J. W. Waterhouse, Il Sonno e la Morte |
Poesia composta da Verlaine durante la
relazione con Arthur Rimbaud.
La contemplazione del corpo dell’amante addormentato
sublima, in virtù della metafora Sonno-Morte, in una vertiginosa riflessione sulla
caducità dell’amore e dell’agire umano; il quarto verso, una citazione
letterale tratta dal libro di Ecclesiaste, rende il sonetto una versione moderna
e malinconica della vanitas barocca.
Straordinario il verso finale: il poeta
chiede all’amato, di ritorno dal mondo del Sonno e, quindi, della Morte, se
esista o meno una speranza ultraterrena – un’invocazione quieta e disperata, sospesa
tra la speranza più esile e la certezza dello scacco.
Questa sera mi ero chinato sul tuo
sonno,
Casto dormiva il tuo corpo sul letto
modesto,
E, come qualcuno che studia e legge, ho
visto,
Ah! Ho visto, che tutto è vano sotto il
sole!
Essere vivi, oh che delicata meraviglia,
Tanto il nostro organismo è già reclino
fiore!
Oh pensiero che sfocia nell'insania!
Va', caro, dormi! Il terrore per te mi
tiene desto.
Ah miseria d'amarti, mio fragile amore
Che vai respirando come un giorno si
spira!
Oh sguardo chiuso, come lo farà la
morte!
Oh bocca che ridi in sogno sulla mia,
bocca
In attesa dell'altro riso più feroce!
Svegliati, presto. L'anima, dì, è
immortale?
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