martedì 28 gennaio 2014

Altri olocausti

Maria Vayola

Per continuare a ricordare. 

Dedicare un giorno alla memoria di qualcosa, non vuol dire che non la si debba ricordare negli altri giorni, almeno spero, e a proposito di Olocausti vorrei qui ricordarne un altro, forse il più "quantitativamente" agghiacciante della storia, quello americano.
Si sono fatte stime che dalla scoperta dell’America fino ai giorni nostri il 90% circa degli abitanti originari di quelle terre, 80 milioni di persone, sia scomparso a causa dell’invasione prima degli europei e poi degli statunitensi. Il "civilizzatore bianco" ha continuato a perpetrare il genocidio degli indigeni  con stermini sistematici in Guatemala, Paraguay e in tutta l’America meridionale, complici, se non esecutori occulti, gli Stati Uniti  (per una fonte di approfondimento clikkate qui).
Per rimanere nell’ambito degli Stati Uniti, le popolazioni indigene sono state sterminate da forze interdipendenti quali le epidemie, l’uccisione diretta vera e propria, i trasferimenti forzati, la distruzione dell’ambiente naturale e quindi delle fonti di sostentamento e, non ultimo,  dal tentativo di  occidentalizzare i loro modi di vita, tramite la cristianizzazione, l’impedimento ad esercitare i rituali che scandivano le fasi della loro esistenza, l’imposizione di concetti di realizzazione completamente opposti al loro modo di vivere.
I superstiti, molto pochi, furono costretti a vivere in luoghi che non erano i loro, in abitazioni che non rispettavano le loro funzionalità originarie che non erano solo materiali ma anche spirituali, a mangiare cibo diverso, a comportarsi diversamente  da come avevano sempre fatto: tutti i loro modi di vita, da quello più superficiale a quello più esistenziale, furono stravolti. Abituati agli immensi spazi che la loro terra offriva, furono rinchiusi in angusti territori aridi, in spazi ristretti, chiusi e controllati, impossibilitati quasi a muoversi, sottomessi a leggi che non erano loro e che non potevano capire, in uno stato di dipendenza da ciò che l’uomo bianco era disposto a elargire. Deportati, sviliti, fu tolta loro l’identità e obbligati ad assumerne un'altra. I modi di vivere dei vari popoli indiani erano diversi, le loro lingue diverse, ma una cosa che, tranne poche eccezioni, li accomunava era la struttura egualitaria delle loro società ed un rapporto equilibrato ed armonico con l’habitat. Tutto ciò non rientrava negli schemi mentali dei bianchi, che concepivano la società come un insieme di dominati e dominanti, come una struttura gerarchizzata  a vari livelli e basata sulla diseguaglianza civile, sociale, economica. Alla “cultura dell’essere” dei nativi contrapponevano “la cultura dell’avere”, alla proprietà collettiva clanica la proprietà singola e lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali; fu messo in atto lo sconvolgimento di una terra che dagli ”indiani” era considerata sacra e dispensatrice delle fonti di sopravvivenza, degna del rispetto e pronta ad essere sfruttata ma solo limitatamente alle esigenze essenziali e non indiscriminatamente. A un concetto armonioso del vivere in una comunità di individui  in un contesto naturale, gli occidentali opponevano un mondo di sopraffazione gli uni sugli altri, una tensione al possesso che  avrebbe portato a una rete di razzismi basati sulla religione, il territorio di provenienza, il ruolo all’interno della società e naturalmente la razza (la suddivisione degli esseri umani in razze diverse è solo un modo per stabilire diseguaglianze e giustificare il dominio di alcune su altre).
   A tutto ciò i nativi cercarono di opporsi in tutti i modi, ma naturalmente il flusso di immigrati che sbarcavano a milioni e che a loro volta erano motivati dal senso di riscatto da una condizione di inferiorità nella madre patria, gli armamenti a disposizione e, soprattutto,  la convinzione e l’arroganza di essere i portatori di una civiltà superiore ebbero la meglio sulle popolazioni autoctone. Gli ultimi a cedere furono i popoli nomadi che riuscirono a difendersi più a lungo grazie anche a una modalità di resistenza diversa e più “mobile” che non permetteva alle forze degli invasori di concentrare la loro potenza militare su agglomerati urbani, come invece era stato possibile con i popoli stanziali che vivevano ad est (e come quelli del Sud America): i soldati dovevano combattere non vere e proprie battaglie, ma incursioni che potremmo definire di guerriglia, a cui non erano abituati, né attrezzati. L’inevitabile sconfitta anche di queste popolazioni avvenne con l’avanzamento tecnologico delle armi facilmente trasportabili, il fucile a ripetizione retrocarica e le mitragliatrici.
Dopo l’eliminazione fisica di queste popolazioni, venne messo in atto sui pochi superstiti l’etnocidio che ancora seguita e che oltre al tentativo di fare tabula rasa del loro modo di pensare e di vivere, viene posto in essere anche con la sterilizzazione delle donne e con adozioni coatte dei bambini.
Da luogo di deportazione ora le riserve sono divenute luogo da salvaguardare come l’unico territorio possibile dove poter vivere ancora in modo “tradizionale”, e sono continuamente minacciate da tentativi di esproprio da parte del governo per permettere alle multinazionali  lo sfruttamento in quei territori delle materie prime in essi contenute o per dargli una diversa destinazione d’uso. Una delle frasi che si sentono spesso dire è che... se vivono in situazioni di indigenza è colpa loro perché non si adeguano al modo di vita americano….a parte le discriminazioni a cui sono tuttora sottoposti, sono solo un popolo che tenacemente chiede di vivere secondo la propria visione della vita e di essere lasciato in pace almeno in quei ristretti territori che gli sono stati “riservati”, sono solo un popolo che, nonostante le pressioni, lo sterminio, la distruzione della loro cultura, non si è piegato alle fascinazioni del modo di vita occidentale.
Molto altro ci sarebbe ancora da dire, questo vuole solo essere il primo passo per accostarsi a un argomento estremamente complicato.

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