci riuscì. Entrò anche lui di corsa e, grugnendo, richiuse il portello, rigirando la ruota e stringendola.
«È fatta» disse. «Venite tutti.»
I loro passi echeggiarono sui ponti e le scale di metallo mentre risalivano verso la sala di comando.
I bambini corsero verso gli oblò e guardarono fuori. Quando si accorsero di quanto fossero in alto, emisero un rantolo di sorpresa. Le madri li raggiunsero e guardarono il terreno con occhi spaventati.
Lui li raggiunse.
«È altissimo» disse sua figlia.
Lui l'accarezzò sulla testa. «Altissimo» ripeté.
Poi si voltò di scatto e andò verso il quadro comandi. Restò lì un attimo, indeciso. Sentì qualcuno che gli si avvicinava.
«Non sarebbe il caso di dirlo ai bambini?» gli chiese sua moglie. «Non dovremmo fargli sapere che è la loro ultima occasione per dare un'occhiata?»
«Dài» rispose lui. «Diglielo.»
Aspettò di sentire i suoi passi. Non ce ne furono. Si voltò e lei lo baciò sulla guancia. Poi andò a dirlo ai bambini.
Lui azionò l'interruttore. Nel ventre della nave una scintilla accese il propellente. Una vampata concentrata di gas fuoriuscì con violenza dagli ugelli. Le paratie cominciarono a tremare.
Sentì sua figlia che piangeva. Cercò di non prestare ascolto. Protese una mano tremante verso la leva, poi si guardò indietro di scatto. Tutti avevano gli occhi fissi su di lui. Posò la mano sulla leva e la spinse. La nave fremette per il tempo di un secondo, poi la sentirono decollare lungo la liscia rampa di lancio. Si sollevò verso il cielo, sempre più veloce. Tutti sentiro-no l'aria che sibilava contro la fiancata.
Lui vide che i bambini si erano girati verso gli oblò e stavano guardando di nuovo fuori.
«Addio» dissero. «Addio.»
Si accasciò stancamente sulla poltrona davanti al quadro comandi. Con la coda dell'occhio vide che il suo vicino gli si stava sedendo accanto.
«Lo sai dove stiamo andando?» gli chiese il vicino.
«Ecco, lì, su quella carta.»
Il vicino diede un'occhiata alla carta e sollevò le sopracciglia.
«In un altro sistema solare» disse.
«Proprio così. Ha un'atmosfera simile alla nostra. Lì saremo al sicuro.»
«La razza sarà al sicuro» disse il suo vicino.
Lui annuì e tornò a voltarsi per guardare la sua famiglia e quella del vicino. Stavano ancora osservando fuori dagli oblò.
«Che cosa?» domandò.
«Ho chiesto» ripeté il vicino «quale di questi pianeti è.»
Lui si chinò sulla carta, indicò col dito.
«Quello piccolo, laggiù» rispose. «Vicino a quella luna.»
«Questo? Il terzo dal sole?»
«Esatto» disse lui. «Quello. Il terzo dal sole.»

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