Ono no Komachi (?825-?900) fiorì nel primo periodo Heian; le notizie biografiche sono rare. È incerto se ella ricoprì il ruolo di concubina imperiale; probabile che fosse, almeno, elemento di spicco della corte.
Tali sparuti ragguagli sfumano perciò nella leggenda: in tal modo, fortunatamente per chi ama la poesia, la produzione lirica e la vita si fondono inestricabilmente e concrescono inevitabili.
Una parte della leggenda la vuole bellissima, talmente bella che il nome, Komachi, è usato tuttora per indicare fanciulle di particolare venustà.
Un'altra la vuole in disgrazia nella seconda parte della sua vita; forse, più che perdere i favori imperiali, ella si convertì a un più fervente spirito religioso, quello buddista. A questa tradizione si ispira una celeberrima opera del teatro No, Komachi in Sekidera: in essa un prete buddista reca i propri allievi presso una donna centenaria che, si dice, possiede l’arte della vera poesia: e sarà la vegliarda a rivelarsi agli sbalorditi visitatori come la grande Komachi.
Di Ono no Komachi sopravvivono circa cento composizioni, scritte nella forma waka: brevi liriche di trentuno sillabe disposte in cinque versi (5-7-5-7-7). Ad esempio (Ero persa in pensieri d’amore):
omoitsutsu
nureba ya hito no
mietsuramu
yume to shiriseba
samezaramashi o
Le poesie entrarono a far parte della silloge poetica Kokinshū, curata, per volere imperiale, dal poeta Ki Tsurayuki durante la prima decade del decimo secolo.
Le sottostanti versioni si basano sulla traduzione in inglese operata da Jane Hirschfield e Mariko Aratani nell'agile antologia The ink dark moon. Si è cercato, nella resa in italiano, di rispettare almeno il ritmo waka (5-7-5-7-7) alternando, piuttosto rozzamente, settenari e novenari.
Una manciata di composizioni di Komachi compaiono nell’antologia Il muschio e la rugiada, curata da Mario Riccò e Paolo Lagazzi (la prima edizione è del 1996; l’ultima del 2013).
Non sono riuscito a trovare altre traduzioni.
Evidentemente, ad appena undici secoli di distanza, i nostri editori hanno meglio da fare; per loro vale il detto: ubi minor maior cessat.
I
Troppo forte la voglia,
non può tenerla alcun limite.
Che nessuno mi biasimi
almeno, se la notte a te vengo,
a te, per il cammino dei sogni.
II
Un canto di cicale
nel tramonto che il giorno chiude
lassù - al mio villaggio.
Chi mai verrà a farmi visita
stasera - chi, se non il vento?
III
Lunga solo a parole
scorre la notte dell'autunno.
Cosa facemmo allora
se non fissarci l'un con l'altra?
Ed ecco, già spuntava l'alba.
IV
No, non posso vederlo
stanotte, scura notte senza luna.
Son distesa, ancor desta,
e per la voglia brucio, nel petto
un fuoco scorre, in fiamme è il cuore.
V
Ero persa in pensieri
d’amore quando gli occhi io chiusi?
Allor egli m’apparve.
Capire ch’era un sogno!
Mai, oh, mai mi sarei destata.
se non fosse banale scriverei: bellissima. mi ha molto emozionata. ma lo scrivo lo stesso, senza vergognarmi della banalità. non ho voluto sorvolare sulla bellezza e sull'emozione
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