G. Luca Chiovelli
Succede, nella vita. La verità è quella che è, non quella che dovrebbe essere.
Succede, nella vita. La verità è quella che è, non quella che dovrebbe essere.
La
condanna: il libero arbitrio, la facoltà di scegliere. Non la nostra: quella
degli altri.
Se le
volontà degli altri potessero acconciarsi alle nostre, ecco la felicità.
Ma questo
non è dato all'uomo, condannato ai saliscendi della passione, agli andirivieni
della fortuna.
D'altra
parte se non fossimo eternamente e ineluttabilmente infelici non ci sarebbe
bisogno della poesia e della musica.
Non ci
sarebbe arte, in effetti.
Se
fossimo perfettamente, pienamente, felici, così felici da non avere sentore
della nostra propria felicità, non esisterebbero nemmeno la guerra e la
disperazione, concime dell'arte.
Niente
Balthus, Bach, Boiardo, gotico, espressionismo, fortificazioni, preghiera,
simboli, astuzie, storia, psicologia, culto della morte.
Saffo,
aristocratica dell’isola di Lesbo, che, forse, Ereso partorì, e Leucade
disfece, quasi duemilasettecento anni fa, conobbe come pochi tale destino. Come
Guido Cavalcanti, John Donne, Stendhal, Catullo.
L’amore
che brucia il ventre, la passione destinata a infrangersi contro il reale, il
sentimento inappagato, senza compromessi, smisurato: tutto questo porta al suo canto
eolico.
E Saffo
conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che la poesia nasce da una
predisposizione potente dell’animo capace a filtrare e trasformare ciò che gli
altri cuori non possono che rendere in misura volgare.
Ecco,
ad esempio, un frammento dedicato alla propria bionda figlioletta, Cleide:
Ho una bella bimba.
Ha simile la piccola figura a fiori d’oro.
L’amor mio: Cléide si chiama.
Se in cambio di lei mi date la Lidia intera,
Io non la do; se tutte le cose amabili mi date
Ebbene, io non la do
… leggiadra bimba …
Ci sono
parole più semplici e belle?
Oppure
leggete questi tre notturni:
Stella di sera, porti
Quanto l’alba lucente
Sperde: porti la pecora, la capra.
Alla mamma riporti la figlia
È sparita la luna,
Le Pleiadi. Notte
Alta.
L’ora del tempo varca.
Io dormo
Sola.
Le stelle intorno alla bella luna
Di nuovo nascondono il luminoso aspetto,
Quando piena di luce risplende
... su tutta la terra ... argentea
Quante
volte abbiamo letto di albe lucenti e notti e solitudini? Anche di poetastri e
poeti della domenica? Eppure queste sono magnifiche, perché promanano da un
animo già formato alla poesia, perché da Saffo vengono, dalle scheggiature dei
suoi nove libri.
Ecco,
invece, due lievi punture di gelosia:
Di nuovo Eros che scioglie le membra mi
Sconvolge, animale
Invincibile, dolce e amaro.
Atti, ti venne a noia curarti di me e voli
Verso Andromeda ...
Di me ti sei scordata, e non a me
vuoi bene: a un altro
Ma
l’amore, come insegna Guido Cavalcanti, è una tempesta corporale, squarcia il
petto e le viscere (“L’amore vien tagliando con tal forza che lo spirito fugge
via e solo l’apparenza rimane, morta, in sua signoria”). Ed ecco Saffo invidiare
un uomo (uno qualsiasi, uno di cui non rimarrà memoria alcuna, ma, in tale
occasione, pari a un dio!) sol perché gode il privilegio celeste di ascoltare
la voce bassa e dolce della persona amata:
Simile a un dio mi sembra quell'uomo
che siede davanti a te, e da vicino
ti ascolta mentre tu dolcemente parli
e amorosamente sorridi. E questo
fa sobbalzare il mio cuore nel petto.
Se appena ti vedo, subito non posso
più parlare:
la lingua si spezza: un fuoco
leggero sotto la pelle mi corre:
nulla vedo con gli occhi e le orecchie
mi rombano:
un sudore freddo mi pervade: un tremore
tutta mi scuote: sono più verde
dell'erba; e poco lontana mi sento
dall'essere morta.
Ma tutto si può sopportare...
E
oltre:
... Scuote Amore il mio cuore
come il vento sul monte
si abbatte sulle querce …
Altrove
si ritrova un sentimento più pacato (e con tale forza lo ritroveremo, duemila
anni dopo, sotto altre latitudini, in John Donne, ad esempio). Ecco il commiato
di una giovane allieva che si strugge per la perdita della maestra di vita; ed
ecco Saffo, esperta del dolore e della realtà, che, con delicatezza somma, le
vieta il lamento e, allo stesso tempo, perché, commossa, non può fare
altrimenti, lo esacerba rievocando nostalgica ciò che è stato e non sarà più:
Vorrei davvero esser morta.
Essa lasciandomi piangendo forte,
mi disse: "Quanto ci e` dato soffrire,
o Saffo: contro ogni mia voglia
io devo abbandonarti".
"Allontanati felice" risposi
"Ma ricorda che fui di te
sempre amorosa.
Ma se tu dimenticherai
(e tu dimentichi) io voglio ricordare
i nostri celesti patimenti:
le molte ghirlande di viole e rose
che a me vicina, sul grembo
intrecciasti col timo;
i vezzi di leggiadre corolle
che mi chiudesti intorno
al delicato collo;
l'olio da re, forte di fiori,
che la tua mano lisciava
sulla lucida pelle;
e i molli letti
dove alle tenere fanciulle ioniche
nasceva l'amore della tua bellezza.
Non un canto di coro,
ne' sacro, ne' inno nuziale
si levava senza le nostre voci;
e non il bosco dove a primavera
il suono..."
Nelle
liriche di Saffo, frammentate e tronche come epigrafi museali, si ritrova anche
l’orgoglio della poesia e la celebrazione del proprio ruolo:
Io dico che taluno di me avrà
Memoria
La
coscienza di un ruolo eminente che si colora di noia e disprezzo per chi, la
poesia, non la ama. Alla poesia, infatti, come all’amore, ripugnano le mezze
vie. Ecco, perciò, la meritata maledizione verso una cialtrona, molto attuale:
Morte, inerzia di sonno
per te, silenzio di memoria, sempre:
tu non attingi rose
poetiche.
Disprezzata e scura, vagherai nell’Ade,
svolacchierai tra nere larve
Sulla
vita dell’amabile Saffo sorsero varie leggende, alcune mirabili e da
accogliersi come poesie ulteriori, altre di rara stupidità: queste ultime non
ci interessano.
Una di
tali leggende la celebra suicida (si gettò in mare dalla rupe Leucade), per
amore del barcaiolo Faone. Da questo episodio, che accogliamo con gioia, come
detto, trasse versi faticosi Giacomo Leopardi; Ovidio, invece, ch’era un genio,
inventò, nelle Eroidi, una bellissima
lettera d’amore: in essa Saffo scrive a Faone: dimmi se mi ami, solo questo; se
non mi vuoi, se io non suscito in te l’amore, dammi un segno crudele, ch’io almeno
lo sappia e possa cercare la morte nelle acque, presso la rupe bianca di
Leucade; questa la chiusa:
“ … ma se sei contento di essere fuggito lontano dalla
pelasgica Saffo (e tuttavia non potrai trovare il perché io meriti di essere
fuggita) una lettera crudele faccia sapere a me sventurata almeno questo,
perché io possa andare a cercare il mio destino nelle acque di Leucade”
Una
leggenda così bella ha il doppio merito di eternare la protagonista e di creare
nuova letteratura.
Saffo
fu maestra, moglie, madre; amante; e bambina, ragazza, donna, vecchia.
Sembra, infatti, che visse fino a tarda età. Conobbe amore, gelosia, tenerezza, ripulsa, tutto il
vasto iride delle passioni e, in più, conobbe l’alito della morte, ovvero lo
spegnersi di quei moti spossanti e micidiali, dolci e sfiancanti:
Ermete venne …
Io gli dissi: “Signore
No, per la dea beata,
io non ho gusto di grandezze:
vaghezza mi punge
di morire. Vedere
nella rugiada i fiori
di loto, lungo l’Acheronte”…
E
ancora:
[A me] ormai la vecchiaia [inaridisce] la pelle, che era un
tempo [delicata],
e i capelli, da neri che erano, sono diventati [bianchi]
...,
il cuore mi si è fatto pesante e non mi reggono le ginocchia,
che erano un giorno leggere nella danza come quelle di
cerbiatti.
[Per questo] gemo di continuo. Ma che cosa potrei fare?
Non è possibile, per chi è uomo, scansare la vecchiaia
Ma, da ultimo,
qual è il lascito della grande poetessa? Questo: semplice, profondo, inevitabile:
Quale la cosa più bella
sopra la terra bruna? Uno dice “Una torma
di cavalieri!”, uno di fanti, uno di navi.
Io, ciò che s'ama.
Farlo capire a tutti è così semplice! …
Di lei l'amato incedere, il barbaglio
del viso chiaro vorrei scorgere,
più che i carri dei Lidi e le armi
grevi dei fanti.
Di Saffo, la divina Saffo, scrisse una breve biografia leggendaria
anche Giovanni Boccaccio nel suo De mulieribus
claris. Saffo, Leopardi, Ovidio, Boccaccio, Donne, Cavalcanti: quando si passeggia fra
le nubi si scomodano solo pari. La marmaglia resta a terra. Poniamo il brano
come epitaffio; di questo post, ovvio, poiché le parole della poetessa rivivranno
sempre come verità incancellabili. Ecco Boccaccio:
“Saffo
fu una fanciulla dell’isola di Lesbo, della città di Mitilene: e della sua
origine ai posteri non rimane altro. Ma se noi guardiamo allo studio, quello
che il tempo ci ha tolto lo vedremo in parte restituito; cioè essere nata di
nobili e onesti parenti; perché quello non poté mai essere desiderato da un
animo vile, e a quello non poté mai venire alcuno d’animo plebeo. E benché non
si sappia in che tempo quella vivesse, nondimeno ebbe sì nobile animo, che
essendo in fiorita età e bellezza, non fu contenta solamente sapere congiungere
insieme le lettere, ma confortata da più caldo furore d’animo e da più vivacità
d’ingegno, montata a più alto studio per lo scosceso Parnaso, montò alla cima,
non rifiutandola le Muse; e cercato il bosco dell’alloro, arrivo al tempio
d’Apollo; e bagnata nella fonte de’ poeti, prese la cetra, mentre danzavano le
sacre Muse. Ed essendo fanciulla, non esito a suonarla e a comporre versi, il
che risulto molto faticoso anche a uomini studiosissimi. Perché dire più
parole? Ella per lo suo studio arrivò a tale altezza che i suoi versi,
tramandati dagli antichi, son famosi persino oggi; per lei fu eretta una statua
di metallo consacrata a suo nome, ed ella fu annoverata tra i poeti insigni. E
certamente non sono più famose le corone dei re che la sua corona, né le mitre
dei sacerdoti, né le lauree de’ trionfanti. E come ella fu felice nei suoi
studi, allo stesso modo fu infelice nei suoi amori, perché, presa d'affetto per
un giovane, anzi vinta da una passione insanabile, o per la piacevolezza di
questi, o per la bellezza o per qualsiasi altra ragione, non volendo egli
consentire al suo desiderio, ella si dolse della sua ostinatezza, e ne scrisse
lamentevoli versi; i quali io avrei pensato elegie, perché quelle ritengo
appropriate a tale materia, se io non avessi letto che ella, quasi dispregiata
la forma dei versi antichi, trovò una nuova struttura metrica, da allora
chiamata col proprio nome. Ma che diremo noi? Son da biasimare le Muse, le
quali, suonando Anfione la sua lira, poterono muovere i sassi delle montagne; e,
cantando Saffo, non valsero ad ammorbidir il cuore d'un giovinetto".
chi è l'autore delle traduzioni? ho nelle orecchie quelle di Quasimodo..belle comunque
RispondiEliminaParte Pontani, parte Alceste con spruzzi di Quasimodo liofilizzato.
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