martedì 27 novembre 2018

Widows di Steve McQueen



 Roberta Rondini

Widows è un film del quale consiglio la visione e che mi piacerebbe  fosse tra quelli di cui si discuterà  nel Gruppo “Al cinema con MVL”. Un film potente, pensato e girato su piani molteplici, che utilizza il thriller, il genere rapina, per parlare sottilmente e fascinosamente di politica e di sociale nell’America di oggi, spostando, non a caso, il luogo originario di svolgimento della storia da Londra a Chicago. Un film, inoltre, declinato al femminile.
Ripresa da una miniserie televisiva scritta da Lynda La Plante negli anni Ottanta e adattata dal regista Steve McQueen e da Gillian Flynn (sceneggiatrice anche di Gone Girl), la storia è il grimaldello che il regista – e fior di artista – britannico usa per acconciare una scena che, prendendo avvio dagli esiti di una rapina andata tragicamente male per la morte di tutti i protagonisti (con le vedove intenzionate a recuperare quei soldi), prende il largo verso una panoramica di quello che si muove nella società contemporanea americana in termini di politiche sociali, di razzismo, di riscatto femminile e di riscatto etnico delle minoranze, non solo “negre” ma anche ispaniche e europee di vecchia immigrazione.
Il dramma è raccontato alla maniera raffinata ed elegante di McQueen, con attenzione ai particolari, alle tecniche scelte per le inquadrature  degli esterni : Chicago, ricca e povera, ripresa dal basso e dall’alto – notevole il “racconto” del sobborgo cittadino con la macchina da presa legata al cofano di una autovettura in movimento;  e degli interni: le sequenze ambientate nei locali pubblici o la memorabile inquadratura primo piano di Viola Davis, protagonista nera fisicamente imponente, nella sua camera da letto bianca, con il cane bianco adagiato sul letto bianco. Raffinatezze stilistiche di un regista, artista e scultore, che si esprime attraverso dettagli e inquadrature di grande eleganza capaci di dare il senso della sua attenzione ai dettagli per raccontare una storia.

domenica 25 novembre 2018

Dal laboratorio di traduzione: "Retaggio" di Kaveh Akbar

Fiorenza Mormile

Nella Giornata contro la violenza sulle donne vi proponiamo Retaggio, un testo di denuncia contro la condanna a morte di una ragazza iraniana impiccata per avere ucciso l’uomo che cercava di violentarla.
L’autore è il poeta iraniano-americano Kaveh Akbar, nato a Teheran il 15 gennaio 1989 e trasferitosi con i genitori negli Stati Uniti in giovanissima età.

Kaveh al lavoro - foto di proprietà dell'autore
Nel testo l’impatto contro con il rigore spietatamente misogino della giustizia iraniana mina l’attaccamento di Akbar alle proprie radici natali e culturali. La penultima strofa “possa Dio colpirci /per farci (…) ridestare il cervello a frustate” suona sarcastica rispetto ai metodi adottati dalla Shari’a. Le aspettative deluse “esponiamo l’amore alla luce/ per stupirci della sua impotenza” scatenano in Akbar un profondo senso di colpa, facendolo sentire correo di quella morte: “malgrado tutti i nostri rituali di misericordia (…) te abbiamo mandato avanti”. Qualcosa di simile avviene all’interno di ciascuno di noi anche qui, così lontano dagli ayatollah, ad ogni nuovo caso di violenza di genere.

                                                                                                                     Reyhaneh Jabbary














Retaggio

Reyhaneh Jabbary, una donna iraniana di 26 anni, è stata impiccata 
il 25 ottobre 2014, per aver ucciso 
un uomo che cercava di violentarla. 
il corpo è una moschea prestata dal Cielo    secoli e secoli
macchiano il mattone smaltato    la nostra pelle si sfalda come un frammento
al centro di una clessidra    a volte mi vergogno tanto

del mio sentire  quanto poco conti    gli angeli non hanno a cuore l’umiltà
ti sei rasata il capo    hai passato undici giorni in isolamento mezza morta di fame
e non una tromba divina si è sciolta in canto    ora è solitudine tutto intorno                 

più che una persona sto diventando un vaso di ricordi    è un mito
che l’amore  viva nel cuore    vive nella gola lo spingiamo fuori
quando parliamo    quando restiamo senza fiato ne prendiamo un po’ per noi

nei libri l’amore può far cessare la guerra    un soldato getta  la spada
per imboccare di ostriche il nemico    nella vita esponiamo l’amore alla luce
per stupirci della sua impotenza    hai detto in una lettera a Sholeh

che non uccidevi neppure gli scarafaggi nella cella    li tiravi su
per le antenne e li lanciavi tra le sbarre in un cortile
dove vedevi uomini martellare lunghe assi di cipresso per farne una forca

gli stessi uomini che anni  prima avevano gettato i loro anelli nel fango    che li innaffiavano
cinque volte al giorno    che sparavano ai merli per  scacciarli dai rami dei mandorli
e baciavano la terra alla vista dei germogli    per poi maledirsi a vicenda quando gli steli

invece di lambirgli le labbra si seccavano alle loro ginocchia    possa Dio colpirci
per farci svegliare    ridestare il cervello a frustate    si possa misurare ogni vittoria
dall’assenza momentanea del dolore    non c’è conforto nella storia    è un dono

ricevuto alla nascita    una tasca in cui ci ripieghiamo alla morte  e ora addio a te montagna
a te armada di fiori    a te intero miserabile decennio con un groppo in gola
malgrado tutti i nostri rituali di misericordia ripetuti all'infinito    te abbiamo  mandato avanti.

Traduzione di Maria Adelaide Basile, Marta Izzi, Giselda Mantegazza, Fiorenza Mormile, Anna  Maria  Rava, Anna  Maria Robustelli, Jane Wilkinson.


Heritage

Reyhaneh Jabbari, a 26-year-old Iranian woman,
was hanged on October 25th, 2014, for killing a man
who was attempting to rape her.

the body is a mosque borrowed from Heaven    centuries of time
stain the glazed brick    our skin rubs away like a chip
in the middle of an hourglass    sometimes I am so ashamed

of my sentience how little it matters    angels don't care about humility       
you shaved your head    spent eleven days half-starved in solitary
and not a single divine trumpet wept into song    now it's lonely all over

I'm becoming more a vessel of memories than a person    it's a myth
that love lives in the heart    it lives in the throat we push it out
when we speak    when we gasp we take a little for ourselves

in books love can be war-ending    a soldier drops his sword
to lie forking oysters into his enemy's mouth    in life we hold love up to the light
to marvel at its impotence    you said in a letter to Sholeh

you weren't even killing the roaches in your cell    that you would take them up
by their antennae and flick them through the bars into a courtyard      
where you could see men hammering long planks of cypress into gallows

the same men who years before threw their rings in the mud    who watered them
five times daily    who shot blackbirds off almond branches
and kissed the soil at the sight of sprouts    then cursed each other when the stalks

which should have licked their lips withered dryly at their knees  may God beat
us awake    scourge our brains to life    may we measure every victory
by the momentary absence of pain    there is no solace in history    this is a gift

we are given at birth    a pocket we fold into at death  goodbye now you mountain      
you armada of flowers    you entire miserable decade in a lump in my throat       
despite all our endlessly rehearsed rituals of mercy    it was you we sent on

Si ringrazia l’autore per l’autorizzazione alla riproduzione dell’originale.

martedì 20 novembre 2018

Dal Laboratorio di Traduzione un nuovo testo di Joy Harjo: Questo è il mio cuore

Fiorenza Mormile

Il terzo testo di Joy Harjo è This is My Heart, una canzone d’amore composta dalla poetessa nativa americana che in questo concerto del 2008 alterna il canto con a solo di sax mostrando le sue doti di performer.


Questo è il mio cuore

Questo è il mio cuore. È un buon cuore.
Tesse una membrana di nebbia e fuoco.
Quando facciamo l'amore nel mondo dei fiori
il mio cuore è vicino abbastanza da cantare per te
in una lingua troppo goffa
per le parole umane.

Questa è la mia testa. È una buona testa.
Dentro le ronza uno sciame di preoccupazioni.
Qual è la fonte di questo mistero.
Perché non posso vederla qui, adesso, 
reale come queste mani che forgiano 
il mondo?

Questa è la mia anima. È una buona anima.
"Vieni qui, smemorata", mi dice.
E ci sediamo vicine.
Ci prepariamo qualcosa da mangiare
poi un sorso di qualcosa di dolce,
per la memoria, per la memoria.

Questa è la mia canzone. È una buona canzone.
Ha camminato all'infinito lungo il bordo del fuoco e dell'acqua,
scalato costole di desiderio per cantare per te.
Le sue ali nuove vibrano vulnerabili.

Vieni a stenderti accanto a me.
Poggia la testa qui.
Il mio cuore è vicino abbastanza per cantare.

Traduzione di Maria Adelaide Basile, Giselda Mantegazza, Marta Izzi, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore, Jane Wilkinson.


Joy Harjo
This is My Heart 

This is my heart. It is a good heart.
Weaves a membrane of mist and fire.
When we make love in the flower world
my heart is close enough to sing to you
in a language too clumsy
for human words.

This is my head. It is a good head.
Whirs inside with a swarm of worries.
What is the source of this mystery?
Why can’t I see it right here, right now,
as real as these hands hammering
the world together?

This is my soul. It is a good soul.
It tells me, “Come here forgetful one.”
And we sit together.
We cook a little something to eat,
then a sip of something sweet,
for memory, for memory.

This is my song. It is a good song.
It walked forever the border of fire and water,
climbed ribs of desire to sing to you.
Its new wings quiver with vulnerability.

Come lie next to me.
Put your head here.
My heart is close enough to sing.

A Map to the Next World, W.W. Norton 2002, and a CD of music Native Joy for Real, 2004

Si ringrazia l’autrice per l’autorizzazione a riprodurre il testo originale